L’importante ascesa dell’estrema destra nelle ultime elezioni in due importanti Länder tedeschi, quali la Sassonia e Brandeburgo, confermano l’allarme diffuso in molti paesi europei per l’allarmante riscontro elettorale che stanno registrando le formazioni dell’estrema destra di stampo populista. Ne abbiamo parlato con Gustavo Corni, politologo che ha ricoperto per anni il ruolo di docente di Storia della Germania e di Storia contemporanea presso l’Università di Trento.

In Sassonia e Brandeburgo AFD non sorpassa i partiti tradizionali ma tira la volata. Entrambe le colazioni uscenti dovranno allargarsi ora per governare senza il supporto di AFD, magari in Brandeburgo con i verdi, in Sassonia con i liberali. Certo, l’incremento dei voti della AfD è significativo, anche se largamente previsto e probabilmente inferiore a quanto ci si aspettasse (o si temesse). Nelle due regioni orientali, oltre a fattori di contesto più generali (nazionali e internazionali) l’ascesa dell’ultra-destra nazionalista rispecchia il malessere che sempre più si diffonde in quelle aree, che ancora oggi si trovano a livelli di reddito e di servizi inferiori rispetto a quelle della “vecchia” Bundesrepublik. Un elemento oggettivo, che si mescola alle percezioni rafforzandole e che va collocato nel quadro congiunturale di un’economia tedesca assai meno dinamica di quanto non lo sia stata negli ultimi anni. La minaccia rappresentata dall’ascesa elettorale dell’AfD costringerà i partiti maggiori, che hanno da più lungo tempo un radicamento nell’elettorato, a muoversi con maggiore flessibilità soprattutto sui rispettivi programmi, per dare vita a coalizioni inattese. A mio avviso, ciò è importante. Ancora più importante credo sia il fatto che, nonostante le rispettive posizioni programmatiche e gli attriti che non mancano fra i vari partiti, questi abbiano unanimemente enunciato il principio che mai si alleeranno o faranno da sponda politica all’Afd. Questa sembra perciò votata all’isolamento politico, e i suoi successi per il momento non sembrano avere ripercussioni sul quadro politico nazionale. Uno scossone molto forte che potrebbe avere forti ripercussioni anche sulla grande coalizione al Governo e sulla cancelliera Angela Merkel, sempre più debole. La coalizione guidata da Merkel è indiscutibilmente in crisi, e la stessa figura della cancelliera si è notevolmente sbiadita agli occhi del pubblico. Conseguentemente, così come nei Länder i partiti maggiori si stanno muovendo per dare vita a coalizioni diverse dal solito, anche a livello federale l’esito prevedibile delle prossime elezioni politiche indurrà la classe politica della RFG a trovare nuove strade, a definire nuove piattaforme programmatiche per governare il più importante paese europeo. Oltre a indebolire Merkel e governo federale l’avanzata dell’AFD ha delle ripercussioni anche in Europa e sulla Presidente della Commissione Van Der Leyen? Non credo che al momento una pur importante vittoria dell’AfD in due elezioni regionali possa avere dirette ripercussioni sulla Commissione europea. Non si può prevedere tutto, ma al momento sia la AfD che gli altri partiti dell’estrema destra – come la Lega – sono in posizione di minoranze nel parlamento europeo. Poi, molto dipenderà dall’efficacia e dalla determinazione della costituenda Commissione. Ma a mio avviso non c’è un rischio immediato che il parlamento europeo venga sovrastato dall’ondata di estremismo e di nazionalismo, che pur è tangibile in vari paesi europei, Italia e Germania comprese. L’aumento dei consensi dei Verdi alle scorse europee non è andato di pari passo in queste regioni: sebbene i consensi dei grunen aumentino, non c’è stato un exploit simile a quello dello scorso maggio e quello in Baviera dell’anno scorso. Come mai? Non sono in grado di individuare i motivi per i quali i consensi verso i Verdi in Germania non aumentino dovunque allo stesso modo. Possono giocare probabilmente fattori specifici; teniamo presente quanto detto sulla crisi economico-sociale nei nuovi Bundesländer, che non sono evidentemente confrontabili con la Baviera. E anche fattori personali, di maggiore o minore capacità attrattiva dei leader verdi nelle singole situazioni. Mi preme invece sottolineare – anche qui in netto contrasto con l’Italia – che in Germania il movimento verde è forte da molti anni ormai, anzi da svariati decenni, che ha dimostrato di saper governare realtà territoriali complesse, di saper concretizzare in modo pragmatico la propria visione del mondo. Questo non accade altrove. A essere penalizzate sono sopratutto le formazioni di sinistra. Basti pensare che in Sassonia l’SPD è sotto la soglia psicologica del 10%, mentre in Brandeburgo la Linke perde ben 8 punti. I voti passano da sinistra a destra? Pur non conoscendo nello specifico l’evoluzione dei flussi elettorali, mi sembra plausibile la tesi secondo la quale nell’attuale situazione politica, sociale ed economica dell’Europa, negli ultimi decenni il voto non possa più essere ricondotto a radici territoriali o ideologiche ben salde. Pensiamo cosa è successo in Italia ai tempi di Berlusconi. Le appartenenze politiche sono oggi molto più volatili che in passato, gli elementi di classe (come si sarebbe detto a sinistra) sono diventati vieppiù irriconoscibili, perché le stesse classi sociali hanno subito cambiamenti profondi. Pensiamo alle regioni rosse, pensiamo a Sesto San Giovanni, la “Stalingrado d’Italia” dove oggi spadroneggiano Lega e M5S. Sembra quasi un contrappasso che le regioni in cui la destra radicale è più forte siano quelle ex socialiste, a est del muro. Colpa del processo di integrazione mal gestito o c’è dell’altro? Indiscutibilmente il processo di integrazione della ex-RDT dopo il 1990 non ha dato risultati importanti e molto positivi. Mi vien sempre da pensare all’Italia, dove la “questione meridionale” è aperta (con alti e bassi) da oltre 150 anni. Un processo così complesso non può svolgersi senza costi, senza errori, senza sbavature. A suo tempo le classi dirigenti occidentali ritennero fosse indispensabile fare tabula rasa del passato del regime comunista dal punto di vista della memoria collettiva, della storia, della percezione, delle sue strutture portanti sociali ed economiche. Si voleva evitare di fermarsi “a mezzo”, come era accaduto dopo il 1945, dove non era stata imposta una vera e propria sostituzione di classe dirigente a quella del periodo nazionalsocialista. Nel fare questo si sono urtate molte sensibilità, tenute aperte ferite, che nell’attuale, generalizzata, crisi economica e sociale internazionale tornano a sanguinare, rinfocolando vecchi risentimenti. Questi sembrano avere trovato per lungo tempo uno sfogo in partiti postcomunisti, come la PDS e poi la Linke. Da qualche anno a questa parte il pendolo dei rancori e delle paure verso il futuro si è decisamente spostato a destra, favorendo la AfD.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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