Vincenzo Comito

Una improbabile compagine azionaria dovrebbe nuovamente salvare l’Alitalia, tra concorrenti interni come Fs, esteri su tratte lunghe come Delta e Atlantia, sotto il ricatto della concessione autostradale. Probabilmente sarebbe più “sano” privilegiare il piano Lufthansa e affrontare le ricadute occupazionali.

Un tentativo con sbocchi difficili

La lunga e non brillante storia della nostra cosiddetta compagnia di bandiera si è arricchita negli ultimi tempi di un nuovo capitolo,  certamente non più entusiasmante di quelli precedenti; d’altra parte, pensiamo di non essere certo alle ultime battute del testo. 

L’esultanza mostrata da alcuni esponenti del Governo di fronte alla notizia di qualche giorno fa, relativa all’accordo raggiunto, dopo molte difficoltà e lungaggini, per la composizione del gruppo di intervento per il salvataggio di Alitalia, appare in effetti del tutto fuori luogo; e questo per almeno due ragioni, da una parte per l’incertezza che ancora avvolge il reale decollo della nuova compagine e dall’altra per le difficoltà che si frappongono nel riuscire veramente a salvare alla fine la – da lungo tempo – disastrata società romana. 

Dobbiamo preliminarmente ricordare che il nuovo gruppo di intervento dovrebbe essere costituito dalle Ferrovie dello Stato con il 35% del capitale totale (capitale che dovrebbe aggirarsi sul miliardo di euro e nel quale le Ferrovie impiegherebbero comunque, per coprire la loro parte, molte delle loro scarse risorse, che sarebbero così sottratte agli investimenti nel loro business principale), dal ministero del Tesoro con il 15% ( i due attori pubblici avrebbero il controllo della compagnia), dalla società aerea statunitense Delta con il 15% (l’importo relativo sarebbe solo una frazione molto ridotta dei suoi profitti relativi ad un solo anno) e infine con il 35% nelle mani di Atlantia, il gruppo autostradale controllato dalla famiglia Benetton e che ha già partecipato a due fallimentari precedenti tentativi di salvataggio (abbiamo assistito negli anni, più in generale, a ben quattro nuovi piani di rilancio, uno più improvvisato dell’altro).   

Bisogna a questo punto sottolineare che si tratta di una cordata solo potenziale, che non ha ancora preso nessun impegno concreto, impegno che si materializzerebbe invece solo dopo  l’approvazione del piano industriale per la compagnia, ciò che dovrebbe eventualmente verificarsi entro circa due mesi. Non è detto, in effetti, che alla fine del percorso si dia effettivamente il via al progetto, anche se il fatto appare a questo punto abbastanza probabile. 

Il gruppo delle società che dovrebbe intervenire presenta  diversi problemi: le Ferrovie sono oggettivamente interessate a continuare a sottrarre clienti alla compagnia sulle tratte interne e comunque è stata nella sostanza “obbligata” ad intervenire dal Governo, la società Delta si trova in conflitto di interessi sulle rotte atlantiche ed anche su quelle asiatiche, mentre Atlantia è stata tirata dentro la partita forse soltanto con il ricatto del ritiro delle concessioni autostradali. 

Così, nessuno dei soci sembra veramente avere una forte motivazione al successo di lungo termine del progetto e, vista la cosa da un altro punto di vista, manca nella compagine un socio industriale, esperto del settore, da porre ai comandi (Delta ha solo una presenza relativamente marginale e non di gestione),  debolezza fondamentale del piano. Il ruolo di gestore operativo sarà a questo punto assunto probabilmente da Atlantia, che non ha se non un’esperienza “laterale” nel comparto, dal momento che gestisce da diversi anni alcuni aeroporti. 

Bisogna poi ricordare che, in ogni caso, tale compagine, date alcune premesse di base contenute nel tentativo del Governo di salvare la compagnia, non dovrebbe plausibilmente riuscire a varare un progetto che riesca veramente a portare a risultati soddisfacenti.

In effetti, l’idea dello stesso Governo di far decollare un’azienda di trasporto aereo nazionale autonoma dai grandi gruppi appare sbagliata alla radice, dal momento che, in particolare, appare difficilissimo far restare a lungo a galla in Europa una compagnia di modeste dimensioni e dalle non grandi risorse finanziarie. 

Il campo è occupato da una parte da alcuni grandi gruppi, gruppi frutto tra l’altro dell’unione di più imprese precedentemente autonome, dalla Lufthanza alla AirFrance-KLM, alla IAG, società quest’ultima messa insieme dall’integrazione, tra l’altro, di British Airways e Iberia ( in questo processo di integrazione tra le compagnie europee l’Alitalia non è riuscita ad inserirsi a suo tempo per esclusiva colpa dei politici nostrani), dall’altra da due compagnie low-cost. Il mercato registra poi una lotta competitiva sempre più dura tra le varie imprese; solo la presa in carico da parte di una grande società del settore  potrebbe forse permettere di arrivare ad una conclusione positiva della vicenda.

Il contesto di mercato e la posizione di Alitalia 

Ricordiamo che, più in generale, le condizioni del mercato, che vedono comunque in questi anni la crescita annuale a livello mondiale aggirarsi intorno al 5% nel numero di passeggeri trasportati, sia pure con dinamiche differenziate nelle varie aree geografiche,  hanno già portato sia quello statunitense che quello cinese (i due più importanti al mondo) ad essere dominati da pochissimi gruppi, mentre in Europa il processo di consolidamento è certo ancora in ritardo, ma esso sta marciando inesorabilmente e a grandi passi. 

I numeri attuali vedono l’Alitalia posizionarsi nel settore nel 2018 con 21,3 milioni di passeggeri trasportati, un fatturato di circa 3 miliardi di euro e una perdita che si aggira sui 500 milioni di euro. Ricordiamo che la stessa società controlla oggi in Europa una quota di mercato inferiore al 2%, mentre in Italia essa si è fatta scavalcare sia da EasyJet che da Ryanair per numero di passeggeri trasportati e mentre la sua presenza negli altri continenti appare pressoché inesistente.

Ricordiamo ancora che nei primi sei mesi del 2019 la Ryanair ha trasportato 72,6 milioni di passeggeri, contro i 68,9 milioni della Lufthansa, i 55,8 della IAG, i 50,47 di AirFrance-KLM, i 45,3 di Easyjet e i soli 10,1 di Alitalia.

Un quadro quindi sconfortante e che appare molto difficile da rovesciare.

D’altro canto, si può aggiungere che il relativo ottimismo sparso nell’ultimo periodo dal Governo e dai commissari straordinari della società su un preteso miglioramento della situazione e dei conti appare per lo meno poco credibile. Il fatturato tende a crescere, ma in misura molto ridotta e seguendo a stento la dinamica generale del mercato, mentre la riduzione nel livello delle perdite tra il 2017 e il 2018 (da circa 600 a circa 500 milioni di euro) lascia ancora il campo a un necessario lavoro di miglioramento che appare presumibilmente immane.

Il piano industriale

Nessuno sembra ancora sapere quale dovrebbe essere il piano industriale. 

Certo, Fs e Delta hanno messo a suo tempo a punto un progetto di piano 2018-2023 che prevede al 2023 un modesto incremento dei ricavi nell’intervallo (3,6 miliardi di euro contro i 3,1 miliardi del 2018), un risultato operativo che raggiungerebbe nell’ultimo anno un piccolo utile, una riduzione nel numero degli aerei dai 117 attuali prima a 102 e successivamente a 109 e una diminuzione relativamente modesta del numero degli occupati (ma su questo ultimo fronte si preferisce sorvolare). 

Come quasi tutti i piani, esso si chiude alla fine, sulla carta, con numeri positivi, che appaiono peraltro scarsamente credibili in mancanza di una seria analisi dei fattori di rischio che potrebbero manifestarsi nel frattempo e di come essi dovrebbero essere affrontati, in presenza di un quadro finanziario non certo entusiasmante. Tra l’altro la previsione di un aumento di capitale di un miliardo di euro appare riduttiva rispetto alle necessità potenziali della compagnia, a meno che non si riesca in qualche modo a scaricare molti oneri su qualcuno. E in ogni caso il bilanciamento dei conti sarebbe raggiunto con un ulteriore ridimensionamento della società.

Ma tale piano è stato messo in discussione dall’arrivo di  Atlantia, che ha chiesto profonde modifiche allo stesso; alla società dei Benetton non va a genio che si riducano le rotte atlantiche e si faccia anche molto poco per quelle verso l’Asia, il mercato in maggiore espansione al mondo, cosa che fa certo invece comodo a Delta e ad Air-France-KLM; sempre Atlantia  pensa poi che i tagli di personale previsti siano, ahimè, ancora insufficienti.

Bisogna comunque ricordare, a questo punto, che esiste un progetto alternativo sul futuro della compagnia che è quello di Lufthansa, che si è offerta di rilevare la maggior parte degli asset,  ma con una forte riduzione nel numero degli aerei e con un altrettanto forte taglio del personale. Di recente la società tedesca ha fatto intravedere la possibilità di migliorare in qualche modo l’offerta, ma la reazione sia del governo che dei sindacati, preoccupati in particolare del pesante ridimensionamento previsto nel numero degli occupati, non sembrano molto favorevoli. 

Eppure quello della compagnia tedesca, pur con la sua durezza, appare l’unico progetto che presenti in qualche modo uno sbocco relativamente sicuro alla crisi. 

Conclusioni

E’ facile prevedere che anche se la nuova compagine si trovasse alla fine d’accordo nel varare un qualche piano di salvataggio, i risultati sperati, date le premesse, arriverebbero molto difficilmente. Sono troppi i fattori che sembrano remare in senso contrario. Rischiamo quindi fortemente di trovarci magari tra un anno a discutere ancora una volta della crisi di Alitalia. E a quel punto crediamo che nessuno se la sentirà più di parlare di rilancio.

Così la società Atlantia non riuscirebbe a “riscattarsi” dal disastro costituito dal crollo del ponte di Genova.

Noi non siamo certo ostili in generale all’intervento pubblico in economia, che anzi in molti casi auspichiamo e non partecipiamo quindi, evidentemente, agli “alti lai” che si levano sulla stampa ogni volta che si profila un possibile investimento dello Stato;  ma questo è uno di quei casi in cui “la materia è sorda all’intenzion dell’arte” ed anche l’intervento del Governo non può far sempre miracoli. Meglio forse sarebbe, sempre come Governo, affidarsi alla Lufthansa e trovare poi il modo di far fronte ai problemi occupazionali che ne deriverebbero.

Il caso Alitalia è solo l’ennesimo, e probabilmente non l’ultimo, esempio della crisi progressiva del nostro sistema delle grandi imprese nazionali, crisi avviata da molto tempo e dovuta all’incapacità delle nostre classi dirigenti, imprenditoriali, finanziarie e politiche, di stare al passo con i tempi. Aspettiamo che si manifesti presto la difficoltà ad andare avanti da parte di qualcun’altra tra le poche realtà societarie ancora in piedi

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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