Alcuni quotidiani oggi parevano quotidiani di fine ‘800, magari pure di inizio ‘900 quando si gridava al bombarolo anarchico qualunque cosa accadesse nell’Italietta del Regno di quell’Umberto I che finirà per davvero per cadere sotto il pugnale di un nemico dello Stato, dopo l’eccidio di Bava Beccaris. Oggi non ci sono sommosse per il pane, non ci sono repressioni a cannonate, non ci sono nemmeno anarchici con mano armata di coltello: ci sono “anarchici“, dicono i grandi quotidiani nazionali, che danno fuoco alle cabine di controllo dell’alta velocità ferroviaria. Questi presunti anarchici si definirebbero tali e rivendicherebbero persino su Internet le loro, diciamo senza alcuna ritrosia, malefatte; azioni sconsiderate, o forse considerate se a farle non sono veri anarchici ma qualcuno che potrebbe essersi prestato a ricoprire – almeno mediaticamente – il ruolo di eversore, di ribelle contro lo Stato ma soprattutto contro quella che viene chiamata la “modernità” dello spostamento. A leggere i quotidiani che chiamano in causa il mondo anarchico, pare davvero di stare nel “fosco fin del secolo morente” e comunque sull’”orizzonte cupo e desolato“, perché le dichiarazioni pubbliche sono di caccia non tanto a chi ha causato la fermata del trasporto ferroviario bloccando migliaia di persone nelle stazioni per mezze giornate, compromettendo loro non solo le meritate vacanze e le legittime ferie ma magari, anzi soprattutto, il lavoro quotidiano, i rapporti familiari, ma di una nuova “caccia alle streghe“, anzi agli “stregoni“. Purtroppo uno stigma te lo porti dietro tutta la vita, per tutta una storia se si tratta di un partito, di una parte, di qualcosa di organizzato o di pseudo tale: ai rom e ai sinti tocca l’essere ladri a prescindere: di bambini, di rame, di un po’ di tutto; per gli anarchici è la bomba, la dinamite, l’attentato incendiario. Piazza Fontana, la strage della stazione di Bologna (che ricorre a breve, Tra alta velocità e anarchici presunti tali…ai primi di agosto), attentati sui treni nel periodo della “strategia della tensione” costruita da un intreccio tra eversione neofascista, golpismo delle logge massoniche deviate e apparati dello Stato altrettanto tali: un tutto appartenente alle cronache giornalistiche di un’epoca mai troppo lontana quando si rievoca lo spettro dell’”anti-Costituzione”, dell’idea quindi di uno Stato autoritario, completamente opposto a quello disegnato nel biennio 1946-1948. Laddove scoppiava una bomba o avveniva un attentato dinamitardo, laddove saltava un traliccio della luce era certamente un anarchico il colpevole oppure un comunista come Feltrinelli. Salvo poi l’emergere prima di molti dubbi per le dinamiche di svolgimento dei fatti e il concretizzarsi poi delle certezze che a compiere atti di sabotaggio o di altra natura contro beni comuni, contro il popolo erano stati tutt’altri personaggi: di matrice quasi sempre neofascista. Vigliacchi assoldati da chi aveva interesse a destabilizzare la democrazia e a mostrare che i cattivi erano proprio coloro che si battevano in favore delle classi proletarie, sfruttate, dei lavoratori e delle lavoratrici. Oggi il parallelo è abbastanza facile da fare: il problema del TAV è sempre lì, scottante e sembra non trovare una soluzione. Le manifestazioni si protraggono da lustri e lustri: alcune sono forme di disobbedienza civile, coraggiosa, per cui molte compagne e molti compagni sono stati denunciati, incarcerati, messi agli arresti domiciliari per il solo fatto di aver oltrepassato la Legge non per arricchirsi indebitamente, trarre un profitto personale da un bene pubblico, sfruttare una carica pubblica per fini illeciti, ma per averlo fatto proprio in difesa di un principio, di una idea di sviluppo dell’ambiente e del sociale insieme che le cosiddette “grandi opere” non sembrano proprio garantire. Il TAV è uno degli scalini su cui inciampa il governo: è uno scalino che si ricorda ma vi si inciampa sempre perché le impostazioni tanto ideologiche quanto economiche sono diverse fra le forze che compongono l’esecutivo. La spaccatura verticale nella maggioranza sembra, come in molti casi, irrisolvibile: ma sono di oggi le parole del presidente del Consiglio su “La Stampa” che afferma di avere la speranza, quasi la certezza che alla fine il TAV si farà. Così come il vicepresidente del Consiglio Di Maio, facendo un po’ eco a Conte, ma su altra tematica, azzarda che alla fine le divergenze anche sulla sciagurata “autonomia differenziata” saranno ricomposte. Dunque, nella “settimana calda del governo“, questa in cui siamo ora, si smorzano i tizzoni ardenti, si getta acqua sul fuoco e si prova a raffrescare l’aria di Palazzo Chigi e di un Parlamento che ascolterà ciò che avrà da dire l’esecutivo sulle vicende del “Metropol“, sull’affare russo-italico dai contorni ancora non ben precisati ma tale da aver comunque reso questo luglio molto più incandescente di quanto potesse risultare per certuni. I veri anarchici sono persone che non prendono una latta di benzina e danno fuoco ad una cabina del controllo ferroviario. Può accadere che vi siano anche anarchici stupidi, così come esistono comunisti stupidi: del resto la stupidità è propria dell’essere umano… Ma, se sono politicamente comprensibili e sostenibili le lotte di resistenza e disobbedienza civile, è completamente “impolitico” e improduttivo un attentato incendiario come quello descritto dalle cronache odierne che va a penalizzare prima di tutto la povera gente che a fatica sbarca il lunario, che fa il pendolare anche con l’alta velocità e che non comprenderebbe mai la matrice “politica” di un gesto simile. Un atto criminale, perché quando si colpisce nella massa, si destabilizza la vita di chi vorresti pretendere di difendere, si compie un crimine contro i lavoratori, i giovani precari, le persone anziane e chiunque usufruisca di un bene pubblico, contestabile o meno che sia la sua realizzazione o esistenza. Come si può vedere, anche se quelli che hanno compiuto questo sabotaggio alla linea ferroviaria fossero anarchici, sono pure molto lontani da quei “giovani e belli” che cantava Guccini e che ci mettevano viso e corpo con la “macchina a vapore” nel lanciarsi contro un altro treno “pieno di signori”. Dunque tutto sono tranne che anarchici, anche se vogliono dirsi tali. La lotta contro le grandi opere la si conduce in massa: questo gli anarchici veri dovrebbero saperlo. Per questo avere qualche dubbio sul chi sia stato ad agire in tal senso è lecito, legittimo e politicamente corretto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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