“La crisi politica dimentica gli operai. Non avevamo dubbi”. Intervento di Federico Giusti
La crisi politica ha dimenticato gli operai, non è un luogo comune o un lamento estivo, è solo la constatazione di un dibattito che ormai inserisce una lista di priorità finalizzata alla salvaguardia del ceto politico e dei suoi giochi di potere.
Sui numeri gli organi di stampa non trovano un accordo, chi parla (La Repubblica) di 240 mila posti di lavoro a rischio, chi invece è ancora piu’ pessimista , per esempio Il Sole 24 Ore che parla di 380 mila.
Ma al di là dei numeri, che tuttavia pesano come montagne, il lavoro non rientra tra le priorità di un eventuale accordo di Legislatura su cui Mov 5 Stelle, Pd e alcune alte autorità dello Stato stanno lavorando da giorni.
Se cosi’ non fosse il primo provvedimento da intraprendere sarebbe proprio dedicato alla soluzione di vertenze ancora aperte o a bandire i concorsi pubblici indispensabili per la erogazione dei servizi alla cittadinanza.
Sono oltre 220mila i lavoratori “a rischio” nelle aziende in crisi, le aziende per le quali gli ammortizzatori sociali non sono sufficienti, esistono ad oggi ben 158 tavoli aperti al ministero dello Sviluppo economico, per non parlare poi dei 55mila precari della scuola con i fatici 3 anni di anzianità che avrebbero, in teoria ripetiamo in teoria, aperta la porta della stabilizzazione con quel decreto «salvo intese» approvato nell’ultimo consiglio dei ministri prima della crisi.
Il sindacato complice e rappresentativo lancia appelli ma poco ha fatto per reinternalizzare servizi con troppa faciloneria esternalizzati (per esempio le pulizie nelle scuole) o destinati anni fa ad aziende subito privatizzate, aziende che presentano fatturati ragguardevoli ma una forza lavoro inversamente proporzionale all’aumento degli utili.
La crisi di governo è una sventura ma siamo certi che in caso contrario il lavoro avrebbe avuto la dovuta considerazione ai tavoli Ministeriali e in Parlamento? Dubitiamo vista la storia recente, e non, del paese, viste le priorità nel dibattito tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione (o presunta tale).
La lista delle aziende in crisi, di quelle che hanno chiuso i battenti mandando a casa da un giorno all’altro la forza lavoro, è sterminata a dimostrare la crisi del sistema produttivo italiano per anni ancorato alle delocalizzazioni, agli insufficienti investimenti per ammodernare e innovare i prodotti.
Tante parole ma pochi fatti, per esempio alla voce riconversione produttiva che riguarda tante aziende che risentono della crisi della locomotiva tedesca.
Sono a rischio i concorsi pubblici per restituire agli ospedali infermieri, os e medici dei quali il servizio sanitario ha assoluto bisogno per non parlare poi dei maestri diplomati o dei tanti concorsi nello Stato e negli enti locali.
La concretezza del lavoro stride con l’astrattezza delle priorità del sistema politico per il quale la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma costituzionale rappresenta una priorità, priorità disconosciuta dal paese reale, quello per intendersi che fa sempre piu’ fatica ad arrivare a fine mese.
Quasi 75 mila lavoratori a rischio riguardano due soli settori, quello dei servizi e della industria pesante, altri 39 mila tra telecomunicazioni e call center per non parlare poi dei settori per i quali la crisi imperversa da almeno 15 ammi come l’areonautica, l’edilizia e la cantieristica.
La fotografia delle aziende in seria difficoltà è impietosa e ricorda che la crisi ha colpito da troppi anni il sistema produttivo nazionale, eppure il Governo Renzi ha diminuito gli ammortizzatori sociali, la loro durata e la platea dei destinatari. Nel suo anno di vita, o poco piu’, l’esecutivo Lega e Mov 5 Stelle ha arrancato e la task force al Mise si è dimostrata inadeguata ad affrontare e risolvere i problemi,
Nel paese esiste una vera e taciuta priorità: il lavoro. Ma i lavoratori, al pari dei migranti e dei soggetti sociali colpiti dal Pacchetto sicurezza bis, sono dimenticati dall’agenda politica.
E’ questa la amara constatazione di mezza estate che dovrebbe indurre noi tutti\e a non essere piu’ passivi spettatori ma protagonisti di rivendicazioni e iniziative forte per rimettere al centro la questione lavoro, pensioni, redditi, per investire non nella riduzione delle tasse ma nella riconversione dei siti produttivi nocivi all’uomo e all’ambiente. Un investimento che dovrebbe riguardare da subito istruzione e sanità, voci per le quali l’Italia spende assai meno degli altri paesi europei.