Oggi visita di Vladimir Putin in Italia e in Vaticano, dove incontrerà il Papa. In un articolo scritto per Inside Over rammento la sua affermazione sulla fine del neoliberismo nell’ambito dell’intervista rilasciata al Financial Times prima del G-20 di Osaka.
Intervista importante e affermazione altrettanto importante, perché dichiara finita un’epoca, quella caratterizzata dall’accaparramento del Potere, e di tutto il Potere, da parte di una ristretta élite che aveva immaginato un mondo nuovo, fondato sulla liberalizzazione/globalizzazione selvaggia.
“Sacra e selvaggia” dato che il neoliberismo è “dottrina economica” nel senso più ampio dell’espressione, dove il termine dottrina è rimando a una nuova religiosità, stante che ogni sua critica è respinta come odiosa eresia.
Una religione nuova ma antica: hegelismo trionfante, che tutto abbraccia nella sua dialettica inclusiva nella quale insieme stanno, e a vicenda si alimentano, l’ordine e il caos, la destra e la sinistra.
Ma al di là, nell’articolo accenno a come la constatazione di Putin sulla fine del neoliberismo, pur se ha destato reazioni, incontra convergenze sempre più convinte in Occidente.
Non si tratta di sfidare un ordine che si è posto come termine finale della storia (Francis Fukuyama l’aveva dichiarato nel suo libro “La fine della storia“), ma di constatarne la sconfitta.
La politica inizia a riprendere il suo posto nel mondo, anche se non ancora nei singoli Paesi, come ha dimostrato il vertice di Osaka dove Trump, Putin e Xi Jinping (e altri) hanno mostrato di avere un potere reale e non residuale – e di facciata – come accadeva ai cosiddetti vertici dei Grandi precedenti.
Non che sia finita la globalizzazione, certo, ma la sua forma sacra-selvaggia, che fino a un anno fa era considerata irreversibile, indiscutibile e, appunto, finale (o terminale per usare una parola che rimanda alla fine di un ciclo vitale).
Vladimir Putin ha avuto un ruolo importante, anzi decisivo, in tale cambiamento. Per il solo fatto di esserci e di aver difeso gli interessi della Russia contro gli interessi della globalizzazione suddetta, che prevedeva l’erosione degli Stati nazione e, in prospettiva, la loro scomparsa.
Da qui l’odio alla sua persona e sulla sua nazione. Anche perché la Russia, nonostante la sua flessione, era – ed è – in grado di difendersi a differenza di altri Stati nazione inceneriti in questi anni (Iraq, Libia, Siria etc) per aprire nuovi spazi alla globalizzazione, allargare l’area della destabilizzazione globale (necessaria a tale scopo e fonte di nuove opportunità) e come monito ai pochi che si opponevano ad essa.
Una fase è finita. Certo, la globalizzazione resta, come connessione globale e altro, come tante delle devianze del caso. Ma quel progetto si può dire fallito, a meno del ritorno dell’opzione Apocalisse, ovvero una guerra globale, molto più difficile ora di un tempo.
In fondo è la cosa più importante che dice Putin in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera di oggi, quando afferma: “Nell’ottobre dell’anno scorso abbiamo proposto agli Stati Uniti di adottare una dichiarazione congiunta sulla ‘non ammissibilità’ di una guerra nucleare e sul riconoscimento delle sue conseguenze distruttive. Però, a tutt’oggi, non c’è stata reazione”.
Un’intervista di due pagine nella quale non è stata posta nemmeno una domanda sull’Iran, criticità per la quale sta o cade la pace (e l’ordine) globale… fotografia della tragedia nella quale versa il giornalismo di quello che un tempo era il Bel Paese.
Per chi volesse, può leggere l’articolo scritto per Inside Over cliccando qui.