di Jack Rasmus
In questo fine settimana la moneta cinese, lo yuan, ha infranto la sua banda e si è svalutato a più di sette contro un dollaro. Al tempo stesso la Cina ha annunciato che non comprerà più merci agricole statunitensi. La strategia commerciale di Trump e dei neoconservatori statunitensi è appena implosa. Come il sottoscritto è andato prevedendo, adesso è stata superata la soglia tra una guerra commerciale-tariffaria e una più vasta guerra economica tra gli Stati Uniti e la Cina, in cui sono ora messe in atto altre tattiche e misure.
Trump dichiarerà indubbiamente che la Cina sta manipolando la sua moneta. Una svalutazione dello yuan ha l’effetto di annullare i dazi imposti da Trump alla Cina. Ma la Cina non sta manipolando la sua moneta. La manipolazione è definita come un intervento sui mercati monetari globali per acquistare e/o vendere la propria moneta in cambio di dollari (la moneta globale degli scambi) al fine di influenzare il prezzo (tasso di cambio) di una moneta in rapporto con il dollaro. Ma la Cina non sta facendo questo, dunque non sta manipolando. Quello che sta succedendo è che il dollaro sta aumentando di valore (o è atteso farlo) e che tale aumento in effetti riduce il valore dello yuan. Lo stesso sta accadendo anche ad altre monete, con l’aumento del dollaro. Perché allora il dollaro si sta apprezzando? C’è una corsa globale alla sicurezza e ciò significa acquistare titoli del tesoro statunitense, che sono oggi in caduta libera in termini di tassi di interesse (e salendo in termini di prezzo). I prezzi dalle scadenze a un anno, o anche meno, a titoli del tesoro a dieci e trent’anni stanno accelerando. Ma per comprare titoli del tesoro USA gli investitori stranieri devono vendere le loro divise e comprare dollari prima di comprare titoli del tesoro. Tale crescente domanda di dollari è quella che spinge al rialzo il valore del dollaro, che a sua volta spinge al ribasso – cioè svaluta – lo yuan in rapporto al dollaro.
In altre parole, il rallentamento dell’economia globale che è determinato dalle guerre commerciali di Trump è ciò che sta causando la corsa al dollaro e al porto sicuro dei titoli del tesoro statunitense. Le politiche di Trump sono al centro del declino globale (già in corso a causa di forze fondamentali che rallentano gli investimenti e la crescita). Tale declino è ciò che spinge il dollaro e a sua volta fa scendere lo yuan. Le politiche di Trump stanno “manipolando” lo yuan.
La Cina naturalmente sta permettendo che la svalutazione si verifichi. In precedenza interveniva nei mercati monetari per comprare yuan al fine di impedire che si svalutasse. Oggi sta semplicemente lasciando corso libero al processo. Questa è la reazione della Cina all’imposizione da parte di Trump di dazi aggiuntivi del 10 per cento su 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi la settimana scorsa. Ciò segnala che la guerra ‘commerciale’ (oggi in trasformazione in una guerra economica) si è spinta oltre i dazi.
Con le recenti azioni di Trump, e le odierne reazioni della Cina, il potenziale di un accordo commerciale nel 2019 appare ancor più improbabile che in passato.
Che cosa farà ora Trump? Se resta coerente con il suo comportamento passato quando partner negoziali gli resisteranno egli cercherà un modo per “alzare l’asticella”, come si dice, e prendere ulteriori iniziative. Potrebbe intensificare il suo attacco contro Huawei e altre associazioni imprenditoriali e investimenti cinesi negli Stati Uniti. La Cina imporrà a sua volta restrizioni alle imprese statunitensi che fanno affari in Cina (cioè maggiori licenze, maggiori ispezioni doganali e imposizione di maggiori barriere non tariffarie). Potrebbe scatenare un boicottaggio contro le merci statunitensi in Cina. Potrebbe ridurre l’esportazione di ‘terre rare’ cruciali di cui dispone. Potrebbe sospendere la sua precedente decisione di consentire alle imprese statunitensi che operano in Cina di detenere la proprietà del 51 per cento di tali attività. E poi ha ‘l’opzione nucleare’, come si dice: tagliare profondamente o smettere gli acquisti di titoli del tesoro statunitense e in tal modo rimandare i dollari negli USA. Nel caso accadesse questo, il governo statunitense dovrebbe indebitarsi di più presso altre fonti per compensare il suo deficit annuale di bilancio. Ciò farebbe aumentare annualmente il debito nazionale ancor più rapidamente di quanto sia cresciuto: oggi più di 22 trilioni di dollari proiettati ad aumentare di più di un trilione quest’anno. Nel caso si verificasse la recessione i deficit e il debito potrebbero crescere di fino a 1,7 trilioni di dollari secondo l’ufficio ricerche dell’Ufficio del Bilancio del Congresso (CBO).
Ma col crescere della domanda di dollari per comprare titoli del tesoro, il Tesoro statunitense e la Fed avrebbero maggiori difficoltà a vendere titoli del tesoro in misura pari al declino degli acquisti cinesi, considerato che i prezzi dei titoli del tesoro stanno aumentando e i tassi d’interesse scendendo.
In breve, la guerra commerciale USA-Cina, il rallentamento dell’economia globale (oggi prossimo a riversarsi nell’economia statunitense), il deficit di bilancio USA e i tassi d’interesse della Fed sono tutti interconnessi. Le politiche di Trump stanno creando il caos in tutti questi fronti.
Quali sono allora alcune delle probabili risposte alle reazioni della Cina alla strategia dura di Trump, spinta da neoconservatori statunitensi da maggio?
I neoconservatori avranno conseguito il loro obiettivo che è sempre consistito nell’affondare i negoziati con la Cina a meno che quest’ultima capitoli sul tema della tecnologia. Dietro i dazi, dietro la guerra commerciale, c’è sempre stata la guerra sulle tecnologie della prossima generazione (cibersicurezza, 5G e Intelligenza Artificiale). E’ ora chiaro che la Cina non capitolerà, dunque non è possibile nessun accordo commerciale fintanto che i neoconservatori statunitense manterranno il controllo dei negoziati commerciali che a questo punto ancora hanno. I neoconservatori useranno ora la forte risposta della Cina agli ultimi dazi di Trump per convincere Trump ad assumere una linea ancor più dura contro le imprese cinesi negli USA e all’estero presso ossequiosi alleati come Gran Bretagna e Canada.
Il personale della campagna per la rielezione di Trump considererà questa un’opportunità per cominciare a incolpare la Cina del rallentamento dell’economia statunitense. Temi quali ‘Cina, la manipolatrice della moneta’ e ‘Cina, la fonte degli oppiacei USA’ possono diventare il mantra della Casa Bianca.
Le grandi imprese e multinazionali statunitensi saranno ulteriormente motivate a esercitare pressioni su Trump perché ritorni al tavolo dei negoziati e concluda un accordo. A oggi, tuttavia, hanno largamente mancato di riuscire a influenzare Trump e i negoziati commerciali. Il Pentagono, il complesso militare-industriale e le industrie belliche statunitensi hanno l’attenzione di Trump e stanno urlando ‘capitolazione sulla tecnologia o niente accordo’.
Globalmente le economie dei mercati emergenti saranno probabilmente le grandi perdenti a causa del peggioramento delle relazioni commerciali tra Trump e la Cina. Le loro monete di deprezzeranno come lo yuan. Ma hanno di gran lunga minori risorse della Cina per annacquare la crisi. Il declino del valore delle monete delle economie dei mercati emergenti (EME) si tradurrà in una maggiore fuga di capitali dalle loro economie, alla ricerca di un ‘porto sicuro’ nei titoli del tesoro statunitense, in altre monete (lo yen giapponese come valuta di speculazione) o in oro. Tale fuga di capitali rallenterà gli investimenti interni. Le banche centrali aumenteranno allora i tassi d’interesse per rallentare la fuga, ma ciò rallenterà ancora di più le economie nazionali. Il deprezzamento delle monete si tradurrà anche in un aumento dell’inflazione dall’importazione di merci e spingerà i livelli nazionali d’inflazione ancora più in alto, mentre contemporaneamente le economie rallentano.
Il deterioramento commerciale tra Cina e USA esacerberà probabilmente anche i conflitti inter-capitalisti, come già si sta cominciando a vedere nell’attuale disputa commerciale tra Corea del Sud e Giappone.
Il peggioramento della situazione USA-Cina avrà un effetto negativo anche sull’economia dell’Europa, già prossima a scivolare presto in recessione. Più dipendente dalle esportazioni, specialmente la Germania, il deterioramento del commercio globale accelererà il rallentamento dell’Europa. Anche la crescente probabilità di una Brexit ‘dura’ in arrivo nello stesso momento a ottobre quasi certamente precipiterà l’Europa in un’altra grande recessione.
Mentre l’economia globale rallenta e si contrae, i mercati finanziari – già fortemente in declino da picchi record – possono essere attesi diventare minacciosamente instabili. Ai primi posti nella lista dei mercati finanziari ‘fragili’ ci sono i prestiti bancari incagliati in Europa, Giappone e specialmente in India, i mercati delle obbligazioni societarie basate sul dollaro in America Latina. E negli USA i titoli spazzatura, i titoli societari da investimento di grado tripla B (anch’essi spazzatura) e prestiti a leva (cioè prestiti spazzatura) sono candidati a eventi di instabilità finanziaria post recessione.
In breve, Trump ha reso la politica economica statunitense un caos. La Fed e la politica monetaria non possono ‘salvarlo’. Recenti (e futuri) tagli ai tassi d’interesse non avranno virtualmente alcun effetto sull’economia reale statunitense nel suo rallentamento. E Trump ha essenzialmente annullato la politica fiscale. I suoi massicci tagli fiscali del 2018 (4 trilioni di dollari nel prossimo decennio) hanno avuto un ruolo fondamentale nei deficit annui da un trilione di dollari ora integrati nell’economia statunitense ogni anno per un altro decennio. Il debito nazionale statunitense salirà a 34 trilioni di dollari e, secondo il CBO, i soli interessi sul debito saliranno a 900 miliardi di dollari l’anno entro il 2027. Così la politica di bilancio in termini di politica fiscale è ora messa all’angolo. E massicci deficit e debito riducono l’azione politica di aumento della spesa governativa come via d’uscita dalla crisi di Trump.
Nell’ultimo decennio o più la politica statunitense è consistita nell’usare sia la politica monetaria sia quella fiscale per sovvenzionare redditi di capitale al ritmo di trilioni di dollari l’anno, ogni anno. Soleva essere che la politica monetaria (Fed) e quella fiscale erano utilizzate per ‘stabilizzare’ l’economia nel caso di recessione o inflazione. Non più. Un decennio e più di uso di queste politiche per sovvenzionare redditi di capitale ha condotto all’effettiva negazione dell’efficacia di queste politiche per la stabilizzazione economica.
Gli USA sono ora diretti a una grande recessione senza né ‘munizioni monetarie’ né munizioni fiscali a loro disposizione con cui cercare di stimolare l’economia mentre entra in recessione. Questo non è mai successo prima. Ma le conseguenze potrebbero essere enormi quanto a durata e gravità di qualsiasi recessione a venire.
Il dottor Jack Rasmus è autore del libro di prossima uscita ‘The Scourge of Neoliberalism: US Policy from Reagan to Trump’, Clarity Press, 30 settembre 2019. Il dottor Rasmus tiene il blog jackrasmus.com. Il suo sito web è kyklosproductions.com. Il suo profilo Twitter è @drjackrasmus.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-global-currency-war-has-begun/
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.