Riceviamo e pubblichiamo
“Secondo me la gente dovrebbe mettersi in fila”. Così ha risposto Joe Biden a una domanda sull’immigrazione non autorizzata, aggiungendo però che i richiedenti asilo “meritano una chance di essere sentiti”. Biden, il vice di Barack Obama per otto anni, si trova adesso al primo posto fra la ventina di candidati per la nomination del Partito Democratico. L’idea di fare la fila era stata anche reiterata nei due dibattiti fra i candidati democratici, alcuni dei quali hanno classificato la posizione di Biden come un ragionamento da repubblicano. Inoltre, Biden darebbe preferenza agli immigrati legali in possesso di lauree. Nel caso di individui in possesso di un dottorato offrirebbe loro una residenza legale valida per 7 anni, principi favoriti anche da Trump.
Biden pensa più all’elezione generale e non agli elettori delle primarie democratiche che tendono a essere liberal. Non sorprende dunque che parecchi dei suoi avversari lo abbiano criticato, sperando di segnare gol politici e fare progressi per spodestarlo dal vertice nei sondaggi.
L’immigrazione sarà un tema importante nell’elezione del 2020 in parte perché Trump insisterà su quel tasto considerandolo molto favorevole alla sua riconquista della Casa Bianca. L’aspra retorica sugli immigrati non autorizzati e la sua preferenza per immigrati legali da Paesi europei, vedi di pelle bianca, si collega con la politica prediletta di Trump. Molto facile ricordare il linguaggio aggressivo contro i messicani, musulmani, e gli immigrati provenienti da “s…t hole countries” (paesi di m…da). Alla retorica della costruzione del muro al confine col Messico per bloccare i migranti, visti come invasori, si è aggiunta recentemente la preferenza per immigrati legali ricchi che non abbiano bisogno di aiuti del governo americano. Il direttore dei servizi agli immigrati di Trump, Kenneth Cuccinelli, ha persino mal interpretato le parole sul piedistallo della Statua della Libertà, riflettendo l’asprezza e preferenza del suo capo. Cuccinelli ha detto che l’America dà il benvenuto agli immigrati che possono mantenersi economicamente, dimenticando le parole sul piedistallo della Statua della Libertà che danno il benvenuto “ ai poveri…alle masse infreddolite…. i senzatetto”.
L’ideologia di Trump sugli immigrati consiste in una chiusura delle frontiere poiché non riconosce il fatto basico che tutti gli americani sono immigrati o discendenti di immigrati, eccetto ovviamente per gli afro-americani e i nativi americani. I candidati democratici riconoscono il valore e i contributi fatti dagli immigrati nella costruzione e sviluppo del Paese. Biden, da candidato centrista, si allontana dall’asprezza di Trump ma rimane su una piattaforma non consona all’ala sinistra del suo partito.
La linea di Biden sull’immigrazione non è ovviamente quella di Trump. L’ex vice presidente favorisce una riforma comprensiva la quale offrirebbe un percorso di regolarizzazione ai 12 milioni di immigrati non autorizzati con fedina penale pulita e ai “dreamers”, i giovani portati illegalmente negli Stati Uniti da bambini. Gli attivisti e altri candidati alla nomination fanno però notare i legami di Biden con Obama il quale era stato etichettato “deporter-in-chief” per il grande numero di immigrati deportati dall’ex inquilino della Casa Bianca. Va ricordato però che a quei tempi Obama stava lavorando con la legislatura per una riforma sull’immigrazione che fu approvata dal Senato. Alla fine però si spense nella Camera, poiché l’allora speaker, John Boehner, non la sottomise a un voto. Obama cercò di rifarsi usando i suoi poteri presidenziali. Il suo ordine esecutivo DACA (Deferred Action on Childhood Arrivals) permise ai “dreamers” di ottenere residenza temporanea legale. Trump però ha revocato quell’ordine esecutivo che al momento si trova alle prese con il sistema giudiziario per sancirne la legalità.
Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, e Julian Castro, ex sindaco di San Antonio, ambedue candidati alla nomination, hanno preso le distanze da Biden, piazzandosi alla sua sinistra. Infatti, la Warren, numero due nei sondaggi dopo Biden, ha riconosciuto il valore del piano estensivo di Castro sull’immigrazione adottandone i punti principali. Ambedue favoriscono la depenalizzazione dell’ingresso non autorizzato negli Stati Uniti, riconvertendolo a un “misdemeanor”, un reato minore punibile solo con la deportazione. La legge attuale invece ne fa un reato con la detenzione degli adulti e la conseguente separazione di bambini dalle loro famiglie. Questo, come si ricorda, è stato uno dei punti più disumani della tolleranza zero di Trump, dimostrato anche dalle immagini di bambini innocenti in gabbie come se fossero criminali. La Warren e Castro vedono la crisi economica e la violenza in Centro America come causa principale che spinge i migranti a un lungo e pericoloso viaggio per richiedere asilo negli Stati Uniti.
Castro e Warren riaprirebbero il DACA, ampliandolo per includere tutti i giovani venuti in America prima dei diciotto anni, invece di 16 come aveva stabilito originalmente Obama. L’immigrazione autorizzata verrebbe anche riformata aumentando il numero di rifugiati a 125mila subito e in tre anni a 175mila. Va ricordato che Trump ha ridotto questi permessi a 30mila. Eliminerebbe anche il programma istituito da Trump di costringere richiedenti asilo a rimanere in Messico mentre le loro pratiche vengono esaminate. I costi per ottenere i cartellini verdi verrebbero anche diminuiti. Un altro punto fondamentale sarebbe stabilire ingenti investimenti in America Centrale per creare un clima politico e economico che scoraggi l’emigrazione da quei Paesi a causa della povertà ma specialmente della violenza imperante.
Quale piano di immigrazione verrà sottoposto dal Partito Democratico agli elettori verrà ovviamente determinato dall’esito alle primarie. Biden, già guarda al di là delle primarie, puntando l’elezione generale. La Warren, i cui sondaggi sono in ascesa, piazzandola come probabile avversaria diretta di Biden, sembra al momento pensare alle primarie. Non ha tutti i torti. Il crescente voto latino, specialmente in Nevada, California e Texas, che terranno alcune delle iniziali primarie, potrebbe essere decisivo. Ma anche nell’elezione generale il voto latino in parecchi Stati in bilico potrebbe rivelarsi vitale per negare a Trump il ritorno alla Casa Bianca.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.