Michele Paris
Se a Washington esistesse una vera opposizione politica contro la deriva neo-fascista dell’amministrazione Trump, i fatti che stanno accadendo in questi giorni a Portorico potrebbero facilmente ispirare una mobilitazione di massa contro un presidente profondamente impopolare e che agisce sempre più spesso in violazione dei principi costituzionali americani. Nell’isola caraibica, ufficialmente un “territorio non incorporato” degli Stati Uniti, un’ondata di manifestazioni di protesta ha infatti costretto qualche giorno fa alle dimissioni il governatore, Ricardo Rosselló, gettando l’intera classe politica in una crisi senza precedenti.
Per comprendere anche solo superficialmente i fatti, è necessario ricordare che le condizioni di vita a Portorico hanno raggiunto da tempo livelli insopportabili per ben oltre la metà di una popolazione di 3,2 milioni di abitanti. La situazione era iniziata a precipitare con il collasso della situazione finanziaria dell’isola e la successiva creazione, da parte dell’amministrazione Obama, di un vero e proprio organo dittatoriale.
Il predecessore di Trump aveva firmato una legge ad hoc nel giugno del 2016 (“Puerto Rico Oversight, Management and Economic Stability Act” o “PROMESA”) che istituiva una speciale commissione di sette membri (“Financial Oversight and Management Board”) con poteri assoluti sulle questioni di bilancio e sulle trattative per la ristrutturazione del debito dell’isola.
Questo organo, di fatto alle dirette dipendenze di Wall Street, aveva così iniziato un’operazione di drastica riduzione della spesa pubblica e una campagna di privatizzazioni per ridurre un debito complessivo superiore ai 70 miliardi di dollari, in gran parte detenuto da banche e “fondi avvoltoi”. Parallelamente, le manovre per il risanamento finanziario di Portorico sono state lanciate con appelli alla necessità di tornare a vivere “secondo i propri mezzi”, obbligando cioè la “working-class” a enormi sacrifici, mentre politici e uomini d’affari sguazzavano in un oceano di corruzione.
Su una realtà piagata da disoccupazione e povertà dilaganti si sono poi abbattuti i cicloni Irma e Maria nel 2017, facendo, secondo le stime più credibili, almeno 5 mila morti e provocando una nuova ondata di devastazione sociale, sfruttata ancora una volta per accelerare austerity e svendita di beni pubblici, anche a discapito della ricostruzione. L’insofferenza per la classe dirigente locale e per quella di Washington è poi aumentata in seguito alla gestione disastrosa dell’emergenza, assieme ai tentativi di minimizzare le vittime dei disastri naturali e alla visita a Portorico di un presidente Trump capace soltanto di ostentare indifferenza, se non aperto disprezzo, nei confronti degli abitanti dell’isola.
In questo scenario, una serie di inchieste e di arresti per episodi di corruzione e la recente pubblicazione di scambi di messaggi imbarazzanti tra esponenti di spicco del governo di Portorico hanno acceso definitivamente le polveri e scatenato una rivolta di massa che ha messo alle strette il governatore Rosselló. Quest’ultimo si era inizialmente rifiutato di farsi da parte, ma il persistere delle proteste lo ha convinto a desistere e a fissare al prossimo due agosto la data delle proprie dimissioni.
Nelle chat in questione si parlava di affari mandati in porto in maniera illegale approfittando sia della supervisione finanziaria esercitata sull’isola sia dei fondi stanziati per i lavori seguiti agli uragani. Ad accentuare la collera della popolazione portoricana sono stati anche messaggi gravemente offensivi rivolti alle vittime dei disastri del 2017. Ad esempio, un membro del governo locale aveva macabramente scherzato sui cadaveri ammassati negli obitori dell’isola, proponendo di “darli in pasto ai corvi”.
Alla fine e per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un governatore in carica di uno stato o di un territorio “non incorporato”, vale a dire gestito da Washington in maniera semi-coloniale, è stato costretto alle dimissioni da una mobilitazione popolare di protesta.
Nonostante la deposizione di Ricardo Rosselló, le manifestazioni non sono cessate. Anzi, colei che secondo la legge avrebbe dovuto succedere al governatore è stata anch’essa oggetto di proteste, perché già coinvolta in un procedimento di indagine e in quanto membro a tutti gli effetti del corrotto apparato di potere portoricano.
La segretaria alla Giustizia, Wanda Vázquez, si è dunque rifiutata di prendere il posto del governatore dimissionario. L’immediato successore di Rosselló avrebbe dovuto essere in realtà il segretario di Stato di Portorico, ma il titolare di questa posizione si era già dimesso in seguito al coinvolgimento in un caso di corruzione.
La vicenda è sfociata allora in una crisi istituzionale, visto che la terza e la quarta carica in linea di successione non hanno potute essere considerate per ragioni diverse. Il segretario al Tesoro, Francisco Parés, non raggiunge infatti i 35 anni di età previsti dalla costituzione dell’isola per diventare governatore, mentre il segretario all’Educazione ad interim, Eligio Hernández, ha dichiarato di voler restare al proprio posto.
Rosselló dovrà ora decidere in fretta la nomina del suo successore e, secondo i media americani, potrebbe scegliere un segretario di Stato ad interim che finirà per assumere automaticamente la guida del governo di Portorico. Tra i più probabili candidati sembrano esserci il presidente del Senato dell’isola, Thomas Rivera Schatz, e la rappresentante di Portorico al Congresso di Washington senza diritto di voto (“Resident Commissioner”), Jenniffer González, entrambi affiliati al Nuovo Partito Progressista (PNP) del governatore uscente, così come al Partito Repubblicano americano.
L’importanza dei fatti di questi giorni a Portorico è che essi stanno avendo un’eco che va al di là dell’isola caraibica. Per cominciare, le proteste non si sono limitate al territorio controllato da Washington, ma hanno visto protagonisti anche migliaia di portoricani in svariate città americane, motivati sia dalla situazione nella loro terra di origine sia da quella che vivono quotidianamente negli Stati Uniti.
Soprattutto, poi, la classe dirigente di Washington, inclusi i vertici del Partito Democratico, di quello Repubblicano e la Casa Bianca, assistono nervosamente alla rivolta contro i loro omologhi di Portorico. In un clima di tensioni per certi versi non dissimili da quelle dell’isola e alimentato da disuguaglianze sociali e di reddito ugualmente gigantesche, ma anche dall’opposizione provocata dalle politiche ultrareazionarie dell’amministrazione Trump, in molti temono che la rimozione di Rosselló possa diventare un esempio e la rivolta senza precedenti contagiare in qualche modo gli Stati Uniti continentali.
A frenare una possibile mobilitazione contro Trump è in primo luogo però lo stesso Partito Democratico, i cui leader temono maggiormente un’eventualità di questo genere che il consolidamento in senso autoritario del potere del presidente. L’unica strategia che il partito di opposizione a Washington intende perseguire per combattere Trump è essa stessa reazionaria e consiste nell’alimentare una caccia alle streghe in relazione alle presunte interferenze della Russia nei processi “democratici” americani.
Sempre riguardo a Portorico, gli ambienti di Wall Street che stanno beneficiando della bancarotta del governo dell’isola e della dittatura finanziaria ad essa imposta temono anche che il persistere e il radicalizzarsi della mobilitazione in corso ostacolino la “ristrutturazione” del bilancio e finiscano per penalizzare gli avvoltoi detentori del debito. Dalle pagine di giornali come il Wall Street Journal si stanno per questo moltiplicando gli appelli allarmati a fermare le spinte destabilizzanti con tutti i mezzi possibili, inclusa la repressione.
Per lo stesso organo dell’industria finanziaria americana, i problemi di Portorico sarebbero assurdamente da collegare al “socialismo democratico”, secondo i cui principi avrebbe governato Ricardo Rosselló. Con accenti da vera e propria guerra di classe, il Journal ha attaccato di recente i lavoratori dell’isola, perché avrebbero finora goduto di privilegi intollerabili, come una certa protezione dai licenziamenti, una manciata di giorni di ferie retribuite ogni anno e modesti benefit economici.
Questi toni dimostrano che, senza una prospettiva politica efficace, la popolazione di Portorico rischia di ritrovarsi con un semplice avvicendamento ai vertici del governo dell’isola, consentendo come al solito alla classe dirigente di ricompattarsi e di stabilizzare la situazione sull’isola dopo le pericolose scosse registrate in questi ultimi giorni.
http://www.altrenotizie.org/primo-piano/8544-porto-rico-la-rivolta-minaccia-washington.html