Chicago, una strada trafficata, piena di gente – e di musica – di un quartiere nero. Due bianchi, vestiti come due impresari delle pompe funebri, entrano al Soul food café e si siedono al bancone. La proprietaria li squadra, con l’aria di chi ha già visto molti tipi strani nel suo locale. Quello alto ordina pane bianco tostato, liscio, mentre quello più basso ordina quattro polli fritti. E una Coca.
Noi abbiamo scoperto così Aretha Franklin. E all’improvviso ci siamo trovati al cospetto di una regina, anche se indossa le ciabatte un grembiule stazzonato e un po’ sporco.
E la regina ci ha ordinato di pensare. Ci ha detto, in maniera piuttosto spiccia, di pensare alle conseguenze delle nostre azioni. Noi maschi non lo facciamo spesso. Crediamo di poter prendere la nostra chitarra e di andare in giro per il mondo. E siamo anche bravi a inventarci dei buoni motivi per farlo: a volte diciamo perfino che “siamo in missione per conto di dio”. Ma è meglio se non lo dite troppo forte di fronte alla regina, perché la figlia del reverendo Franklin non vuole che si bestemmi nel suo regno. Aretha ci dice di fare attenzione a quello che facciamo. E se adesso usciamo da quella porta non è detto che potremo tornare indietro
Ma dice anche un’altra cosa, questa volta rivolgendosi a un’altra parte dei suoi sudditi. E credo che questa sia la parte più importante del suo discorso. Ci dice: pensa, perché pensare ti rende libero – e soprattutto ti rende libera. Ripete ossessivamente queste due parole – think e freedom – finché non ci entrano nel cervello.
Aretha Franklin è una regina perché qualunque canzone decida di cantare quella diventa sua. Nel 1967 Aretha decide di prendere una canzone che Otis Reading ha scritto e portato al successo due anni prima, intitolata Respect, in cui si racconta di un uomo che chiede di essere rispettato dalla propria compagna. Cantata da Aretha quella stessa canzone diventa un inno di battaglia. Un inno per gli afroamericani che chiedono rispetto in una società in cui il razzismo è ancora molto forte, e un inno per le donne che chiedono rispetto in una società in cui il maschilismo è dominante. E Aretha è donna e afroamericana, quel grido risuona nella sua comunità e fuori, perché lei lotta contro due forme di discriminazione, una più forte dell’altra e che in qualche modo si alimentano.
E un anno dopo questo successo – Respect di Aretha surclasserà in tutte le classifiche la canzone di Otis Reading – la regina scrive Think. Perché non basta chiedere rispetto, bisogna anche guadagnarselo, e l’unico modo – ci dice Aretha – è quello di usare la propria mente.
E tu puoi andare in giro con i tuoi amici a far finta di aiutare dio, e puoi perfino tornare, ma fa’ attenzione, perché lei ha cominciato a pensare. E non vuole smettere. Per noi maschi questa canzone vuole suonare indubbiamente minacciosa. Ma deve essere anche una speranza, perché il mondo evidentemente ha bisogno del pensiero delle donne – visto anche come l’abbiamo ridotto noi, con i nostri pensieri maschili – se vuole essere libero.

Let your mind go, let yourself be free

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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