Andrea Camilleri non è stato un semplice scrittore ma è diventato un fenomeno di massa, si potrebbe dire “di costume”, eppure lo stesso autore siciliano ha lamentato blandamente una carenza di attenzione da parte della sinistra marxista. Prendiamo ad esempio questo estratto di intervista: “D. Come spiega l’atteggiamento dei critici marxisti? La posizione del professor Alberto Asor Rosa, ad esempio? R. Questa è una cosa che mi domando sempre. Il nome giusto della persona giusta. Ma non mi ha mai letto, perché, entrando in contraddizione con se stesso, pensa che il successo di pubblico sia un segno di scarsa qualità letteraria. D. Per un marxista, questa non è una contraddizione? Pensare che il popolo sia… R. Certo che è una contraddizione, è quello che sto dicendo. Ma non è che ce ne facciamo un cruccio”. Neanche io ho mai letto un solo libro di Camilleri, né ho mai visto una puntata del commissario Montalbano. Mi prometto di rimediare in futuro; nel frattempo ho cercato di ricostruire a grandissime linee il suo pensiero politico. Mi sembra infatti che ciò sia necessario a fronte dell’influenza avuta dalla sua figura intellettuale. Occorre quindi un esame critico in grado di riconoscerne gli elementi di progressività e i limiti politici. L’analisi non verterà sui contenuti letterari, né sullo stile, sui quali non ho competenze adeguate. Questo costituirà evidentemente un limite al presente articolo, che potrà essere colmato da altri specialisti. Dopo una minima ricerca mi sembra di poter formulare la tesi che sia scomparsa una figura che ha genuinamente dato molto alla causa della libertà e dell’uguaglianza, ma di cui si debbano criticare alcune posizioni politiche inquadrabili più strettamente nel campo del socialismo utopistico piuttosto che nel comunismo leninista. Dal fascismo al comunismo Il padre di Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 6 settembre 1925 – Roma, 17 luglio 2019), Giuseppe Camilleri, fu tra i partecipanti alla marcia su Roma nel 1922. Il figlio non poteva che crescere da giovane fascista, eppure gli eventi della Seconda guerra mondiale lo portano presto ad un attivo antifascismo: diventa comunista fin dal 1942, quando aveva 17 anni, tanto che quando gli Alleati sbarcano in Sicilia, lo scrittore chiede subito i permessi per poter aprire una sede del PCI. Camilleri si è giustificato forse fin troppo per l’appartenenza giovanile fascista, “normale” data l’età e il determinismo socio-politico. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha confessato che avrebbe voluto dire un “no” più convinto al fascismo, “ma a essere onesti ci sarebbe voluto un coraggio inumano. Ho detto no, ma tardi, dopo averci creduto come tutti. A guardarmi indietro ora, ai miei occhi appaio come uno che ci è cascato e questo mi fa tanta rabbia”. In altra sede ha rafforzato il concetto: “Mi hanno domandato come abbia fatto a essere comunista appena diciassettenne e ancora col fascismo al potere. La domanda era però incompleta, perché prima ancora di chiedermi come avevo fatto a essere, avrebbero dovuto domandarmi come avevo fatto a non essere”. Che dire di quest’altra affermazione? “Non mi vergogno di essere stato fascista. Sono orgoglioso di essere stato e di essere un uomo di sinistra”. È evidente che non c’è nulla di cui vergognarsi ad essere stati fascisti in un periodo e in un’età che impediva il confronto e la stessa conoscenza di altre teorie politiche. L’acquisizione di una coscienza progressista è però fatto non scontato, di cui si può essere fieri. Negli anni successivi (dal 1947) pubblica racconti di terza pagina sui quotidiani L’Ora di Palermo e L’Italia socialista di Roma. Ancora in tempi recenti ha manifestato il suo debito di riconoscenza al metodo di analisi del materialismo storico formulato compiutamente da Marx ed Engels: “La lettura dei processi storici, priva di un supporto interpretativo, è inconsistente. La storia senza una chiave di lettura sarebbe una successione incomprensibile dei fatti. Ritengo che l’importanza della lettura marxista della storia sia essenziale per spiegare la struttura e la dinamica delle classi sociali”. La RAI: “Lei è troppo comunista” Nel 1954 partecipa con successo ad un concorso per funzionari Rai ma non viene assunto a causa delle sue idee politiche, a dimostrazione del livello di “liberalismo” presente nell’Italia anticomunista della Prima Repubblica, prona a Washington e a Confindustria. Nello specifico della vicenda, l’amministratore delegato dell’azienda, Filiberto Guala, lo giudica “troppo comunista”. Il giovane siciliano riesce poi ad entrare in Rai tre anni dopo, quando la prima distensione internazionale nella Guerra fredda tra USA e URSS pone termine temporaneamente al regime di guerra civile latente che aveva caratterizzato la società italiana dell’immediato dopoguerra. L’adesione alla “via italiana al socialismo” “Io ho sempre votato Partito Comunista che, bene o male, aveva il rispetto delle istituzioni”. In quegli anni il Partito Comunista Italiano fu un baluardo della democrazia liberale, perdendo presto (1956, anno di adesione alla “via italiana al socialismo”) ogni velleità di costruire una dittatura del proletariato, ma lavorando sullo sviluppo degli aspetti sociali e civili progressivi della carta costituzionale repubblicana. Siamo nell’ambito della “democrazia progressiva” di Togliatti. L’inizio di tale “revisionismo” del marxismo-leninismo è stato ben accolto da Camilleri, che ricorda di aver sostenuto il partito della democrazia e dell’avanzamento verso l’uguaglianza. Gli errori del PCI Camilleri ha indicato correttamente alcune delle cause contingenti del declino del PCI (il centralismo più burocratico che democratico, il distacco dal sindacato), senza però riuscire ad inquadrare tali problemi come conseguenza dell’errore strutturale figlio della strategia togliattiana. Si è espresso così sugli errori del partito: “per me, il principale, è stato un progressivo distacco della dirigenza dalla base, fino a creare una sorta di frattura e d’incapacità nella comunicazione. Noi, che eravamo tutt’uno con la base, abbiamo iniziato una sorta di diversificazione dalla base. Quando la base esprimeva, per esempio, il proprio candidato che era quello nel quale aveva fiducia e ci accostavamo ad eleggere, abbiamo cominciato a paracadutare candidati. O come il distacco grandissimo, tremendo secondo me, che si è creato tra il sindacato e il partito”. “Ma, scusate, cos’è il sindacato? Il sindacato sono i nostri uomini, i nostri iscritti. Che significa che c’è un distacco? Ci può essere una conduzione politica che non è una conduzione sindacale, questo è ovvio, lo vedevamo con Di Vittorio, l’abbiamo visto con Lama, figurati… Non doveva essere una cinghia di trasmissione, d’accordo, ma neanche bisognava tagliare la cinghia”. Sul gruppo dirigente “democratico” Nel 2004 si esprimeva molto più duramente con il gruppo dirigente “democratico di sinistra”. Camilleri era ormai approdato come molti altri all’antiberlusconismo organico e ad un malcelato disprezzo per i “post-comunisti” che inciuciavano con le destre: “Il distacco totale della dirigenza c’è. Quando il povero Nanni Moretti dice: ‘Guardate che con questa gente non si vince’, non è che dice una bestemmia, dice una mezza verità. Purtroppo! Perché la concezione della politica non è più berlingueriana, è una concezione di politica d’abord, come diceva il buon Pietro Nenni, ogni giorno viviamola, ogni giorno con gli accordi del giorno, non è modo di fare politica. Io non posso sentire un mio alleato che dice: ‘Beh, insomma, le leggi di Berlusconi non sono tutte da buttare via’. Quale? Quale, per favore? Il conflitto d’interessi lo manteniamo? La Legge Cirami la manteniamo? Il falso in bilancio lo manteniamo?” Camilleri si accorge in questi anni (2005) del potere sempre maggiore delle televisioni nel determinare l’opinione pubblica, tanto da giungere ad un livello qualitativo inedito di potere: “Le televisioni, che fino ad un certo momento sono state fabbriche del consenso, oggi hanno fatto un salto in avanti e sono diventate fabbriche del credere”. Emerge insomma da un lato un rimpianto per l’impostazione berlingueriana, ma lo scrittore non riesce ancora in questo periodo ad inquadrare il gruppo dirigente dell’Ulivo come un nemico, ormai schierato da tempo nel campo avverso al socialismo. A discolpa di Camilleri bisogna ricordare che simili ragionamenti erano diffusi e propagandati anche dalla maggioranza del movimento comunista, che nel 2006 fece nella quasi totalità l’errore di allearsi con il centro-sinistra in un biennio di Governo (Prodi 2006-08) all’insegna di politiche economiche liberiste e politicamente fallimentare. Il giudizio sulla storia dell’URSS… È interessante però constatare che nonostante una critica di fondo, Camilleri abbia mantenuto un giudizio dialettico sull’Unione Sovietica. Nel 2011 un giornalista di Libero riportava le opinioni dal suo punto di vista più “sgradevoli” dello scrittore. “Secondo lui, il moloch comunista aveva iniziato bene. ‘Se ne avesse avuto il tempo’, Lenin avrebbe davvero potuto portare a termine qualcosa di molto positivo. Solo dopo la situazione è un po’ sfuggita di mano al Pcus. ‘Più tardi ci sono state le azioni riprovevoli, ma non mi riferisco ai gulag’, spiega lo scrittore. ‘Voglio precisare che i gulag non furono campi di sterminio; Solgenitsin, tanto per fare un nome, con i nazisti non sarebbe sopravvissuto’. […] ‘Queste, chiamiamole così, azioni riprovevoli hanno offuscato ciò che ha rappresentato l’Urss’, dice lo scrittore. ‘Per milioni e milioni di persone il riscatto dalla povertà, la dignità del lavoro che l’Urss prometteva, sostituiva di gran lunga l’idea generica di libertà che l’America proponeva senza incidenza sulla realtà economica europea’. Senza contare poi che ‘si dimentica facilmente l’immane sforzo sostenuto dall’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale. A decine di milioni morirono per contrastare Hitler’. […] ‘Non c’è una persona trentenne, dai trent’anni in su, che arrivi dall’ex Unione Sovietica in Italia e che fa la modella, la cantante, la cameriera che non sia ingegnere o diplomata. Ciò significa che se il comunismo fosse continuato in Urss forse oggi l’Urss si troverebbe allo stesso livello della Cina’”. … e sulla Cina Sulla Cina e sulla rivolta di Tienanmen: “Vero, ammette, lì non si rispettano i diritti umani. Ma i governanti europei sono molto ipocriti. ‘Guardiamo in faccia alla realtà: anche i regimi cosiddetti democratici utilizzano il sistema dell’annullamento dell’avversario’. Peggio, molto peggio, la ‘dittatura’ di Silvio. A un certo punto, l’intervistatore De Filippo ha uno scatto di orgoglio e chiede al creatore di Montalbano di commentare i fatti di Tienanmen. Se qualcuno è sceso in piazza a protestare, subendo la repressione violenta del governo, qualcosa vorrà pur dire. Niente, Camilleri non cede. Dietro Tienanmen, per lui, c’è qualcosa di losco. E in ogni caso trattasi di episodio di poco conto. ‘Se metti cinquantamila in piazza in Cina non sono niente’. Se hanno sparato sulla folla, un motivo ci sarà: ‘Non credo che si spari facilmente neanche in un regime dittatoriale, è di una superficialità assoluta ritenere che lo si faccia facilmente’. Geniale conclusione: ‘Non so che cosa c’è dietro Tienanmen quindi perché devo parlarne?’” Notiamo in questi passaggi molti elementi che denotano una tenuta, se non una vera e propria resistenza attiva, dello scrittore al clima di revisionismo storico ormai imperante. Nel 2005 affermava, con una certa ambiguità in un pezzo uscito su Liberazione: “Un revisionismo storico che sia un sano revisionismo, è ammesso, è giusto, è doveroso. Tu non puoi sentire sui fatti della storia una sola voce. Ne devi sentire anche altre”. Tutto ciò ha però generato lo sdegno del giornalista reazionario di Libero, che ha riportato queste e le successive affermazioni con commenti caustici qui tagliati. L’ambiguità sulla dittatura Camilleri ha detto d’altronde chiaramente di essere un figlio del suo tempo. Non c’è da stupirsi quindi che abbia pienamente introiettato la visione berlingueriana del socialismo. Alla domanda se nei “regimi rossi” ci fossero restrizioni di libertà, Camilleri risponde così: “Quello è inevitabile perché tu… non sono cose che vengono fatte perché l’uomo è buono, allora di sua spontanea volontà… tu devi costringere l’uomo a fare alcune cose e quindi alcune libertà personali vengono limitate ma… la domanda che allora io rivolgerei è: dov’è che non vengono limitate le libertà personali nel mondo?”. Non una difesa molto capace, seppur volenterosa. Su Cuba: “C’è chiaramente una dittatura, ma non ci sono stati desaparecidos, cioè si sa chi era e chi è ancora in galera, con nome e cognome, non ci sono scomparsi perché prelevati di notte dalla polizia o dai paramilitari. Volendo, i parenti possono visitarli. Ci sono state fucilazioni ma vanno viste le condizioni che hanno portato a questo. Sappiamo soltanto quello che ci dice la stampa statunitense e non quella non condizionata”. Camilleri è consapevole del controllo imperialista sull’informazione, comprende le ragioni della violenza rivoluzionaria e la giustifica. In altra sede però ha scritto: “Il comunismo è una perdita di libertà, perché si manifesta come dittatura. È possibile ipotizzare un comunismo senza dittatura? Pare che non sia possibile. Io credo che lo sia”. La grande lacuna sta in quest’ultima affermazione, che non tiene conto degli sviluppi storici concreti dell’ultimo secolo. Un ‘comunismo’ non potrà mai essere esentato dalla dittatura perché sono in primo luogo i nemici, gli imperialisti, i borghesi, a impedirti di realizzarlo democraticamente. Un governo realmente democratico, che veda la partecipazione diretta dei lavoratori e della gente realmente onesta, è ciò che chiamiamo dittatura del proletariato, partendo dalla constatazione che oggi non c’è democrazia, ma una dittatura molto ben mascherata della borghesia. La dittatura del proletariato è tuttora una necessità politica e un obiettivo ineludibile per tutti coloro che intendano garantire maggiori libertà dai principali problemi quotidiani: il diritto di far sentire la propria voce, la possibilità di una reale partecipazione, la fame, la spesa, il lavoro, le bollette, l’affitto, il mutuo, la mancanza di tempo libero, un malessere esistenziale costante che si manifesta sotto forma di stress o altri disturbi di salute. Il socialismo non garantisce di essere felici, ma garantisce a tutti di poter dedicare più tempo a se stessi, sottraendolo alla schiavitù totalitaria del lavoro salariato. Con il socialismo i lavoratori producono per sé stessi, in quanto gli strumenti del loro lavoro, e la direzione complessiva dei lavori, passerebbero sotto un controllo pubblico. Con il socialismo si potrebbe garantire a tutti di lavorare 5-6 ore al giorno a stipendi più che dignitosi (1.500-2.000 euro). In Italia è presente una ricchezza tale da poter consentire una simile remunerazione diffusa. Si tratta solo di andare a prendere i soldi a chi ha speculato per anni sulla pelle di chi ha prodotto davvero la ricchezza nazionale. Questa è la necessità della dittatura del proletariato, perché un miliardario arriverà anche a metterti le bombe per le strade, pur di non perdere i suoi averi. Rimane ancora valido quanto detto da Lenin in Stato e Rivoluzione: “Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato”. Il comunismo come secolarizzazione del cristianesimo A confermare un’applicazione molto personale di Camilleri del comunismo c’è il seguente passo, tratto da Abecedario (2010). Per lui il maggior pregio del comunismo è stato sostanzialmente di aver favorito una diffusione di massa dei valori migliori del cristianesimo, in un’applicazione laica, concreta e secolarizzata. “Leonardo Sciascia sosteneva che il cattolicesimo e il comunismo fossero due parrocchie uguali, era un po’ cattivo coi comunisti. Intanto, il comunismo diceva e agiva cercando di far stare meglio gli uomini sulla terra e non nell’aldilà. Quindi le due parrocchie non erano mica tanto parrocchie”. “Io sono stato, e continuo a essere, un comunista. Certo il prezzo pagato è stato un prezzo alto, in vite umane, in molte cose. Certo che molte cose del comunismo, nella sua attuazione pratica, sono state sbagliate e si sono trasformate in errori tragici proprio nel conteggio di vite umane. Ma continuo a ritenere che l’aspirazione all’uguaglianza, al diritto uguale per tutti sia il dettame più cristiano che io abbia mai sentito, cristiano non cattolico. Purtroppo è un’applicazione terrena e quindi destinata a errori enormi, a sparire non saprei. Perché molti di quei princîpi sociali che erano alla base del comunismo sono entrati quasi senza avvertimento in certe visioni dello Stato sociale, della cura delle persone… Tante cose che nel primo Novecento non erano neppure ipotizzabili si sono insinuate, perché necessarie nel cammino sociale degli uomini. Non era un’utopia. È stata consumata e voltata in utopia proprio perché si è mal realizzata”. “Quando noi ci troviamo di fronte alla rivoluzione comunista in Cina, e dalla fame assoluta riesce a dare una scodella di riso a tutti, che cos’è questo se non un passo avanti nel vivere insieme di tutti gli uomini? […] Quando, in un futuro non troppo lontano, avverranno spaventose crisi economiche, perché ora siamo solo agli inizi di piccole crisi che colpiscono la finanza. In un futuro non così lontano, comincerà a mancare l’acqua. Stiamo vivendo in questi giorni un sommovimento mostruoso delle stagioni, blocchi immani si staccano, diventano iceberg perché la calotta polare non tiene più. Ci troveremo, credo, in un futuro non tanto lontano a combattere per un bicchiere d’acqua e allora forse ritroveremo una solidarietà che il benessere e il capitalismo ci hanno fatto dimenticare. Abbiamo rimosso non solo i princîpi del comunismo, ma anche quelli del cristianesimo e persino del vivere sociale”. Con una stoccata finale all’ipocrisia di molti cattolici: “Può un vero cristiano amare il capitalismo? Perché se è vero che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo, le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno”. Un ateo non militante Il passo è ancor più sorprendente se considerato che Camilleri da ragazzo era stato espulso da un collegio vescovile per aver lanciato uova contro un crocifisso. La scelta di essere sepolto in un cimitero acattolico è significativa, ciononostante Camilleri ha speso parole di grande elogio per papa Giovanni Paolo II, pur definito un degno e fiero avversario. Evidente infatti che Wojtyla, non è stato solo “il Papa veramente di tutti”, o il Papa “che più concretamente si è dato da fare per il mondo, per gli uomini”, come è stato affermato, ma quello che più di tutti svolse un ruolo politicamente attivo nel contribuire alla crisi del blocco socialista orientale. Troppa bontà nel giudizio di Camilleri, d’altronde in tempi recenti lo scrittore ha chiarito di non voler fare guerra alla religione, restando aperto al dialogo: “Si confonde l’ateismo militante con il non credere personale, come il caso mio. Io non sono un ateo militante, solo che io non mi faccio convincere”. Un attimo dopo però si definisce un “non credente possibilista”, articolando la propria posizione e la considerazione della forza che può offrire la fede: “qualsiasi atto che sia assoluto è sempre un atto di una presunzione mostruosa e, siccome ritengo di non avere una tale presunzione, dico: ma vabbé, per me le cose stanno così, poi… si vedrà. Per altro, non ho alcuna ironia verso chi crede, semmai posso avere un pizzico d’invidia. Veramente. E poi ho un enorme rispetto per le fedi, contrariamente ad altri. Quando vedo nei paesi arabi quale forza, non parlo dei kamikaze, sia la fede per affrontare la spaventosa povertà quotidiana… Certo è un oppio, ma nello stesso tempo è una forza, non so come dire, sembra una cosa contraddittoria…” Riecheggiano i temi di Bloch, ma anche un certo agnosticismo metafisico che certo non avrebbe trovato l’approvazione di Engels, mostrando l’influenza avuta su di lui dal post-moderno. Nel 2005 ha affermato, mostrando somiglianze con il ‘comunismo debole’ di Vattimo: “Non tendo ad una verità assoluta, dogmatica. Credo a verità relative. Ma quando anche la verità relativa viene stravolta ti domandi a cosa devi credere”. Gli ultimi anni Questa immersione nella metafisica del dubbio, tipica della filosofia dominante dell’ultimo quarto di secolo, ha avuto i suoi riflessi anche a livello politico. La passione politica dello scrittore è rimasta viva anche negli ultimi anni, adeguandosi al livello medio di un’opposizione votata sempre più alla difesa della Costituzione. Nel 2008 Camilleri partecipa alla manifestazione No Cav Day in piazza Navona, contro i provvedimenti del governo Berlusconi in materia di giustizia. L’anno seguente entra in politica prospettando il “Partito dei Senza Partito” con Antonio Di Pietro e Paolo Flores d’Arcais per partecipare alle Elezioni Europee, ma successivamente viene annunciato un mancato accordo. Nel 2011 a Roma ha sostenuto l’occupazione del teatro Valle fatta da parte degli artisti, parlando della “resistenza spontanea” come ultima forma di resistenza possibile. Nel 2013, dopo le Elezioni politiche, partecipa alla raccolta firme con l’appoggio di MicroMega che chiedeva di non fare entrare al Senato Silvio Berlusconi per la questione del conflitto d’interessi. Sempre nel 2013, infine, durante la presentazione in tv del suo libro Come la penso, si esprime sulla politica italiana manifestando la sua contrarietà al governo Letta e alla rielezione del capo dello Stato Giorgio Napolitano. In occasione delle Europee 2014 ha manifestato il suo appoggio, poi ritirato, alla lista Tsipras. Negli ultimi anni si è opposto nettamente al populismo (“è facile cadere nell’antipolitica, ma il populismo è la fiammata di un mattino”) all’ascesa della Lega di Salvini, accusando quest’ultimo di essere “un esempio lampante di mentalità fascista”. Sul terrorismo Come ha interpretato Camilleri la questione del terrorismo islamico? Pur senza affermarlo direttamente, si è mostrato consapevole dell’origine socio-economica del fenomeno, dando ad intendere che una soluzione vera del problema non si possa ottenere se non con una ristrutturazione complessiva del problema attraverso un nuovo ordine internazionale. Così in un’intervista del 2001: “Io credo che si stia verificando una opposizione di civiltà, e ritengo che questo sia un grave errore. Si è ampliato il concetto di terrorismo, estendendo tale termine all’Islam. Non c’è dubbio che Bin Laden ed i suoi seguaci siano dei terroristi, ma è sbagliato legare il concetto di terrore sic et simpliciter al mondo islamico”. “Le bombe non risolvono la questione, se non si eliminano le radici dalle quali scaturisce il terrorismo”. “Se Bin Laden verrà catturato, vi è il timore che altri prendano il suo posto, come per diritto ereditario. Perché rimane il substrato, rimangono le condizioni che permettono al terrorismo di attecchire”. Un progressista, un socialista In conclusione non si può che omaggiare l’impegno civico e militante dell’intellettuale progressista Camilleri, che ha manifestato simpatia per il comunismo. Di simpatia si deve parlare, e non di appartenenza organica, essendo le sue tesi più tipiche del socialismo utopistico, in parte della socialdemocrazia, con una moderazione (o meglio una trasformazione degli obiettivi di lotta) avvenuta soprattutto negli ultimi anni successivi alla caduta del blocco socialista. Marx diceva che con i poeti si può e si deve essere più tolleranti per le carenze ideologiche che manifestano, perché si tratta di creature speciali che nella loro attività contribuiscono già molto al progresso spirituale dei popoli. Non si può che essere d’accordo con questo parere illustre. Camilleri non era un intellettuale organico alla classe operaia e al leninismo, ma ha dato comunque un contributo importante a questo Paese e alla causa del comunismo, soprattutto negli ultimi anni dove, nonostante le evidenti lacune, si è issato ben sopra la coscienza media degli intellettuali nostrani. Sarebbe opportuno allargare questa interpretazione politica all’analisi delle sue opere, secondo un modello di critica letteraria alla Lukàcs che mantiene ancora una sua validità e un primato analitico. Sicuramente la scomparsa di Camilleri impoverisce la cultura italiana: è rimasto un ostacolo in meno al trionfo dei Fabio Volo e delle peggiori volgarità culturali che troneggiano in questo squallido mercato editoriale borghese. È mancato anche un intellettuale che fino agli ultimi anni ha mantenuto un’autonomia di pensiero in grado di reagire a certe istanze (non tutte) del totalitarismo liberale [1] in cui è precipitato il nostro Paese dagli anni ’90. A tal riguardo Giorgio Galli ha scritto pochi giorni fa: “Credo che si possa definire totalitarismo liberale l’egemonia dell’odierno capitalismo, quello globalizzato delle multinazionali [2]. Al di là di ogni errore politico e teorico che può aver fatto, Camilleri è stato un intellettuale progressista e progressivo; nella perdita delle certezze di un tempo ha sicuramente resistito meglio di altri e ha mantenuto una dignità di giudizio rispettabile. Con il cuore è stato un comunista, e che lui abbia rivendicato questa parola è cosa encomiabile. Di tutto questo gli va dato atto, e di questi tempi non è poco.

https://www.lacittafutura.it/cultura/il-comunismo-eterodosso-di-andrea-camilleri

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: