Il 22 febbraio 1955 debutta alla Scala di Milano Porgy and Bess. Si tratta di una tappa importante di una tournée organizzata e finanziata dal Dipartimento di stato che toccherà nel dicembre di quello stesso anno Mosca: sono gli anni della Guerra fredda ed è la prima volta dalla Rivoluzione d’ottobre che una compagnia statunitense si esibisce in Unione sovietica.
Al di là di ogni altra motivazione politica e propagandistica – il piano Marshall è finito da pochi anni e nelle intenzioni americane bisogna cominciare una nuova fase in cui la cultura di massa ha una funzione essenziale – portare Porgy and Bess alla Scala vuol dire che si considera a tutti gli effetti quel lavoro un’opera. Ed effettivamente capire cosa sia questo lungo spettacolo di George Gershwin è stata negli anni precedenti una delle questioni che ha appassionato e diviso il pubblico e la critica. Porgy and Bess è un musical o un’opera lirica? Ha delle caratteristiche dell’uno e dell’altro, eppure i puristi dell’opera non riescono a considerarla tale e gli appassionati del musical non credono che lo sia. E infatti nel 1935 ha avuto solo centoventiquattro repliche a Broadway, un risultato deludente per Gershwin.
Ma se lo aveste chiesto a lui, vi avrebbe risposto certamente che Porgy and Bess è un’opera, anzi la prima opera veramente americana. Questo giovane e ambizioso musicista di New York, i cui genitori sono emigrati ebrei di origine ucraina e lituana, quando scrive Porgy and Bess pensa a Giuseppe Verdi, che lui ama moltissimo, pensa in particolare alla cosiddetta “trilogia popolare”. Racconta una storia di un passato recente, come fa Verdi con La traviata. Racconta una vicenda dalla trama complessa, come fa Verdi con Il trovatore. Ma soprattutto racconta, come fa il grande musicista di Busseto, la sconfitta degli ultimi, di un mendicante zoppo – un altro Rigoletto – e di una donna che la sua comunità considera ormai perduta. E, sempre come Verdi, racconta la vittoria dei cattivi. Sportin’ life potrebbe benissimo cantare La donna è mobile mentre va a New York insieme a Bess e noi sappiamo che poco dopo la abbandonerà, perché per lui quella donna è solo un capriccio. Porgy è un Manrico che riesce a uccidere il suo rivale, ma che perderà comunque la donna che ama. Porgy and Bess è una storia di vedove e di orfani e di un potere che è indifferente, quando non nemico, verso questi ultimi. Sono convinto che il Maestro Verdi avrebbe trovato questa storia l’occasione per scrivere della grande musica.
Gershwin definisce – forse pensando proprio a Verdi – Porgy and Bess una folk opera, un’opera popolare. E spiega che proprio per questo la musica doveva essere ugualmente popolare. Ma egli non ha voluto usare materiale già pronto, che pure conosceva e amava, ma ha voluto scrivere la “sua” musica popolare, per dare un’unità stilistica all’intera opera. E così questo ebreo di Brooklyn si è messo a studiare la musica dei neri – vivendo per qualche mese a Charleston in Carolina del sud -perché per scrivere un’opera davvero autenticamente americana occorreva partire dall’unica musica autenticamente americana, ossia la musica dei neri.
E questo sarà – insieme alla difficoltà di capire cosa sia quella “cosa nuova” scritta da Gershwin – il vero motivo che per molti anni impedirà a Porgy and Bess di essere considerata davvero la prima opera lirica americana. Nell’America degli anni Trenta per molte persone i “negri” sono ancora cittadini inferiori, ed è uno scandalo una compagnia di cantanti lirici neri. E Todd Duncan, l’attore che impersona Porgy nella prima stagione dell’opera, che è anche un attivista della sua comunità, deve lottare affinché il National theater di Washington permetta anche ai neri di assistere allo spettacolo: sarà la prima volta per il più grande teatro della capitale. Ma Porgy and Bess non piace neppure ai neri, che accusano il librettista Edwin DuBose Heyward, esponente di una delle famiglie bianche più antiche della Carolina, e lo stesso Gershwin di aver scritto un’opera fondamentalmente razzista, in cui i neri risolvono ogni questione con la violenza e in cui droga, alcool e gioco d’azzardo sono “pilastri” di quella comunità. Duke Ellington, uno dei più grandi compositori di quell’epoca, sarà uno dei pochissimi artisti neri a difendere l’opera. Ci vorranno diversi decenni – questo giudizio sprezzante sull’opera di Gershwin rimane anche negli anni Sessanta e Settanta, negli anni in cui la lotta per i diritti si fa più accesa – perché la comunità nera degli Stati Uniti riconosca il vero valore di questa opera, anche nella sua durezza, anche nel mostrare personaggi neri assolutamente negativi. Ci sono voluti decenni ai neri degli Stati Uniti per capire che Porgy and Bess è stato il tentativo di uno dei più grandi musicisti del Novecento di far capire al resto dell’America e poi a tutto il mondo la grandezza della cultura dei neri. E dopo Gershwin sarà un altro bianco geniale, Elvis Presley, di una città non troppo lontana da Catfish Row, a rendere lo stesso omaggio alla musica nera, ma attraverso il rock’n’roll.
E come Verdi regala a Leonora la splendida aria Tacea la notte placida, in cui la giovane canta la gioia del suo amore, un amore destinato a finire in tragedia, così Gershwin – con le parole di suo fratello Ira e dello stesso Heyward – fa cantare a Clara, nel primo atto, la splendida Summertime, una dolce ninnananna per la sua bambina. E’ certamente il brano più famoso dell’opera, che anzi ha in qualche modo oscurato la fama di Porgy and Bess.

Summertime, and the livin’ is easy.
Fish are jumping, and the cotton is high. Your dad is rich, and your mother good lookin’, so hush little baby, don’t you cry.

Sono versi carichi di speranza, di gioia per il futuro. Ma quando nel terzo atto è Bess a cantare questa dolce ninnananna, sempre alla bambina di Clara, quei versi diventano un macigno: il padre e la madre della bambina sono morti. Il suo futuro, come quello di Bess, è ormai segnato.  

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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