di Giuseppe Masala
Il dato più interessante della richiesta di autonomia differenziata del lombardo-veneto e dell’Emilia Romagna è senza dubbio la crisi della classe intellettuale e di quella politica del Nord che supporta questa scelta.
Innanzitutto, bisogna chiarire una cosa: non si tratta di una questione partitica. L’idea di un’autonomia differenziata a Nord è comune sentire. Sono sostanzialmente tutti d’accordo: la Lega, il Pd del Nord (credete che Marattin – per fare un nome – la pensi in maniera diversa da Salvini?), l’élite colta o presunta tale e anche molti parlamentari del Movimento 5 Stelle.
Tutti concordano sul fatto che il nord debba trattenere quante più risorse possibili (calcolate con il mezzo truffaldino del cosiddetto residuo fiscale) affinchè possa tenere il passo con la #KornEurope. Ovvero quel nucleo centrale dell’Europa nel quale si concentra la maggior ricchezza e il maggior tasso di industrializzazione. Calcoli sbagliati, ma non ce la fanno a capirlo. Il capitalismo delle global chain value è un modo di produzione spietato e neocolonialista che non fa prigionieri: gli anelli intermedi della catena vengono comunque spremuti come limoni.
Giusto per fare un esempio: il Nord ha accettato obtorto collo l’introduzione del cosiddetto reddito di cittadinanza, che è stato vissuto come un indebita sottrazione di risorse da destinare alla rendita parassitaria del Sud. Lasciando perdere che comunque anche al Nord le fasce a reddito basso hanno beneficiato del provvedimento ciò che appare evidente è che le élites del Nord avrebbero preferito un taglio della pressione fiscale per le imprese per dare maggior slancio e maggior competitività. Va bene, tutte le idee hanno piena cittadinanza.
Ciò che però non è chiaro a molti è che un sistema produttivo integrato – su posizione chiaramente subordinata – con quello della #KornEurope è in balia della volontà di questa.In altri termini se lo stato destina ingenti risorse al taglio delle tasse con l’intento di aumentare il tasso di profitto delle imprese del Nord, basta che i committenti tedeschi pretendano un prezzo più basso per le commesse e si approprierebbero del taglio delle imposte deciso da Roma. Insomma, assisteremmo al paradosso di uno stato italiano che sovvenziona e arricchisce l’industria tedesca. Inutile girarci attorno, il modo di produzione delle Global Chain Value è intrinsecamente neocolonialista.
L’unica soluzione è l’indipendenza: evitare a tutti i costi l’integrazione del sistema produttivo italiano nelle catene del valore della #KornEurope e costruire le nostre catene sulle direttrici balcaniche e sulle direttrici della sponda sud del Mediterraneo. E con queste poi muovere guerra al Moloch tedesco sui mercati mondiali: per esempio le nostre esportazioni in Cina sono solo il 3% del totale, mentre per la Germania la Cina rappresenta il primo mercato di sbocco. Dobbiamo produrre e vendere in concorrenza. Troppo velleitario e troppo visionario?
No, assolutamente. Il tasso d’inflazione italiano è lo 0,3%, quello tedesco l”1,8% dunque siamo infinitamente più competitivi sui prezzi in questo momento. Il nostro Niip è quasi in pareggio, le aziende italiane affogano nella liquidità inutilizzata (come da ultima indagine di Mediobanca). Abbiamo tutto per farlo, manca la consapevolezza dei nostri mezzi. Trent’anni di assoggettamento ai tedeschi hanno colonizzato le nostre menti e quelle delle nostre élites (soprattutte quelle del Nord completamente inebetite). I tedeschi queste cose le sanno benissimo perchè i numeri li sanno leggere a differenza degli italiani ed è per questo che vogliono rendere il processo totalmente irreversibile, anche spaccando l’Italia se fosse necessario.