Photo/YURI CORTEZ/AFP/Getty Images
Manifestazione antimperialiasta a Caracas il 31 gennaio 2019

di Celina della Croce.
Traduzione di Francesco Cecchini


Il 30 aprile 1975 gli Stati Uniti hanno imparato una lezione importante: la cattura di Saigon da parte dell’Esercito Popolare del Vietnam, un esercito di guerriglieri. Non importa la dimensione militare o il peso del pugno di ferro usato per mantenere il potere, la forza bruta non è sempre sufficiente per vincere le guerre. I guerriglieri possedevano un’arma chiave che gli Stati Uniti non avevano: il sostegno del popolo. La sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam ha causato uno spostamento catastrofico nella sua strategia di guerra, che oggi si è trasformata in guerra ibrida. Per evitare un’altra imbarazzante sconfitta, gli Stati Uniti hanno bisogno di conquistare i cuori e le menti. Fare a pezzi le persone non basta. Questa strategia combina la guerra convenzionale, cioè la forza militare, con la guerra non convenzionale, come le campagne segrete per destabilizzare l’economia delle nazioni prese di mira; campagne di disinformazione che diffondono notizie false e aprono la strada all’intervento; e attacchi violenti che prendono la forma di omicidi mirati, blocchi stradali e incitamento alla violenza. Il risultato di queste guerre ibride è oggi una serie di governi di destra in America Latina. Il Venezuela,che confina sia con il Brasile di Jair Bolsonaro che con la Colombia di Iván Duque, è rimasta una spina nel fianco dell’imperialismo americano e, di conseguenza, al centro delle guerre ibride guidate dagli Stati Uniti. È il domino che non cadrà. La guerra anticonvenzionale condotta contro il Venezuela e i suoi vicini è una guerra che cerca di conquistare i cuori e le menti dei popolo, convincendoli ad allinearsi volontariamente, e spesso con entusiasmo, agli interessi del capitale globale, a proprie spese. È una battaglia per spostare a destra quello che il militante italiano Antonio Gramsci chiama buon senso e per una visione del mondo dominante in armonia con gli interessi del capitale. Scrivendo mentre la prima guerra mondiale infuriava, Gramsci cercò di capire perché i lavoratori assumessero un’ideologia contraria ai loro interessi. Un risposta parziale è la battaglia ideologica. È questa battaglia che gli Stati Uniti non sono riusciti a vincere in Venezuela. Il direttore dell’Istituto per la ricerca sociale Tricontinental, Vijay Prashad, ha affermato: ” La rivoluzione bolivariana ha creato nuove speranze per milioni di persone che combatteranno con le unghie e con i denti per difendere non solo questa o quella riforma ma il grande orizzonte di la libertà che si è aperta davanti a loro “. Un’enorme sofferenza umana è stata costruita per gettare le basi per l’intervento degli Stati Uniti. Sebbene le sanzioni statunitensi abbiano causato 40.000 morti in un solo anno (dal 2017 al 2018), gli Stati Uniti e i media asserviti li hanno dato la colpa delle vittime al governo venezuelano. In questo senso, la componente ideologica della guerra ibrida contro il Venezuela segue una lunga tendenza storica in cui le forze imperiali “soffocano economicamente la popolazione dei paesi non allineati. Dopo averli fatti annaspare le popolazioni per respirare aria, gli imperialisti accusano i governi di soffocare”. Nel suo ultimo dossier, Tricontinental, Institute for Social Researchm descrive in dettaglio le forme che la guerra ibrida ha assunto in Venezuela. Usando un concetto elaborato dall’analista politico Andrew Korybko, il dossier discute l’obiettivo della guerra per raggiungere il dominio completo; dominare ogni aspetto della società includendo non solo aspetti ideologici ma anche l’intera gamma di emozioni umane,come il desiderio e la bellezza, i valori e l’estetica, così come tutte le dimensioni della vita umana, l’ organizzazione del mercato e della produzione. È quindi una guerra per dominare l’intera concezione della realtà. È una guerra che cerca di spremere a fondo il popolo venezuelano per costringerlo ad adottare le soluzioni presentate dall’imperialismo. Gli Stati Uniti promettono che la presa del ferro si allenterà, purché il Venezuela sia disposto a sacrificare la propria sovranità e sottomettersi agli interessi e alla direzione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono profondamente consapevoli dell’eredità lasciata dal colonialismo, un’eredità che continuano a sfruttare. Il Venezuela costretta a sviluppare la propria economia su produzione ed esportazione di petrolio è fortemente dipendente dall’importazione di beni di consumo di base, come cibo e medicine. Questa strategia per sfruttare le debolezze e i limiti dei governi target è esattamente al centro della strategia di guerra ibrida. Sebbene il governo bolivariano abbia adottato misure per aumentare la produzione nazionale di cibo questa è rimasta insufficiente, fornendo un punto debole per gli Stati Uniti da sfruttare nel suo piano per “rendere la situazione più critica”, come afferma l’ex capo dell’ U.S. Southern Command, Kurt Tidd. Nel suo piano per rovesciare la dittatura venezuelana. “Masterstroke” Tidd descrive una serie di strategie per aumentare l’inflazione, ostacolare le importazioni, scoraggiare gli investitori e creare instabilità generale. La decisione degli Stati Uniti di versare sale nelle ferite del colonialismo, se non controllata, continuerà a provocare più morti. Secondo il Centro per la Ricerca Economica e Politica, ” le importazioni alimentari sono diminuite drasticamente insieme alle importazioni complessive; nel 2018 sono stati stimate a soli $ 2,46 miliardi, rispetto a $ 11,2 miliardi nel 2013. Ci si può aspettare un ulteriore crollo nel 2019, insieme alle importazioni in generale, che contribuiscono alla malnutrizione e al rallentamento della crescita nei bambini.” Questa debolezza ha anche lasciato il paese particolarmente vulnerabile ai blocchi economici e alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che hanno indotto la fuga di capitali, l’inflazione e bloccato l’accesso al credito e agli acquirenti per il petrolio. In altre parole, gli Stati Uniti “hanno ritirato gli strumenti di base che il governo avrebbe potuto usare per risolvere la crisi e hanno aggravato la sofferenza del popolo venezuelano”.
I risultati devastanti di questa offensiva offrono l’occasione perfetta per il cavallo di troia degli aiuti umanitari degli Stati Uniti, come ha fatto ad Haiti, e gettano le basi per un cambio di regime a tutti i costi.
Oggi la posta in gioco in Venezuela va ben oltre i suoi confini. Il Venezuela è il punto cruciale di una guerra geopolitica condotta dal capitale globale, con gli Stati Uniti alla testa, per distruggere una volta per tutte la minaccia di governi del popolo. Gli Stati Uniti non sono riusciti a farlo in Vietnam. Non sono stati in grado di farlo a Cuba. E, finora, non sono stati in grado di farlo in Venezuela, anche se non hanno smesso di provarci. Il Venezuela non solo è stato in grado di ridurre la fame e la disuguaglianza e migliorare la vita di molti dall’elezione di Chavez, ma è anche stato in grado di offrire supporto ad altre nazioni che sopportano il peso del pugno pesante dell’impero USA, da Cuba a Haiti. Se gli Stati Uniti riusciranno a distruggere il governo bolivariano, sarà un duro colpo per le persone in tutto il mondo. Per gli Stati Uniti, la rivoluzione bolivariana in Venezuela deve essere distrutta. Maduro deve essere delegittimato. Il popolo del Venezuela deve essere fatto soffrire. Ma, per la maggior parte della gente del mondo, faremmo bene a ricordare le parole di Che Guevara che riflettono sul Vietnam: “Quanto sarebbe luminoso il futuro se due, tre, molti Vietnam fiorissero sulla faccia della terra … con i loro ripetuti colpi contro l’imperialismo, costringendolo a disperdere le sue forze sotto la sferza del crescente odio dei popoli del mondo! “
IL VENEZUELA E’ IL VIETNAN DI OGGI!

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Celina della Croce è coordinatrice di Tricontinental: Istituto per la ricerca sociale, nonché organizzatore, attivista e difensore della giustizia sociale. Prima di entrare in Tricontinental Institute, ha lavorato nel movimento sindacale con la Service Employees Union e la Fight for 15, organizzando per la giustizia economica, razziale e degli immigrati.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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