Si è spento, lo scorso 6 settembre, il novantacinquenne Robert Mugabe, secondo presidente dello Zimbabwe, ruolo che ha ricoperto dal 1987 al 2017, stabilendo un record di longevità politica.
Robert Mugabe è stato a lungo uno dei presidenti più discussi al mondo, ma non per questo uno dei più conosciuti, se non per la sua longevità da record nel ruolo di capo di Stato, ricoperto per quasi trent’anni, dal dicembre 1987 al novembre 2017. Stiamo infatti parlando dell’ex presidente dello Zimbabwe, uno Stato africano che non è di certo fra i più noti al pubblico occidentale, al di là del nome.
Nato il 21 febbraio 1924 a Kutama, Mugabe ha ricoperto il ruolo di primo ministro del Paese dal 1980 al 1987, assumendo successivamente la massima carica il 31 dicembre 1987, per mantenerla senza soluzione di continuità fino quasi ai giorni nostri. Nel frattempo, il longevo Presidente, ha anche ricoperto ruoli importanti in ambito internazionale, come quando, tra il 1986 ed il 1989, ha assunto la segreteria generale del Movimento dei Non Allineati.
La popolarità di Mugabe negli anni ’80, che lo ha poi portato nelle sfere del potere, è dovuta soprattutto al suo ruolo all’interno della guerriglia che combatteva il regime di apartheid presente nell’allora Rhodesia, dove vigeva una segregazione razziale non dissimile da quella del Sudafrica. La sua vita politica era però iniziata sin dagli anni ’60, con la formazione della ZANU (Zimbabwe African National Union), il partito di cui è rimasto leader fino alla fine della sua carriera politica (chiamato dal 1989 ZANU-PF).
A quei tempi, Mugabe si batteva contro il governo di Ian Smith. Arrestato, passò dieci anni in carcere, tra il 1964 ed il 1974. Dopo il rilascio, abbandonò il Paese, per poi tornarvi da leader della guerriglia. Proprio il suo ruolo nella lotta armata, lo fece divenire un eroe agli occhi dei suoi compatrioti e degli africani in generale, in maniera non dissimile da quanto accaduto con Nelson Mandela. Alla fama, seguirono le vittorie elettorali, che lo portarono a ricoprire il ruolo di Primo Ministro e poi quello di Presidente.
Già negli anni ’80, però, iniziarono ad emergere gli elementi di violenza e brutalità che caratterizzeranno il regime di Mugabe per i successivi decenni. Il primo conflitto fu quello con l’opposizione comunista della ZAPU (Zimbabwe African People’s Union), il partito guidato da Joshua Nkomo. Migliaia di oppositori furono eliminati fisicamente, e i sopravvisutti della ZAPU furono costretti a fondersi con il partito di Mugabe, dando vita, nel 1987, alla tuttora esistente ZANU-PF (Zimbabwe African National Union – Patriotic Front).
Da allora, la politica interna di Mugabe fu a lungo caratterizzata da violenza e repressione, il che contribuì a formare la fama negativa di cui gode il Presidente dello Zimbabwe nei Paesi occidentali. Solo negli ultimi anni della sua presidenza, Mugabe ha operato una leggera apertura, attraverso riforme sulla via della democratizzazione e tentativi di migliorare la distribuzione delle ricchezze, dopo una vita passata ad accaparrarle.
Secondo molti analisti si è trattto di un tentativo, certamente tardivo, per preparare il Paese alla transizione del post-Mugabe, che l’ex presidente avrebbe tentato rendendosi conto della sua ormai veneranda età. Sta di fatto che, da quando Mugabe ha operato l’ultima svolta politica, tentando di rimettere il popolo al centro delle sue politiche, la campagna internazionale contro di lui è stata immediatamente riacutizzata. Mugabe, nell’ultimo anno della sua presidenza, aveva manifestato l’intenzione di mettere in piedi un piano di nazionalizzazione delle miniere di diamanti, che costituiscono la principale risorsa dello Zimbabwe. “Non abbiamo ricavato molti soldi dall’industria di diamanti. Il nostro popolo non è stato in grado di vedere quello che stava accadendo, attraverso i furti e il contrabbando perpetrati dalle compagnie minerarie”, aveva dichiarato un anno prima delle dimissioni alla televisione nazionale, annunciato l’intenzione di “monopolizzare questo settore e di assegnare solo allo Stato l’attività mineraria”. Ma non basta: puntando il dito accusatorio verso le compagnie occidentali, Mugabe aveva espressamente dichiarato: “Ci hanno derubato della nostra ricchezza”.
In seguito alle pressioni, nel novembre del 2017, Mugabe è stato costretto a dare le proprie dimissioni, annunciate dal presidente del Parlamento, Jacob Mulenda, dopo l’avvio di una procedura di impeachment nei confronti del capo di Stato. Dopo trentasette anni di potere incontrastato nello Zimbabwe, prima come Primo Ministro e poi come Presidente, l’allora novantatreenne è stato sostituito dal suo vicepresidente, Emmerson Mnangagwa.
“Io, Robert Gabriel Mugabe, sulla base dell’articolo 96 della costituzione dello Zimbabwe, presento formalmente le mie dimissioni. La mia decisione di dimettermi è volontaria e nasce dalla mia preoccupazione per il bene del popolo dello Zimbabwe, e il mio desiderio di assicurare una tranquilla, pacifica e non violenta transizione di potere a sostegno della sicurezza, pace e stabilità della nazione“, si legge nella lettera scritta allora dall’ex capo di Stato, che ha così ottenuto la sospensione della procedura d’impeachment, accettando la fine della sua lunghissima carriera politica.