Con personaggi del calibro di John Bolton e Elliot Abrams che dirigono la politica estera degli Stati Uniti, il governo degli Stati Uniti ha abbandonato ogni pretesa di “negazione plausibile” per le sue iniziative illegali di cambio di regime. Le bombe “umanitarie“ potrebbero non cadere ma, non vi sono dubbi, gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra a pieno regime contro la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela.
Nel 1998, il Venezuela aveva avuto quasi mezzo secolo di dominio bipartitico. Un duopolio, non diverso dai partiti Repubblicano e Democratico negli Stati Uniti, si alternavano al potere imponendo un ordine neoliberista. I poveri e i lavoratori hanno sperimentato deterioranti condizioni di austerità, indipendentemente da quale partito fosse al potere.
Poi il candidato del terzo partito, Hugo Chávez, è stato eletto presidente. Lui ha iniziato quella che in seguito verrà conosciuta come la Rivoluzione Bolivariana, e ispirerà i popoli di tutto il mondo, mentre genererà l’inimicizia sia degli imperialisti statunitensi che delle élite venezuelane.
Questo articolo esplora i contributi, le carenze e le lezioni dati nei due decenni della Rivoluzione Bolivariana, nel contesto degli sforzi per il cambio di regime statunitensi, dal loro inizio agli attuali tentativi di insediare come presidente del Venezuela il non eletto Juan Guaidó.
Forgiare una nuova identità nazionale basata sulla storia del proprio popolo.
La storia, si dice, viene scritta dai vincitori. La narrazione storica riflette tipicamente la classe che schiavizzò gli africani, predò gli indigeni e sfruttò i lavoratori. Ci sono delle eccezioni. Negli Stati Uniti, abbiamo l’eredità della Storia Popolare degli Stati Uniti di Howard Zinn.
In Venezuela, Chávez rivede la storia del suo Paese e in questo modo produce un cambiamento di coscienza nazionale. Prima di Chávez, il Venezuela era probabilmente il paese più a favore degli Stati Uniti di tutto il Sud America. Miami era additata per l’affermazione culturale; il baseball era il passatempo nazionale.
Chávez prese particolare ispirazione dal leader della lotta sudamericana contro il colonialismo spagnolo, e chiamò il suo progetto in onore di Simón Bolívar, conosciuto come il “Liberatore”. Bolívar non era solamente un leader nazionale, ma un vero internazionalista. Il progetto bolivariano si ispira all’integrazione delle nazioni basate sul rispetto reciproco e sulla sovranità. Un Bolívar preveggente dichiarò nel 1829: “gli Stati Uniti sembrano essere destinati dalla Provvidenza ad affliggere l’America Latina con la miseria in nome della libertà.”
Queste nuove identità e coscienza nazionale venezuelane, basate sulla storia raccontata dal popolo, potrebbero rivelarsi l’eredità più duratura della Rivoluzione Bolivariana.
Società inclusiva.
Fondamentale per il progetto bolivariano è stata l’inclusione degli ex diseredati: in particolare delle donne, delle persone di colore, e dei giovani.
Come ha osservato Greg Grandin, professore di Storia Latinoamericana alla NYU, questa inclusività ha risvegliato “una profonda paura verso l’odio primordiale, il razzismo e la furia dell’opposizione, che è diretta, per ora, sui funzionari dello stato di Maduro, ma scaturisce in realtà dall’allargamento della sfera pubblica fatto da Chávez per includere i poveri del Venezuela”.
Per esempio, quando una manifestazione dell’opposizione si imbatté in un venditore ambulante di discendenza africana, fu ritenuto uno chavista perché aveva la pelle scura ed era povero. I dimostranti dell’opposizione gli versarono addosso della benzina e gli dettero fuoco. Poi l’immagine orribile fu pubblicata sui social media.
Un esempio meno raccapricciante si è verificato all’Ambasciata Venezuelana a Washington, DC. Gli attivisti nordamericani, in solidarietà con il governo bolivariano, hanno protetto per 36 giorni, in conformità con il diritto internazionale, l’ambasciata dall’essere usurpata dai rappresentanti di Juan Guaidó sostenuti dagli Stati Uniti. Prima che i protettori venissero sfrattati dai servizi segreti statunitensi il 16 maggio, i venezuelani dell’opposizione all’estero protestavano contro di essi e agitavano delle banane contro gli attivisti della solidarietà Afro-Americana, cantando “torna allo zoo”. Questo è il disprezzo razzista che alimenta l’opposizione venezuelana.
Opzione speciale per i poveri e i lavoratori.
Perché uno stato di tutte le persone dovrebbe avere un’opzione speciale per chi è povero e lavoratore? Perché sono queste le persone che hanno più bisogno dei servizi sociali dello stato. I miliardari non hanno bisogno di scuole governative, degli ospedali e di alloggi, mentre la gente venezuelana ne ha sicuramente bisogno.
Il progetto bolivariano aveva dimezzato la povertà e ridotto di due terzi la povertà estrema, fornendo al contempo assistenza sanitaria e istruzione gratuita. Il 27 maggio, le Nazioni Unite hanno citato il Venezuela come uno dei paesi all’avanguardia mondiale nel garantire il diritto all’alloggio, riconoscendo gli oltre 2,5 milioni di unità abitative pubbliche costruite.
Promozione della democrazia.
Il ruolo di uno stato che aspira ad essere socialista non è semplicemente quello di fornire assistenza sociale, ma di dare potere ai cittadini.
Il progetto bolivariano ha fatto esperimenti, alcuni riusciti altri no, in quella che viene chiamata “democrazia protagonista”: cooperative, consigli dei cittadini e comuni. Una delle prime priorità è stata l’eliminazione dell’analfabetismo. Lo stato bolivariano ha promosso stazioni radio comunitarie, computer a basso costo, internet caffè per gli anziani, e altri luoghi di espressione popolare. Il Venezuela ha ora uno dei più alti tassi di frequenza dell’istruzione superiore al mondo. Non sono queste le caratteristiche di una dittatura.
Socialismo del ventunesimo secolo.
Perfino più di Bernie Sanders, la Rivoluzione Bolivariana ha messo il socialismo all’ordine del giorno del XXI secolo. Per questo dobbiamo ai venezuelani un debito di gratitudine, non per averci fornito un manuale da copiare, ma per aver dimostrato che la creazione di un mondo migliore è principalmente un processo.
Questa non è stata la trasgressione primaria che ha messo il Venezuela nel mirino dell’imperialismo statunitense. Promuovere il socialismo può essere considerato blasfemo, ma il peccato originale è il seguente.
Mondo multipolare e integrazione regionale.
La sfida più grande all’Impero, all’unica superpotenza del mondo, è un mondo multipolare basato sull’integrazione regionale. Nel 1999, Chávez ha contribuito a rafforzare l’OPEC (l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio). Nel 2004, ha contribuito alla fondazione di ALBA (l’Alleanza per i Nostri Popoli d’America), seguita da PetroCaribe nel 2005, della UNASUR (l’unione delle nazioni sudamericane) nel 2008, e della CELAC (la comunità degli stati dell’America Latina e dei Caraibi) nel 2011. Il Venezuela ha sempre dimostrato solidarietà alla lotta palestinese e ad altri popoli oppressi.
Quando il pesce piccolo si organizza, il pesce grosso diventa cattivo. Soprattutto, questo è il motivo per cui l’egemonia mondiale ha preso di mira il Venezuela.
La transizione traumatica da Chávez a Maduro
Chávez, affetto da cancro, è morto il 5 marzo 2013. La reazione in Venezuela si è polarizzata. Le élite ballavano per strada. La maggioranza, composta principalmente da poveri e lavoratori, era traumatizzata.
I prepotenti del Nord, annusando sangue, hanno visto una opportunità. Gli Stati Uniti avevano cospirato per rovesciare la Rivoluzione Bolivariana fin dall’inizio, sostenendo un colpo di Stato di breve durata nel 2002, seguito da uno sciopero dei dirigenti. Con la morte di Chávez, l’offensiva imperialista raddoppiò.
Secondo la Costituzione venezuelana, fu indetta una rapida elezione per sostituire il defunto presidente per il 14 aprile. Chávez, anticipando la sua scomparsa, aveva designato Nicolás Maduro come suo successore. Anche se i sondaggi avevano mostrato Maduro con un 10% di vantaggio durante la campagna elettorale, vinse con un margine ristretto dell’1,5%.
Ero a Caracas come osservatore elettorale quando Maduro vinse. La mia osservazione sulle elezioni è stata simile a quella dell’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, il quale, un anno prima, a proposito delle elezioni del ’92, aveva dichiarato che secondo il Carter Center “il processo elettorale in Venezuela è il migliore al mondo.”
A pochi minuti dall’annuncio della vittoria di Maduro, il principale candidato all’opposizione, Henrique Capriles, andò in TV per denunciare le elezioni come fraudolente e chiedere al popolo di “mostrare la propria rabbia”. “Iniziando così la violenta offensiva dell’opposizione, i guarimbas, che intendevano ottenere con la violenza ciò che non avevano potuto ottenere nelle elezioni democratiche.
Le accuse di frode dell’opposizione furono indagate dal Consiglio Nazionale Elettorale del Venezuela (CNE) e furono trovate infondate, sulla base di un audit del 100% del voto elettronico, confermato dalle schede cartacee. Capriles mantenne ancora l’accusa di frode, e gli Stati Uniti divennero l’unica nazione a rifiutarsi di riconoscere la presidenza di Maduro. La violenza dell’opposizione continuò, prendendosi oltre 40 vite.
Dopo aver assunto la presidenza, Maduro ha ereditato i problemi esistenti di criminalità, inefficienza, corruzione, inflazione e un sistema di cambio valutario disfunzionale. Questi erano problemi che esistevano durante il periodo Chávez, e anche prima. Questi problemi persistono in misura diversa fino ad oggi, nonostante programmi concertati per affrontarli.
Il presidente Maduro è stato tenuto sulla graticola dagli imperialisti fin dall’inizio. Lungi dall’avere una tregua, poco dopo la sua presidenza, il Venezuela è stato colpito dal crollo dei prezzi del petrolio, da un massimo di quasi 125 dollari al barile fino ai minimi di quasi 25 dollari al barile. Nonostante gli sforzi per diversificare l’economia, il Venezuela rimane dipendente dalle esportazioni di petrolio per la maggior parte dei suoi scambi commerciali, che vengono utilizzati per finanziare i programmi sociali.
Gli sforzi statunitensi per un cambio di regime si intensificano
La guerra per un cambio di regime da parte degli Stati Uniti continua ad intensificarsi con sanzioni sempre più severe. Queste misure unilaterali sono illegali secondo la Carta delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione degli Stati Americani, perché costituiscono una punizione collettiva. John Bolton, consigliere della sicurezza di Trump, chiarisce: “è come in Guerre Stellari, quando Darth Vader si prende qualcuno. Questo è ciò che stiamo facendo economicamente con il regime (venezuelano).”
Nel 2013, gli Stati Uniti hanno aspettato fino a dopo alle elezioni presidenziali venezuelane per dichiararle fraudolente. Non volendo correre rischi, gli Stati Uniti hanno dichiarato le elezioni del 2018 fraudolente quattro mesi prima che si tenessero. Ad unirsi a Trump in questa corsa al pregiudizio c’erano undici senatori democratici incluso Bernie Sanders.
Le accuse di frode si basavano su tre questioni: stabilire la data delle elezioni, squalificare i partiti di opposizione ed escludere i candidati all’opposizione. Maduro aveva sempre chiesto il dialogo con l’opposizione per fissare la data delle elezioni. Ma ogni volta che una data veniva concordata, l’opposizione si tirava indietro, dopo che i loro manager americani erano intervenuti. Per quanto riguarda i partiti squalificati, avevano perso il loro voto perché avevano boicottato le elezioni precedenti. Si sono poi rifiutati di ripresentare lo status di scrutinio, perché la loro intenzione era quella di non partecipare al processo elettorale.
Ai candidati dell’opposizione, vale a dire Leopoldo López e Henrique Capriles, era stato impedito di candidarsi, perché avevano commesso atti criminali che giustificavano la loro esclusione. López aveva chiaramente istigato alla violenza che poi provocò dei morti, e avrebbe ricevuto un trattamento molto più severo se avesse commesso tali atti negli Stati Uniti. Capriles era stato condannato per frode economica, “irregolarità amministrative”, durante il suo mandato come governatore di stato. Mentre i tribunali ritenevano Capriles colpevole, questa azione contro un avversario politico danneggiava l’immagine internazionale del Governo Maduro.
Nel complesso dopotutto, le accuse di frode da parte dell’opposizione radicale di destra erano principalmente dei pretesti per delegittimare le prossime elezioni. Tuttavia, diversi candidati dell’opposizione moderata si candidarono, sfidando gli Stati Uniti che chiedevano il boicottaggio delle elezioni.
Henri Falcón era stato il primo candidato dell’opposizione a candidarsi nel 2018, sostenendo una piattaforma neoliberista di privatizzazione, austerità per i lavoratori e sottomissione al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Gli Stati Uniti, che normalmente avrebbero accolto con gioia una simile piattaforma, invece minacciarono Falcón di sanzioninarlo per aver infranto il boicottaggio elettorale.
La spiegazione di questo comportamento apparentemente anomalo da parte del governo degli Stati Uniti era che la posta in gioco in Venezuela era molto più alta della sola presidenza. Il progetto di cambio di regime è quello di sterminare la Rivoluzione Bolivariana, invertire i suoi progressi sociali raggiunti, e riportare il Venezuela ad uno stato sottomesso, dove le più grandi riserve petrolifere del mondo sarebbero state sfruttate liberamente dalle società statunitensi.
Il mondo orwelliano della politica estera statunitense
In qualità di amministratore delegato dell’ordine mondiale capitalista (è questo che si intende con l’esercizio della “leadership mondiale americana”), l’allora Presidente degli Stati Uniti Obama nel 2015 dichiarò che il Venezuela costituiva una minaccia imminente e straordinaria per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Non intendeva una minaccia militare o economica. Sarebbe stato assurdo. Quello che Obama stava implicitamente confermando è che il Venezuela rappresentava una “minaccia di buon esempio”. Il Venezuela è in cima alla lista nera dell’imperialismo statunitense a causa del successo nelle cose buone, non dei suoi eventuali difetti.
Il presidente Trump intensificò le politiche di Obama per un cambio di regime in Venezuela. Condannando la Rivoluzione Bolivariana, Trump ha detto: “il socialismo non è questione di giustizia, non è questione di uguaglianza, non è questione di elevare i poveri.” Forse pensava davvero al capitalismo? Secondo il suo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, in un post su Twitter, rimuovere il presidente democraticamente eletto Maduro con un colpo di Stato violento e installare Guaidó, designato dagli Stati Uniti e non eletto, vorrebbe dire proteggere la costituzione venezuelana.
Dall’altra parte della navata, il senatore Sanders ha accusato Chávez di essere un “dittatore comunista morto”. “Alexandria Ocasio-Cortez ha descritto la guerra degli Stati Uniti per un cambio di regime come una gara di “regime autoritario contro democrazia”, con la discutibile presunzione che gli Stati Uniti rappresentino la democrazia.
Nella terminologia orwelliana dei politici americani e dei corrotti media ufficiali, un’elezione fraudolenta è quella in cui la gente vota la propria scelta. Un dittatore è la scelta democraticamente eletta del popolo. E il cosiddetto dittatore è un autoritario se resiste piuttosto che arrendersi al potere della prepotenza.
La resa non sembra essere all’ordine del giorno della Rivoluzione Bolivariana, con la risorsa statunitense Guaidó costretto a negoziare in Norvegia dopo il fallimento dei suoi tentativi di colpo di Stato. Nonostante le soffocanti sanzioni e le minacce di azioni militari, i poveri e i lavoratori del Venezuela, quelli più colpiti dalla guerra statunitense, rappresentano il più forte sostegno del loro governo eletto democraticamente.
Facciamo una fiction orwelliana ancora!
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Articolo di Roger Harris pubblicato su CounterPouch il 7 giugno 2019
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia