Anche con la crisi in atto la Lega mira a superare il vecchio Stato nazionale e integrare le ricche regioni del nord nell’unità omogenea di business Germano-centrica, liberandosi della “zavorra” del Sud.

 di Renato Caputo

Viste le oggettive difficoltà – poste in primis dai poteri forti del capitale finanziario transnazionale, a partire da quelli che dirigono l’Unione europea – a realizzare diversi punti del proprio programma di governo, la Lega è determinata a realizzare l’obiettivo su cui è stata fondata e che ha costituito la sua essenziale ragione d’essere, anche innescando una crisi di governo. La netta opposizione di tutto il pensiero unico neoliberaleha impedito alla Lega di portare avanti il principale aspetto populistico del suo programma, la questione necessaria a dare la veste di rivoluzione passiva al proprio governo in realtà classista e antiproletario, ovvero l’eliminazione della controriforma delle pensioni targata Fornero. Del resto questo obiettivo era più propagandistico che reale, serviva a conquistare consensi fra le classi medio-basse, ma portarlo avanti fino in fondo avrebbe significato una rottura non facile da ricomporre con la medio-alta borghesia, che detiene il potere reale e del cui sostegno la Lega, non essendo certo un partito rivoluzionario, ha assoluto bisogno. Da questo punto di vista il confronto-scontro più rappresentato che reale con i poteri forti dell’UE è servito soprattutto come giustificazione davanti al proprio elettorato popolare, per non aver portato seriamente avanti questa parola d’ordine populista.

Anche l’altra bandiera populista del sovranismo è apparsa sempre più sbiadita, come era prevedibile la lotta ingaggiata dal governo Conte contro l’Unione europea è rimasta più formale che reale. Portarla avanti seriamente avrebbe significato mettersi contro la stessa grande borghesia e la piccola borghesia timorosa di perdere i propri risparmi. Anche la prospettiva di cambiare l’Ue dall’interno è sostanzialmente svanita, visto che proprio l’alleanza reazionaria che si stava costruendo a questo scopo intorno a Salvini e Le Pen ha favorito il voto utile ai partiti europeisti, che hanno così mantenuto una salda maggioranza. La destra sovranista, pur cresciuta, non ha sfondato anche per le troppe contraddizioni interne fra i suoi esponenti, con Salvini e i dirigenti dei paesi del sud che chiedono una redistribuzione a livello europeo degli immigrati e la maggior parte dei suoi potenziali alleati, a partire dai più forti come gli ungheresi e gli austriaci, che sono assolutamente contrari a ogni forma di redistribuzione. La destra sovranista ha finito per presentarsi sostanzialmente in ordine sparso e questo non l’ha favorita né alle elezioni, né nelle attuali trattative per spartirsi le poltrone con gli altri partiti rappresentanti degli interessi della borghesia.

Infine, anche la parola d’ordine della Flat tax non è stata portata a termine, in quanto i poteri forti, a partire da quelli che hanno imposto il ministro Tria sino a quelli dell’Ue sarebbero stati d’accordo in linea di principio, essendo un classico cavallo di battaglia di tutti i neoliberisti, ma sono per accollarne i costi ai ceti medio-bassi. Così facendo, però, Salvini avrebbe rischiato di fare la fine di Monti, Renzi, Gentiloni etc., ovvero di perdere completamente l’egemonia sui ceti medio-bassi, comunque necessaria a governare sino a che ci sarà il suffragio universale.

La strada più semplice per mantenere, almeno in parte, le promesse elettorali e il consenso è mirare a un obiettivo di rilievo, considerato che è iscritto nel Dna della Lega e, al contempo, apparentemente di non difficile realizzazione, visto che i poteri forti a livello nazionale e, soprattutto, internazionale hanno sempre ben visto e appoggiato la Lega proprio per le sue mire autonomiste-secessioniste. In particolare appoggiano da sempre tale progetto quella potente componente dei poteri forti europei che mira a un’Europa a due velocità, separando il nucleo forte dei pesi ricchi del nord-ovest da quelli decisamente più arretrati del centro-sud. L’Italia unita in qualche modo è in sé antitetica a tale progetto, a causa della questione meridionale e, quindi, la migliore soluzione dal punto di vista dell’Europa a due velocità non può che essere quello di tagliare questo nodo di Gordio, seguendo il progetto leghista di separare le regioni ricche del nord, da integrare sino in fondo con le altrettanto ricche regioni europee del centro-ovest, abbandonando per sempre al proprio destino di subalternità le povere regioni del sud.

Del resto su questo progetto la Lega potrebbe trovare una larga convergenza con buona parte di quella che era stata l’opposizione istituzionale al proprio governo, visto che a preparargli la strada è stato al solito il centro-sinistra con la forzatura che ha portato alla modifica del titolo V della Costituzione con un solo voto di scarto, da parte di un governo privo di qualsiasi sostegno popolare, che ha aperto la via al federalismo. Tanto più che lo stesso ultimo governo di “centro-sinistra” Gentiloni aveva spalancato le porte al progetto di autonomia differenziata, che ora la Lega intende compiutamente realizzare e anche per questo ha deciso di liberarsi dell’opposizione di una parte dei 5 stelle provocando la crisi del governo Conte. Tanto più che fra le tre regioni a fare da battistrada alla secessione dei ricchi vi è l’Emilia Romagna, roccaforte del centro-sinistra e del Pd.

Infine anche i poteri forti del sud, da sempre componente del blocco sociale che con la classe dominante del nord governa il paese, al solito non sembra avere nulla in contrario. Come è noto la malavita organizzata ha sempre appoggiato fattivamente il progetto di smembramento del paese, per portare il sud sotto il suo pieno controllo. Anche esimi governatori dell’opposizione del sud, dopo un primo momento di reazione indignata al progetto della Lega, si sono nei fatti allineati, puntando a rafforzare i propri potentati locali. Tale prospettiva è stata nei fatti seguita tanto dal moderato presidente della Campania, quanto dal radicale sindaco di Napoli, in contrasto su tutto il resto.

Per meglio comprendere le ragioni di questo sostanziale consenso trasversale al progetto di secessione dei ricchi, è al solito necessario studiarne la storia. Le sue origini, come di gran parte delle sciagure prodotte dall’uomo in questi ultimi tempi, sono da ricondurre alla tragica conclusione della guerra fredda, che ha portato alla dissoluzione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche – travolgendo i suoi alleati a livello internazionale – e all’affermazione internazionale del pensiero unico neoliberista.

Tale affermazione è stata inaugurata con la celebre tesi del neo-conservatore statunitense Francis Fukujama, secondo il quale sarebbero finite – con la definitiva affermazione del modo di produzione capitalista a livello globale – non solo tutte le altre possibili forme di organizzazione socio-economiche (ridotte a ideologie ormai obsolete), ma la stessa storia. Sulla base di tale ideologia, Kenichi Ohmae, esponente di spicco della più influente multinazionale di consulenza ideologia, prendendo atto della definitiva chiusura dei tempi oscuri della storia precedente, in nome della realizzazione dell’obiettivo del capitalismo – il mercato mondiale – ha sostenuto la fine degli stessi Stati nazionali, che in qualche modo avevano invano tentato di ostacolare questo grandioso evento. Al loro posto sono destinate ad affermarsi “unità omogenee di business”, ovvero Stati-regione destinati a collegarsi fra loro su basi unicamente liberiste, abbandonando la dimensione limitata dei mercati nazionali che erano stati la ragione d’essere, ormai venuta meno, degli Stati nazionali, funzionali solo alla prima fase di affermazione della borghesia. Fra gli esempi più calzanti l’ideologo individuava proprio il nostro paese, particolarmente obsoleto a causa della questione meridionale, che andrebbe definitivamente liquidata come una zavorra del passato, permettendo alle ricche regioni del nord di confluire – come stava avvenendo per le regioni del nord della Jugoslavia o della Cecoslovacchia – in una più ampia unità omogenea di business che aveva al proprio centro la Germania riunificata e i paesi del Benelux.

Tali brillanti idee furono concretizzate in un progetto più specifico da esponenti del partito divenuto dominante dopo l’annessione della Ddr, ovvero la Cdu. Fra essi spiccava, in particolare, il famigerato Wolfgang Schauble che porterà avanti la proposta di sviluppare un nocciolo duro europeo, costituito appunto dalla Germania e dai suoi satelliti più immediati, ossia Benelux e Danimarca, intorno al quale si andranno a organizzare gli altri paesi in funzione via via più subordinata, costituendo prima l’indotto e poi i principali mercati di sbocco e fornitori di materia prima o di manodopera a basso prezzo.

In realtà questo piano – che aveva portato all’annessione della DDR, alla separazione della Repubblica Ceca dalla Slovacchia, alla separazione di Slovenia e Croazia fino alla completa dissoluzione della Jugoslavia, a prendere il controllo dell’economia greca, sino a separare, dopo le Repubbliche baltiche, la stessa Ucraina dalla Russia e il centro-nord dal centro-sud dell’Italia – non era altro che parte del piano che la Germania hitleriana aveva cercato di imporre con la forza delle armi nel corso della Seconda guerra mondiale e che ora pare in grado di realizzare in modo meno apertamente violento. Tanto più che oggi, come allora, tale piano trova il sostanziale supporto di buona parte delle classi dominanti dei paesi destinati a entrare, a diversi livelli, in questa unità omogenea di business, oltre che l’aperto sostegno della maggioranza delle forze sciovinistedi questi altri paesi. In altri termini come la Repubblica di Vichy o quella di Salò erano alleate in funzione subordinata alla Germania, con il consenso di parte significativa delle classi dominanti e delle forze nazionaliste, oggi ancora di più tali forze sembrano intenzionate a entrare “liberamente” in tale unità omogenea di business.

Quest’ultima, del resto, è alla base della concezione sempre più capace di egemonia in modo trasversale fra i poteri forti dell’UE, ovvero il progetto di un’Europa a due o più velocità, secondo questo modello di satelliti via via sempre più, nei fatti, economicamente subalterni al nocciolo duro costituito dalla “grande Germania”.

Ora è certo necessario per i lavoratori, nel nostro caso in primo luogo occupati in Italia, fare di tutto per non farsi ulteriormente separare dal padronato fra nord e sud e, peggio, fra regione e regione. D’altra parte, considerata la forza del blocco sociale nazionale e internazionale che si dovrà affrontare sarà indispensabile, per non limitarsi a una ennesima lotta di bandiera, costituire un blocco sociale antagonista ancora più forte a livello prima nazionale e poi internazionale. Tale esigenza di un fronte ampio, in qualche modo interclassista, rende di vitale importanza la lotta per l’egemonia al suo interno.

In tale lotta sarà essenziale, per l’esito stesso dello scontro con il blocco sociale antagonista, che il proletariato non si faccia nuovamente egemonizzare dalle classi intermedie. Queste ultime non solo portano avanti parole d’ordine antitetiche agli interessi reali del proletariato, come la difesa dell’attuale Stato italiano(imperialista) o dell’unità nazionalistica italiana contro le forze che la mettono in discussione. Quest’ultima parola d’ordine, apparentemente così efficace nel rafforzare il proprio campo indebolendo quello avversario, non tiene conto che le forze nazionaliste del campo opposto non hanno mai avuto particolari difficoltà a rimanere alleate, anche in funzione subalterna, con la Lega, visto che per loro il valore chiave è la volontà di potenza e non certo lo spirito democratico risorgimentale. Tanto è vero che non solo ai tempi della Germania nazionalsocialista molte forze scioviniste si allearono a lei anche in funzione subordinata, ma anche nella nostra epoca i post-fascisti non hanno mai avuto problemi ad allearsi con la Lega. Al punto che oggi sarebbero disponibili a ricostruire tale blocco anche in funzione necessariamente subordinata. Inoltre questa prospettiva nazionalista se ci porterebbe scarsi vantaggi nel nostro paese – anche perché su tali parole d’ordine sarà impossibile coinvolgere nella lotta non solo il crescente numero di lavoratori stranieri, ma anche molti proletari e sottoproletari che non sono altrettanto sensibili alla questione nazionalistica, come possono esserlo i ceti medi. Infine, questa prospettiva nazionalistica impedirebbe l’unità con i lavoratori e più in generale i subalterni degli altri paesi, alleanza come abbiamo visto indispensabili per sconfiggere il fronte transnazionale dei poteri forti, ovvero del capitale finanziario.

17/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte. 
Credits: https://www.change.org/p/gianfranco-viesti-no-alla-secessione-dei-ricchi

https://www.lacittafutura.it/interni/la-liquidazione-della-questione-meridionale

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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