Il gioco della “distrazione di massa” è una specie di domino cui non si riesce a sottrarre nessuno perché funziona “a cascata” e chi muove la prima pedina finisce poi per muoverle tutte, anche quelle che non vorrebbero cadere e che invece, per una questione di leggi fisiche, vengono spinte a terra. Fuori dal gioco antico delle tessere nere con i numeri a pallini bianchi sopra, funziona così anche nella praticità della vita quotidiana: causa ed effetto, seppur separabili da caso a caso, da vita a vita, hanno caratteristiche molto singolari ma poi tutto si compenetra e la vita umana sulla Terra finisce per essere un grande unico movimento pieno di contraddizioni e di differenze che, invece di essere valorizzate, vengono piegate alla dura legge della mistificazione. E’ un po’ lo scenario cui stiamo assistendo in questi giorni e che riguarda diversi ambiti della vita sociale, politica interna e internazionale del nostro Paese: l’”affaire Metropol“, i “bambini di Bibbiano“, il “SI’ TAV di Giuseppe Conte” e, infine, lo “smarrimento di 150 migranti” partiti dalla Libia, molti dei quali sono dispersi in mare… probabilmente già morti. Ho messo le virgolette a questi avvenimenti perché sembrano capitoli di un libro estivo delle attività, tanto del governo nella sua interessa quanto di singoli ministri, che sono adoperate in un ordine preciso per evitare che l’ultima sia la prima: la tessera che deve cadere sotto il peso delle altre è quella che più deve poter essere nascosta all’opinione pubblica, cadere nell’oblio anche momentaneo per lasciare spazio a qualche polemica e bega di palazzo che finisce poi con l’essere più o meno risolta o rimandata a settembre come un tempo si faceva con gli esami di riparazione nella scuola superiore. Ma esiste anche un altro codice di comportamento (anti)pubblico, una sottile linea della propaganda che viene adottata per screditare gli avversari, i detrattori che legittimamente hanno tutto il diritto – come noi qui – di criticare anche aspramente l’operato dell’esecutivo: si tratta di uscire dall’aplomb ministeriale, che dovrebbe essere quanto meno rappresentanza della “forma” quando non anche della sostanza delle proprie parole, e indossare ora la felpa ora la camicia che deve invogliare le menti pigre della popolazione ad adottare una specie di “gogna” dell’immediato, tutta vomitata sui social in lunghissimi elenchi di pseudo-commenti che, alla fine della fiera, sono spesso e volentieri anatemi privi di contenuto politico, logica e persino grammatica. La derisione, lo sbeffeggio, la bassa ironia dispensata a suon di “bacioni ai rosiconi” non fa che qualificare l’”altezza” istituzionale di chi pronuncia invece che controcritiche politiche solo una acredine che nasce dal fastidio di dover comunque rapportarsi con chi non la può pensare come il ministro in causa. Quando si inizia a tenere in poco conto la critica, quando la si reputa solo degna di irrisione e di dileggio, allora esiste un pericolo per i rapporti democratici tanto tra istituzioni, partiti e poteri dello Stato quanto per un rapporto più complesso e delicato che riguarda la convivenza civile quotidiana. In pratica si dà l’esempio: si dice alla gente, indirettamente, potete deridere anche voi chi vi critica, potete trattarlo alla stregua di chi veniva caricato su un mulo con un cartello al collo e fatto girare per le vie delle città ancora ottocentesche e preso a sputi, sguaiate risa, pomodori e insalata marcia. Invece l’interpretazione democratica, costituzionale del ruolo di governo dovrebbe assumere un’etica davvero “pubblica” e sentire tutto il peso della responsabilità davanti al Paese, in seno alla Repubblica. In queste ore nel Mediterraneo, il “Mare nostrum” tanto amato dai discendenti del fascio littorio, forse stanno morendo o sono già morte un centinaio di persone. Di persone. Persone migranti. Spesso ci si dimentica che siano persone. Li si chiama solo “migranti“. Così come ci si dimentica che un lavoratore sia uno sfruttato e lo si concepisce quasi come un comprimario dell’imprenditore (che invece andrebbe chiamato col suo vero appellativo: padrone). Ma siccome non si deve parlare degli orrori provocati dalle migrazioni forzate da guerre, carestie e fame, allora tocca parlare di una molto improbabile crisi di governo, che pure esiste, che è nei fatti, ma che sarà evitata almeno fino a settembre – ottobre: la tessera del domino chiamata “affare Metropol” scivola dietro altre. Tutto diventa meno importante perché si litiga sul “SI’ TAV di Giuseppe Conte” che riduce le speranze di incisività politica dei Cinquestelle nel governo ormai al minimo. C’è sempre un argomento che serve da specchietto per le allodole e che devia la luce altrove, che sposta l’attenzione e che contribuisce a creare false speranze, pie illusioni avendo dietro una sequela di capovolgimenti fantasiosi della realtà che non fanno per niente sorridere ma accapponare la pelle per la disinvoltura con cui vengono pronunciati e, soprattutto, presi per verità assolute da larga parte della popolazione. Dunque, il problema culturale di questo popolo, di questo nostro Paese rimane e si allarga ogni giorno di più: di contro, la risposta, se viene da Renzi è una risposta sbagliata. Soprattutto non è una risposta di sinistra. La grande assente, sperduta e smarrita in un deserto che è diventato un po’ la vastità del niente, il non rifugio della vigliaccheria che Rosa Luxemburg invocava quando parlava di tutta una serie di finti socialisti e comunisti, di persone che si sono dette tali e che oggi languono nella rassegnazione, nell’apatia, nell’inerzia, nel considerare irrecuperabile una voglia di rivoluzione. I veri irrecuperabili, invece, sono proprio costoro: socialisti e comunisti, gente anche vagamente di sinistra che si dice tale e che al minimo segno di crisi e di instabilità idel-politica ha preferito cavalcare i Cinquestelle prima e il PD di Zingaretti oggi, passando magari anche per il renzismo e chissà cosa d’altro. La lunga estate dell’ipocrisia politica italiana è appena cominciata…