A chi giova la crisi di governo? Dal nostro punto di vista, quello di una sinistra che si richiama ad una visione marxista della società, quindi che si domanda…

A chi giova la crisi di governo?
Dal nostro punto di vista, quello di una sinistra che si richiama ad una visione marxista della società, quindi che si domanda a chi giova economicamente tutto ciò, la sempre più prossima caduta del governo giallo-verde può trovare spiegazioni tanto nell’impostazione della legge di bilancio dell’autunno che verrà quanto nei provvedimenti europei che saranno adottati a breve e che riguarderanno anche l’Italia: l’elargizione dei fondi ai singoli stati è materia che da sempre divide i governi tra loro stessi e al loro proprio interno.

E’ evidente che il consenso di un governo si misura proprio nella capacità che ha, o che potenzialmente intuisce d’avere, nel mettere mano, dal suo punto di vista (quindi una visione liberista e fintamente sociale dei rapporti di produzione e di forza), tanto al rinforzamento dei privilegi dei grandi possidenti e del ceto medio da cui trae la maggioranza dei consensi quanto alla formulazione di politiche di contenimento dei bisogni sociali con riforme una tantum.

Il governo in queste ore traballa, volteggia pericolosamente su un asse di equilibrio sottilissimo come un funambolo alla prima prova della corda tesa tra due estremità temporali di una legislatura che, ormai, pure i sassi concordano nel dire che non arriverà mai e poi mai al suo termine naturale.

La risposta al cui prodest è pertanto da trovare in un complesso articolato incontro di interessi tanto economici quanto politici: l’inchiesta sui rapporti tra Lega e Russia è scottante ed ogni giorno se ne aggiunge un pezzo che di certo non aiuta Salvini a mettersi in quella disposizione di spavalda sicurezza nell’affrontare un Parlamento per cui non ha mai avuto grande considerazione (glielo ricordò persino Mara Carfagna a suo tempo…).

Del resto, però, agli italiani la vicenda del Russiagate leghista interessa soltanto la parte di popolazione non obnubilata dalla retorica demagogica del “capitano”, quella che mantiene una critica politica e anche civile ed etica nei confronti di un governo e di forze del medesimo che sono oggettivamente un nocumento per la democrazia e per la Repubblica.

La crisi di governo, pertanto, non è utile ai Cinquestelle che hanno sostenuto la nuova commissaria europea non tanto per fare un dispetto alla Lega, quanto per rimarcare una vocazione europeista proprio in materia di sostegno nei confronti dell’Italia; non fa gioco al PD che ritiene di avere nella sue mani una strategia di opposizione oggi da trasformare in nuova politica di governo domani da rinnovato “centrosinistra” magari reputando una mera sommatoria con Bonino e Verdi il diritto di potersi presentare e rappresentare come novità tanto politica quanto elettorale.

Una stantia riedizione di un prodotto già avariato e che finirebbe col far perdere l’anima a chiunque ne segua le sorti. Ma tant’è la prosopopea democratica su questo terreno è tale soltanto perché, seppure in condizione numerica molto inferiore, si ritiene (Maria Elena Boschi dixit odie dalle colonne de “La Stampa”) che la mobilità del voto sia così enorme da sovvertire qualunque ipotesi sondaggistica e, soprattutto, dall’allontanarsi dalla percezione reale che si ha del consenso che potrebbe ottenere la Lega in questo momento, parlando con quel popolo che i renziani prima hanno perso e che i zingarettiani oggi pensano di poter riconquistare in percentuali altamente improbabili.

Manca dunque una lucida e al contempo drammatica analisi sociale che sia lo specchio di una realtà dei fatti e dei rapporti di forza nella società che mostri l’evidenza che non si vuole o che non si riesce a vedere.

Probabilmente il PD è certo di recuperare i voti tanto del ceto medio produttivo quanto quelli confindustriali e in parte quelli del mondo del lavoro e dello sfruttamento grazie ad una operazione di aggiustamento delle crepe di un volto politico che si riaprirebbero alla prima occasione di debolezza: francamente intravedibile già dopo il voto, quando, semmai Zingaretti ottenesse un 30/35% dei voti (vorrebbe dire recuperare almeno sei milioni di consensi… tanti quanti quelli persi dai Cinquestelle all’ultima tornata elettorale) avrebbe comunque la necessità di appellarsi ai Cinquestelle (che quasi certamente diminuirebbero considerevolmente le loro percentuali e i voti assoluti) o a ciò che rimane di Forza Italia: ipotesi quest’ultima credibile, visto che è stata possibile la scissione leghista dal centrodestra per creare un governo anomalo come quello attuale, risulta possibilissima anche l’ipotesi di una nuova alleanza tra la residualità berlusconiana e il fantomatico nuovo centrosinistra.

La visione molto prossima
Fin chi le ipotesi più o meno realistiche. Ma, nel concreto, sappiamo benissimo tutti che, almeno secondo i sondaggi, quindi una semplice ma comunque non trascurabile verifica della percezione dell’opinione pubblica in merito, Lega e Fratelli d’Italia, le due forze più a destra nel panorama politico parlamentare italiano, le due forze più reazionarie ed esclusiviste, quelle che si definiscono senza mezzi termini “sovraniste“, patriottiche e nazionaliste all’ennesima potenza, militariste e favorevoli a tutta una serie di normative che stravolgerebbero l’impianto egualitario della Costituzione, avrebbero dalle urne la simpatia di circa il 43% dell’elettorato.

Se vi si aggiunge Forza Italia, questo nuovo centrodestra a trazione sovranista, otterrebbe la maggioranza assoluta nelle Camere e potrebbe persino, magari con l’appoggio esterno di Forza Italia e di liste simili, minori, come quelle regionali che già hanno appoggiato Salvini nelle consultazioni locali (Partito Sardo d’Azione in primis…), formare un governo monocolore, considerando le poche differenze che intercorrono tra il partito del capitano e quello di Giorgia Meloni (senza dimenticare che una ipotesi di questo tipo avrebbe sicuramente l’appoggio di una galassia neofascista che rinuncerebbe al presentarsi al voto; ipotesi del resto già manifestata ad esempio da CasaPound).

Saremmo davanti ad una ulteriore virata a destra rispetto al governo attuale, pur considerando i Cinquestelle parte di un sistema di destromania che cambia muta a seconda dei problemi da affrontare e del consenso da attrarre.

Ritenere i Cinquestelle un soggetto politico che tutela una qualche forma di “stato-sociale” è già di per sé un errore: perché delle due l’una… o non si conosce la storia della formazione dello “stato-sociale” tanto in Italia quanto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, oppure si ritiene che semplici elemosine di Stato che non sono diritti universali ma costruzioni economico-politiche fondate sul debito nazionale siano per l’appunto una qualche forma di moderno “stato-sociale“.

Reddito di cittadinanza e “quota 100” non sono misure che intervengono nella struttura economica provando a farle cambiare rotta, ma sono interventi minimali e limitati nel tempo che si inseriscono in quadro che non ostacola i piani dei nemici di classe dei lavoratori, quindi dei liberisti di oggi, anche a livello europeo, basta leggere le dichiarazioni della nuova commissaria appena eletta, per l’appunto anche col voto dei Cinquestelle.

Dunque, una volta caduto il governo giallo-verde, quella che potremmo chiamare “la visione molto prossima” sarebbe questa: oltrepassati i sessanta giorni per mettere in piedi la macchina elettorale e il voto stesso, il sicuro successo della Lega e del partito della Meloni imporrebbe a Mattarella di dare a Salvini l’incarico per la formazione del governo più nero della storia della Repubblica.

Qualche paragone storico
Non è certificabile ciò che avverrebbe, quali ministri sarebbero assegnati a Giorgia Meloni e quale grande fetta terrebbe per sé la Lega. Ma è evidente che forze politiche come quelle citate, così la Storia ci insegna, offrono ai loro paesi soluzioni repressive per quanto concerne la criticità che si dovrebbe poter esprimere liberamente e, parimenti, rafforzano il loro rapporto con le grandi élite economiche, col grande capitale e, pur dichiarandosi “sovranisti“, proprio da una posizione nazionalista, proverebbero a disciplinare i rapporti con una Europa che non potrebbe chiudere loro le porte se non nel caso in cui ne venisse pregiudizio economico per l’intero sistema monetario e finanziario continentale.

Un tempo si poteva ritenere l’Unione europea almeno una garanzia in quanto a tutela dei diritti civili, delle libertà democratiche borghesemente intese. Oggi questa certezza sfuma allorché Ursula von der Leyen viene eletta anche con i voti di un sovranista pericoloso come Orbàn.

Significa che i sovranisti neofascisti moderni non escludono affatto di condizionare le politiche europee pur escludendosi dal dirigismo diretto della commissione e nella commissione europea. Somiglia molto al lavoro fatto da Adolf Hitler prima della sua ascesa al cancellierato, quando lasciò (e in parte fu costretto a lasciare) che Hindenburg imponesse una sorta di “neutralità politica” che limitava al momento l’ascesa nazista al governo ma che apertamente in modo autoritario pretendeva di archiviare comunque Weimar e imporre alla Germania un regime dispotico fondato sul rampantismo capitalista.

Ne seguì una “naturale” alleanza con la NSDAP che accresceva in tutto il Reich i suoi consensi e che ben presto sarebbe diventata l’unico partito legale in una Germania dove le violenze contro ebrei ed oppositori politici non si contavano più nelle cronache, tante erano e diffusissime, protette e incoraggiate dalle squadracce d’assalto delle SA e da partiti conservatori e nazionalisti come la DNVP di Hugenberg, sdoganati proprio dal “gabinetto dei baroni” e da quel Kurt von Schleicher che era ne era ministro della difesa.

A qualcuno in Germania, come oggi in Italia accade col governo giallo-verde pensando ad una sua involuzione verde-nera (o nero-verde che si voglia dire), può apparire che anche il successivo brevissimo gabinetto Schleicher fosse un contenimento ultimo del più feroce pericolo nazista: invece ne fu il terreno preparatorio, la rampa di lancio presso tutta una borghesia padronale che grazie a questa vecchia e decrepita aristocrazia militare di origine prussiana aprì le porte istituzionali al nazismo.

I tempi sono cambiati“. “Il fascismo non può tornare in quelle forme, figuriamoci il nazismo“. Certo che i tempi sono mutati e che fascismo e nazismo sono irripetibili nelle stesse identiche forme e persino nelle attribuzioni nominalistiche a nuovi progetti politici dell’oggi.

Ciò non toglie che un governo futuro formato da Lega e Fratelli d’Italia avrebbe connotazioni imperniate su una serie di “valori” che sono esclusivisti, che porterebbero il Paese a privilegiare in politica interna misure di restringimento dei diritti delle minoranze, di qualunque minoranza si voglia parlare: dal piano cosiddetto (impropriamente) “etnico” a quello culturale, da quello politico a quello sindacale.

Il rispetto della Costituzione non può diventare un formalismo, come del resto già oggi risulta essere: un ministro che punta i piedi e rifiuta di riferire al Parlamento perché, a suo insindacabile giudizio, andrebbe a riferire del nulla, di ipotesi, di fantasie, è il fenomeno evidente di una crisi di una democrazia molto meno che apparente, quasi ectoplasmatica, impalpabile, invisibile.

Rischiamo, dunque, di avere una Italia con una Costituzione lettera morta, semplice simbolo cui riferirsi ogni tanto per mostrare al popolo che non la si è abolita, che esiste e che quindi vi si può fare appello, salvo poi agire esattamente al contrario.

Che cosa possiamo fare? Alcune ipotesi
Non dulcis in fundo, ma ostendens amaritudinem animi si pone per la sinistra di alternativa, per noi comuniste e comunisti, per tutti noi che abbiamo prima combattuto il berlusconismo, poi il renzismo ed oggi il sovranismo, il problema su come, con le nostre residue, insufficientissime e inefficaci forze, essere di aiuto ad una democrazia borghese che ci è avversaria ma che pur sempre – rifacendosi al compromesso tra socialdemocrazia e liberalismo – è garanzia di un pluralismo delle idee e di tutte quelle libertà civili che una dittatura, un regime autoritario propriamente detto e definito non garantirebbe perché in contrasto con la sua propria natura assolutistica.

Ci dobbiamo porre da subito il problema dell’efficacia di ciò che resta del movimento comunista ed anticapitalista in questo frangente, sapendo che in altri periodi della Storia, anche e soprattutto italiana, i comunisti sono stati costretti a clamorose ritirate dovute alla creazione di condizioni favorevoli allo sfondamento sul piano sociale di forze di destre che offrivano soluzioni semplici a complessi problemi di tenuta economica di larghe fasce della popolazione.

Non occorre qui ripetere ciò che anche i bambini delle elementari probabilmente sanno: laddove si forma una contingenza strutturale economica favorevole, quindi quando si è nel pieno di una crisi che costringe alla sopravvivenza vera e propria, lì le destre estreme soffiano sul fuoco e alimentano paure, ossessioni e fobie vere e proprie. Del resto, parliamo appunto di “xenofobia” quando stigmatizziamo le politiche di governo in tema di migrazioni mostrate come “invasioni” e spauracchio degli spauracchi della sopravvivenza del popolo italiano.

Se ci dobbiamo porre il tema della nostra “efficacia” politica, non di meno dobbiamo porcelo dentro il contesto attuale e quindi presupporre tatticamente come dispiegare queste energie rimaste (che, a dispetto sempre della “percezione“, oggi criterio dominante rispetto alla concretezza della realtà dei rapporti di forza, sono maggiori rispetto a quanto si possa pensare). Andiamo schematicamente per ipotesi allorché si aprisse la crisi di governo e si dovesse andare al voto:

  1. Appello del PD alla ricomposizione del centrosinistra, ipotesi di alleanza sotto forma di “fronte popolare democratico” con Bonino, Verdi, socialisti, ecc.;
  2. Appello delle sinistra di alternativa alla formazione di un largo arco di forze politiche che, pur rimanendo separate nella presentazione al voto, si dicono pronte ad allearsi in Parlamento per creare un esecutivo di emergenza nazionale per impedire che le forze neofasciste assumano il controllo del Paese (una ipotesi di questo tipo potrebbe contemplare anche una forma di desistenza all’interno delle Camere da parte, ad esempio, di Rifondazione Comunista e Sinistra Italiana, quindi de La Sinistra, evitando di entrare a far parte del governo con propri ministri);
  3. Appello della società cosiddetta “civile“, dai sindacati all’ANPI, all’ARCI, a tutte le organizzazioni sensibili alla conservazione e tutela della Costituzione repubblicana per la formazione di una grande alleanza democratica (viene in mente la “GAD“, declinata diversamente oggi…) che si muova su due sponde: quella sociale e quella rappresentativo-politica nelle istituzioni, per rinsaldare il rapporto tra cittadini e luoghi del potere statale, per riformare e rifondare la Repubblica come patto sociale, civile, morale e politico del Paese intero.
    Questa ipotesi di lavoro comune e ampio potrebbe includere la seconda. Mentre la prima ipotesi è quella più restrittiva, meno strategica, molto più tattica e quindi a brevissimo termine.

Queste tre ipotesi sono frutto di una “tempesta del dubbio” che in questi giorni ho vissuto seguendo la non ancora dichiaratamente tale “crisi di governo“.

Sarebbe il caso di non stare a guardare il Paese, già ampiamente consegnato alle destre dalle sciagurate politiche liberiste fatte da una presunta “sinistra” che si è lasciata sedurre dai poteri forti e si è consegnata nelle loro mani, cadere nell’ultima tragica involuzione governativa.

Senza salvaguardia della Costituzione e della Repubblica non c’è possibilità di avanzamento della lotta sociale che, a prescindere dal ruolo sovrastrutturale delle istituzioni, continua ma che può anche essere abilmente addomesticata come, riprendendo un paragone storico, avvenne nel Terzo Reich quando, nell’arco di sole ventiquattro ore, si passò dalle celebrazioni del 1° Maggio 1933 allo scioglimento dei sindacati e alla instaurazione del “Fronte tedesco del lavoro“.

Allora non ci fu lotta di classe che tenesse, che potesse dire di ritrovarsi nella resistenza molto silenziosa e disarticolata al nazismo dominante.

Forse siamo ancora in tempo per evitare all’Italia di trasformarsi in un nuovo regime autoritario dal sapore moderno, dai contorni perfino democratici: l’apparenza ha sempre contato molto nello sciorinamento delle menzogne della propaganda. Ieri fatta dai microfoni della radio. Oggi dalle dirette Facebook e da tanti cinguettii…

Forse siamo ancora in tempo. Forse.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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