Riceviamo e pubblichiamo

“Repubblicani, vi va bene un presidente razzista?” Ecco la domanda posta dal comitato editoriale del Charlotte Observer, un importante giornale del North e South Carolina. La domanda si riferiva al comportamento di Donald Trump emerso in uno dei suoi più recenti tweet. Il 45esimo presidente aveva invitato quattro parlamentari statunitensi di ritornare al loro Paese se non sono soddisfatti dell’America.

Come spesso avviene in quasi tutto ciò che dice, le parole dell’attuale inquilino sono lontanissimi parenti della verità. Le quattro parlamentari attaccate da Trump sono americane, tre nate negli Usa e un’altra naturalizzata. Il loro Paese è quindi l’America anche per quella con cittadinanza acquisita mediante la naturalizzazione. Inoltre sono state elette dal sistema democratico statunitense, quindi americane a tutti gli effetti, e il loro Paese è l’America.

I nomi delle quattro deputate non erano stati citati esplicitamente ma si è capito subito che si trattava di quattro donne di colore e diverse etnie. I bersagli di Trump sono, come ha riportato la cronaca, Alexandria Ocasio-Cortez (NY), Rashida Talib (Detroit), Ayanna Pressley (Boston) e Ilham Omar (Minneapolis). Le quattro deputate elette nel 2018 sono state e continuano ad essere bersagli della destra per le loro idee liberal e si sono beccate il termine di “comuniste” da alcuni commentatori della Fox News. Le quattro hanno avuto anche qualche differenza di opinione con Nancy Pelosi, speaker della Camera, che vedono troppo cauta nei confronti di Trump. Tutte e quattro, infatti, auspicano l’impeachment di Trump come fanno anche altri 80 parlamentari democratici e uno repubblicano.

L’attacco di Trump ha avuto l’effetto di riunificare queste quattro parlamentari alla Pelosi la quale ha denunciato le parole razziste di Trump. Dal campo repubblicano invece il silenzio è stato inizialmente assordante come lo era in passato con il linguaggio offensivo di Trump. Adesso però, con l’elezione del 2020 all’orizzonte, la paura del Gop di adirare Trump si manifesta chiaramente. Nulla di nuovo. Neanche quando Trump attaccò John McCain, senatore e candidato repubblicano alla presidenza nel 2008, deceduto l’anno scorso, l’establishment del Gop si è rivelato difensore dell’eroe americano. Il silenzio dei repubblicani davanti ad un altra manifestazione razzista di Trump ci dimostra che il partito è nelle mani del presidente e che non si deve preoccupare del loro supporto. L’unico repubblicano che dall’inizio ha preso le distanze dalle asserzioni razziste di Trump è Justin Amash, parlamentare del Michigan, che ha recentemente abbandonato il suo partito dichiarandosi indipendente. Amash, figlio di immigrati palestinesi e siriani, ha detto che gli attacchi di Trump alle parlamentari sono “razzisti e disgustosi”.

Dopo qualche giorno però Mitch McConnell, presidente del Senato, e Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera, hanno dichiarato che il presidente non è razzista, additando l’estrema sinistra rappresentata dalle quattro deputate in questione come responsabili. In effetti, questi due leader hanno fatto quadrato intorno al presidente dimostrando la fine poco gloriosa del partito di Abraham Lincoln che loro malamente rappresentano.

Alcuni analisti hanno suggerito che gli attacchi razzisti di Trump dovrebbero scioccare tutti senza però ricordare che non si tratta di nulla di nuovo. La campagna elettorale di Trump è infatti iniziata nel 20015 con un annuncio in cui ha attaccato i messicani “come stupratori”, attaccando le donne, e chiunque gli abbia cercato di sbarrare il cammino, incluso i suoi avversari per la nomination. Le tendenze razziste di Trump erano già evidenti infatti anche prima dell’elezione. Si ricordano, per esempio, gli annunci messi da Trump in parecchi giornali nel 1989, auspicando la pena di morte per cinque teen ager (4 afro-americani, 1 ispanico) accusati di avere stuprato una donna bianca. I cinque furono condannati ma alla fine messi in libertà quando il vero colpevole confessò il reato.

Il razzismo di Trump non è isolato al Partito Repubblicano e riflette due Americhe, una idealistica e l’altra torbida e buia. L’America idealistica si è verificata solo in parte, come aveva spesso detto l’ex presidente Barack Obama, riconoscendo i progressi ma anche il bisogno di future migliorie. Si tratta dell’America della statua della libertà che dà il benvenuto ai poveri di tutte le parti del mondo e li amalgama per creare il crogiolo della cultura americana. L’America dell’uguaglianza e dei diritti senza riguardo al colore della pelle, etnia e sesso.

L’America di Trump invece riflette quella parte dell’America orrenda basata sull’odio e il razzismo che ha eliminato i nativi americani, messo in schiavitù centinaia di migliaia di africani e escluso immigrati cinesi. Queste due Americhe si sono confrontate con la Guerra Civile del 1861-65 con la vittoria del Nord che avrebbe dovuto mettere in pratica gli ideali della costituzione. Ciò è avvenuto ma solo in parte. Trump si allaccia all’America dell’odio per ragioni politiche. Sa benissimo che i suoi attacchi alle quattro parlamentari faranno piacere alla sua base specialmente perché avvengono dall’inquilino della Casa Bianca che li rappresenta e li legittima.

In questa America di Trump non c’è spazio per diversi colori eccetto quello bianco. L’asserzione di Trump che le quattro deputate dovrebbero ritornare a casa loro è un’espressione da bar che farà piacere ai suoi fedelissimi. Offrirà un senso di legittimità a tutti coloro che hanno difficoltà ad accettare la diversità non solo in America ma anche in altri Paesi dove un linguaggio simile viene usato per riferirsi ai migranti. “Ritorna al tuo Paese” è una frase che non pochi stranieri si sentono dire specialmente adesso con un presidente alla Casa Bianca che usa quello stesso linguaggio divisivo e offensivo.

Con i suoi recentissimi tweet Trump è riuscito a unificare i democratici i quali hanno approvato alla Camera una risoluzione che condanna i suoi commenti razzisti. I democratici hanno votato compatti ma anche 4 repubblicani e un indipendente si sono uniti a loro (240 sì, 187 no). La risoluzione non ha valore legale ma vuol dire che i democratici, a differenza dei repubblicani, hanno dimostrato di potere arginare il linguaggio offensivo del presidente. Un presagio alla richiesta di impeachment richiesta da più di 80 parlamentari?

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

Di AFV

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