Qual è la colpa di Salomè? Naturalmente per Marco e per Matteo, due dei quattro biografi ufficiali del figlio del falegname di Nazareth, è stata quella di aver voluto la morte di Giovanni Battista, uno che, nel fermento religioso di quegli anni, quando la vecchia religione stava morendo e ne serviva una nuova, per poco non è diventato “più famoso di Gesù”. E che Giovanni sia davvero il “numero due” è testimoniato dal fatto che la chiesa delle origini, quando la battaglia con le altre religioni era un vero corpo a corpo – e c’è stato un tempo in cui Mitra era in netto vantaggio – ha assegnato proprio a questo profeta pastore il compito di “presidiare” il solstizio d’estate, mentre Gesù doveva fare lo stesso con quello d’inverno. I solstizi sono come le stazioni a Monopoli, bisogna occuparli tutti per vincere la partita. A dire il vero Marco e Matteo non la chiamano mai per nome, ma la indicano semplicemente come la figlia di Erodiade. Sappiamo che si chiamava Salomè grazie a Giuseppe Flavio, e francamente questo ebreo che voleva diventare romano non avrebbe perso un’occasione così ghiotta per parlare male di una famiglia ebraica in vista e poco rispettabile, come quella di Erode, per di più con una storiaccia del genere: anche gli storici sanno che il sesso fa vendere.
Comunque Giovanni, per diventare davvero il “numero due”, aveva bisogno di un “cattivo”. E francamente Erode Antipa non aveva il fisico del villain. Ve lo ricordate in Jesus Christ Superstar? Grassottello, con i ricci, che canta una canzonetta dal ritmo ragtime? No, Giovanni aveva bisogno di un “vero” cattivo. Ci voleva una donna. Meglio giovane, meglio bella, meglio puttana. Il sesso aiuta a vendere anche le religioni, pensate alle conturbanti nudità delle Maddalene. Salomè era perfetta. Era giovane, era molto bella, quindi era una puttana. Una che balla mezza nuda, coperta solo con dei veli, è certamente una poco di buono. E visto che i solstizi sono sempre notti particolari, in cui le streghe fanno volentieri una capatina qui nel mondo dei vivi, Salomè poteva diventare benissimo una strega, la cattiva per antonomasia.
E così è nato lo scontro tra il profeta pastore e la strega puttana e ovviamente immaginate chi poteva vincere, visto che questa storia ce l’hanno raccontata sempre e solo dei maschi. E’ Salomè che ha sedotto il povero Erode Antipa, che l’ha provocato con le sue danze lascive – d’altra parte, siamo onesti, chi avrebbe potuto resistere a Rita Hayworth – è Salomè che ha preso in mano la testa mozzata e sanguinante di Giovanni e l’ha baciata, in un una scena decisamente porn-splatter. Ma dalla bocca di Giovanni è uscito un vento impetuoso che ha scagliato via la strega, facendola volare in aria.
Secondo un’altra versione – neppure questa particolarmente favorevole alla povera Salomè – la giovane lasciva si sarebbe messa a piangere di fronte alla testa di Giovanni e quelle lacrime sarebbero la rugiada, che in queste notti d’estate rinfrescano la campagna.
Ma siccome le streghe sono dure a morire la rugiada della notte di san Giovanni è una rugiada magica, che rende potenti alcune erbe, come l’iperico e l’artemisia, erbe delle streghe naturalmente. E anche la felce, il cui fiore secondo la leggenda si schiude solo la notte di san Giovanni. E le noci ancora verdi bagnate dalla rugiada della notte di san Giovanni devono essere raccolte, solo da donne con i piedi nudi, per fare, la notte di san Lorenzo, il nocino, liquore amato dalle streghe.
Certo Giovanni ha vinto, c’è il suo nome sul calendario – e naturalmente questo calendario è solare, il calendario dei maschi – ma Salomè, la strega della notte del solstizio, resiste e noi maschi dobbiamo stare attenti: abbiamo certamente vinto molte battaglie, ma la guerra non è ancora finita. Un giorno, o meglio una notte di luna, Salomè e tutte le streghe potrebbero tornare nel posto da cui i maschi le hanno cacciate.

C’è una curiosa tradizione parmigiana – che non conosco in altre zone d’Italia – che racconta bene questa nostra terra emiliana: la sera di san Giovanni noi la festeggiamo mangiando i tortelli d’erbetta, annegati nel burro e asciugati nel parmigiano. E li mangiamo all’aperto, senza aspettare la rugiada, e li mangiamo insieme, in un rito collettivo. E ricordiamo in questo modo di essere stati contadini e celebriamo i prodotti della nostra terra e il lavoro che occorre per realizzarli. E mangiando i tortelli soprattutto celebriamo le azdore che li fanno, ossia le donne che “reggono” la casa, figlie di Salomè e delle streghe.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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