Spartizione del Kashmir tra Pakistan ed India
Francesco Cecchini
Con l’abolizione dell’autonomia, tredici milioni di persone nel Jammu e Kashmir (J&K), controllato dall’India, hanno trascorso gli ultimi giorni sotto un regime di straordinaria repressione e punizione da parte del governo induista di destra del partito Bharatiya Janata Party (BJP) di Narandra Modi. Questa azione infame ha pochi precedenti storici di tale portata.
Le tensioni tra India e Pakistan sono cresciute in questi giorni. I due stati, che hanno armi nucleari, si accusano a vicenda di scambiarsi fuoco d’artiglieria lungo Linea di controllo (LoC) che li separa in Kashmir.
Sabato scorso, l’ India ha denunciato che un soldato indiano è stato ucciso in uno scambio d’artiglieria iniziato dal Pakistan. Due giorni prima, Islamabad aveva denunciato che tre suoi soldati e due civili erano stati uccisi dall’artiglieria indiana in due diversi luoghi lungo il LoC. E così via in un escalation di accuse e minacce.
Venerdì scorso la Cina, su richiesta del Pakistan, ha sollecitato una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere delle accuse di Islamabad secondo cui le azioni di Nuova Delhi nel J&K violano il diritto internazionale, cambiando unilateralmente lo status di un territorio conteso e minacciando la pace regionale. L’incontro si è interrotto dopo 75 minuti, non solo senza una risoluzione, ma anche senza un comunicato stampa. India afferma che la Cina è stata isolato e che il Kashmir è un suo affare interno. Una posizione che è appoggiata dagli Stati Uniti.
Comunque un affare interna per la quale una popolazione di milioni di persone, quindi, è stata sottoposta a un security lockdown, blocco di sicurezza, che ha incluso coprifuoco generale, e il chiudere famiglie in gabbia nelle loro case con scorte sempre più ridotte di cibo. La libertà di parola e di riunione è stata abolita, con raduni di oltre quattro persone sono ritenuti illegali . I critici che hanno denunciato la repressione nei media sono stati incarcerati. Il trasporto pubblico è stato chiuso e l’economia della regione si è fermata
I 14 milioni di kashmiri non pensano che la loro patria sia un affare interno indiano. Il 16 agosto scorso dopo le preghiere del venerdì a Srinagar vi è stata un’importante manifestazione. I manifestanti sono scesi in piazza con cartelli con scritto “Stop al genocidio in Kashmir, Svegliati Mondo!”. Sono stati accolti con gas lacrimogeni e palle di gomma sparati da fucili, con feriti e, forse, morti. La repressione in Kashmir è stata paragonata a quella provocata dallo stato israeliano e dalle sue forze di sicurezza contro le popolazioni palestinesi della Cisgiordania occupata e di Gaza. Un precedente è anche l’invasione e l’occupazione dell’Europa da parte della Germania nazista.
Il Jammu Kashmir Liberation Front (JKLF) ha una posizione corretta. Con una lettera ad Antonio Guterres, segretario generale dellONU, ha chiesto un referendum per lindipendenza. La lettera scritta da Zafar Khan, responsabile degli affari diplomatici del JKLF, ha fatto riferimento alle ricorrenti azioni militari in corso tra Pakistan ed India che costituiscono una minaccia di guerra su vasta scala tra i due paesi sulla disputa del Kashmir pericolosamente aggiunte a una situazione già instabile, non solo per venti milioni di kashmirima per lintera regione dell’ Asia meridionale e oltre. Il pericolo è una guerra nucleare tra India e Pakistan. Il Jammu Kashmir Liberation Front (JKLF) ha sede a Londra ed è presente in Kashmir.
Bandiera del JKLF