Giusto due sere fa, stavo tornando a casa quando mi affianca un ragazzo per oltrepassarmi con una camminata decisamente più allegra e giovanile rispetto alla mia: ha le cuffiette…

Giusto due sere fa, stavo tornando a casa quando mi affianca un ragazzo per oltrepassarmi con una camminata decisamente più allegra e giovanile rispetto alla mia: ha le cuffiette e ascolta probabilmente della musica. Di contro arriva un coppia, per la verità, di molto poco distinti signori.

Ma volete che si badi al rispetto che si deve ad ogni persona basandosi sull’abbigliamento? Se così fosse, per la ministra dell’agricoltura dovremmo dire che, oltre ad essere una renziana di ferro, non ha nemmeno un gran gusto nell’abbigliarsi, ma siccome rivolgo questa critica anche a me, tutto fa pari e patta.

Dunque, la coppia mi viene incontro, il ragazzo con le cuffie dopo ormai avermi distaccato di molte lunghezze, supera anche loro mentre mi si avvicinano: sto inserendo la chiave nella toppa del portone di casa mia quando ascolto un brevissimo dialogo. Stanno parlando del giovane uditore di musica. Tra le altre frasi offensive, mi ha colpito di più e ancora mi riecheggia nella mente questa: “Ma sembra proprio una scimmietta!“.

Vi giuro che non mi è tornato alla mente qualche film geniale di e con Paolo Villaggio su Fantozzi, sulla bruttezza della povera figliola chiamata “bertuccia“, “babbuina” al posto di bambina. Evidentemente non sono riuscito ad allontanare lo sdegno e la rabbia che ho provato e, salendo in ascensore, ho continuato a pensare a che tipo di visione della società avessero quei due italiani che, avendo visto questo giovane ragazzo di colore, si erano scambiati epiteti così volgari da rasentare l’odio cieco per qualcuno che nemmeno conoscevano di persona.

Il razzismo risiede proprio in ciò: nella mancanza di conoscenza delle differenze, nel pregiudizialismo assoluto, nel giudizio dato senza avere alcun elemento di valutazione dell’altro rispetto a noi. Ma peggio è ancora il razzismo che fuoriesce dalla bocca di due italiani evidentemente di modesta condizione sociale, che trasformano quel ragazzo in una caricatura, come se fossero due disegnatori e ne stessero facendo un ritratto da vignetta malvagia: uno di quei manifesti dell’epoca fascista e coloniale, in cui tutti i “negri” erano disegnati con grandi labbroni rossi, occhi bianchi fuoriuscenti dalle orbite e, se sceneggiati nei film, doppiati con una parlata ridicola per farli apparire inferiori anche per cultura, idioti o quasi.

Salvo poi scoprire che Rhett Butler dice di Mami, in “Via col vento“, che la ritiene la persona più saggia della casa e che ne conserva profonda stima. Una fioca luce di progressismo in una pellicola dal sapore comunque reazionario.

Ecco che questo, come altri episodi cui ho assistito, mi hanno condotto a riflessioni che, ad oggi, ritengo essermi state utili per avere una minima idea del comune sentire di un popolo che rimane fortemente in sintonia con il salvinismo, con il leghismo sovranista e tutte quelle anti-culture che sono un pericolo per la democrazia, per la stabilità sociale di una Repubblica che se riuscisse ad essere governata su una via di riforme lombardiane “di struttura“, quanto meno depotenzierebbe tutta la rabbia e il rancore sociale del povero contro un altro povero e magari lascerebbe spazio alla ricrescita di una coscienza di classe che muovesse i suoi nuovi primi passi verso il riconoscimento dell’esistenza del capitalismo, dello sfruttamento e dell’essere sfruttati da questo sistema economico omicida.

Riccardo Lombardi, in quegli anni di ricostruzione del Paese, gli anni ’50, pensava ad interventi sul sistema pensionistico, su quello scolastico (il tasso di analfabetismo in Italia era enorme ed oggi lo sta progressivamente ritornando visto che solo il 24% degli italiani è in grado di formulare un discorso o uno scritto compiutamente e senza errori grammaticali), su una urbanizzazione che rispettasse comunque il grande valore naturale e paesaggistico della nazione e, naturalmente, da buon socialista, ad un intervento di potenziamento dei diritti sociali, del grande mondo del lavoro di allora.

Lo sviluppo della cultura e l’amore per la conoscenza era nei programmi di una sinistra anche riformista ma che ancora non era imbrigliata nella mani di un potere che l’avrebbe corrotta e che avrebbe anche travolto in parte settori del movimento comunista.

Una nuova politica civile e una nuova civiltà della politica che parli proprio a quei due signori che si sono permessi di pensare che chi gli transitava accanto fosse inferiore per il colore della pelle e le fattezze del viso, deve essere uno degli obiettivi primari della ricostruzione di un movimento per il comunismo, per una riconversione della sinistra su basi rivoluzionarie sapendo bene che la rivoluzione non è uno stereotipo immaginifico, fatto di tanti altri piccoli quadretti del passato, di rappresentazioni iconografiche o di feticci.

Essere rivoluzionari oggi deve poter significare recuperare la volontà di ridare un partito di riferimento ai lavoratori e alle lavoratrici e non pensarsi, invece, come variabile dipendente di un nuovo centrosinistra al servizio dei mercati, alleato dei populisti e sostenitori alternativamente di misure che favoriscono il privato rispetto al pubblico e talvolta, per puro calcolo di ristabilimento di una sorta di neo-pace sociale, anche qualche briciola finisce nel paniere salariale.

MARCO SFERINI

foto tratta da Pixabay

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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