Miguel Enríquez al centro, Edgardo Enríquez alla  sinistra e Bautista van Schouwen alla destra  .

Francesco Cecchini

Conosco Edgardo Enríquez, del Movimiento de Izquierda Revolucionaria e  fratello di Miguel, a Roma nell’ottobre del 1974 ad un Congresso nazionale del Manifesto. Le sue parole, tradotte da Rossana Rossanda, sono potenti. Una compagna, che mi siede vicino, mi dice che da poco gli è morto un figlio di meningite.

A Roma alla testa di diecimila persone manifesta per l’assassinio del fratello Miguel e contro il golpe fascista. Partecipa in Italia a varie iniziative per raccontare quello che era successo e stava succedendo in Cile. Edgardo Enríquez e quello che racconta mi fanno aderire a un’azione organizzata da Lotta Continua: Armi per il MIR.

Decide di tornare  Argentina per partecipare alla   Junta Coordinadora Revolucionaria, un’organizzazione internazionalista sudamericana, il cui obiettivo era la collaborazione tra diverse organizzazioni politico rivoluzionarie: PRT-ERP dell’Argentina, i Tupamaros dell’Urugay, il MIR del Cile e l’ELN della Bolivia.

Nel pomeriggio del 10 aprile 1976, Edgardo, uscito da una riunione della Junta, fu arrestato e imprigionato in uno dei centri di tortura: “El Olimpo”, “Campo de Mayo” , “Scuola Meccanica della Marina” (ESMA), dove sparì, una delle tante vittime del Plan Condor. Il corpo di Edgardo Enríquez non è stato mai trovato.

Edgardo Enríquez

Dopo l’ 11 set 1973 golpe Miguel Enríquez  guida la resistenza politico-militare del MIR contro la dittatura fascista di Augusto Pinochet.

Il cinque ottobre del 1974, un sabato,  a Santiago del Cile è una giornata fredda della primaveraaustrale, all’orizzonte la cordigliera andina è innevata. In una casa azzurra ad un piano di Calle Santa Fé al numero 726 del quartiere popolare di San Miguel viene ucciso Miguel  Enríquez.

Santiago, Calle Santa Fe

Ricordo Miguel Enríquez

Fiore rosso sul selciato

Miguel Enríquez si difende fino all’ultimo con un AK in mano. Gli agenti della DINA, la gestapo di Pinochet, ebbero il coraggio di entrare solo quando non poteva più difendersi, giacendo al suolo con dieci pallottole in corpo. Sequestrano il suo corpo e lo consegnano alla famiglia solo il 7 ottobre. Ad accompagnare Miguel al cimitero ci sono 8 familiari con un rami di fiori e centinaia di sbirri armari, in uniforme o in civile, con le loro mitragliette. Si sente allora la voce di una donna coraggiosa, la madre: “Miguel Enríquez, figlio mio, non sei morto. Continui a vivere e continuerai a farlo per la speranza e la felicità di tutti i poveri e gli oppressi del mondo”.

Miguel Enríquez                                                         Dieci pallottole  Non ti hanno ucciso

Miguel Enríquez

Trentaquattro anni dopo lavoro a Buenos Aires, a volte vado a Santiago del Cile e lì penso molto a Miguel  Enriquez e all’ultimo suo giorno. Voglio andare a Calle Santa Fé. Ne parlo in ufficio con Jean-Pierre. Lavoro per un’ impresa francese e Jean- Pierre è un giornalista che scrive articoli sulla presenza della Francia in latino-america, ma non solo.
A Jean-Pierre brillano gli occhi. ” Vieni con me. Voglio andare in macchina a Santiago partendo da Avenida Santa Fé. Scriverò un articolo, Da Avenida Santa Fé, Buenos Aires, a Calle Santa Fé, Santiago del Cile.” Accetto. La notte prima non vado a dormire. Una amica che scrive di cultura popolare mi porta in un locale della periferia sud di Buenos Aires dove canta una cantante, Silvia, che imita Gilda, un mito, morta una  decina di anni prima in un incidente d’automobile. Silvia, “La Gata Adriana” vestita di rosso, i capelli neri, non canta tanghi, ma cumbias, . La gente balla quasi fossimo in Colombia. La periferia sud di Buenos Aires  diventa un quartiere di Bogotà.                                                      Avenida Santa Fé non è Corrientes, la strada del giorno e della notte, è un vialone alberato lungo e noioso. L’appuntamento è alla mattina presto, fa ancora buio, di fronte a una libreria, El Ateneo Grand Splendid. Jean-Pierre arriva puntuale con un Falcon verde, che sicuramente ha acquistato per quattro soldi. Sono macchine che ti tirano dietro, pur di liberarsene. Non perdo tempo a spiegargli cosa significano le Falcon Verdi in Argentina, sicuramente lo sa; salgo, ho con me me ho una grossa borsa da lavoro con documenti, un lap top e un paio di cambi di mutande.

La Falcon non ce la fa a uscire dalla città, si arresta e una nuovola di fumo grigio scuro esce dal cofano. Lascio Jean-Pierre a cercare un meccanico e prendo un taxi che mi porta Ezeiza dove salgo nel primo volo per Santiago. Le Ande viste dall’aereo sembrano lame di roccia e neve, poi mi appare la città attraversata dal Rio Mopocho. Dopo la riunione di lavoro mi prendo un paio di giorni di ferie.

La facciata della casa in Avenida santa Fé è ancora azzurra, azul y celeste la descrive Carmen Castillo, e non ci sono segni di pallottole.

Il padrone di casa vede che giro attorno e mi invia a entrare. Mi offre un pisco cileno che dice molto migliore di quello peruviano. Non so distinguere un pisco cileno da uno peruviano, comunque non gli dico che i peruviani pensano lo stesso del loro.

” Conosco la storia. Molte persone vengono a vedere questa casa. L’ho comprata da una mirista che a sua volta l’aveva acqistata per farne un rifugio tranquillo. Carmen Castillo, la compagna di Miguel tempo fa  aveva offerto di comprarla per farne una specie di museo. Mi sono rifiutato perché vivo bene in questo quartiere. San Miguel è un luogo tranquillo.”

Mi fa vedere la casa che ha sul retro un giardino e stanze ampie.

Lo stesso giorno Jean-Pierre, anche lui ha preso l’aereo e affittato un’auto all’areoporto Arturo Merino Benítez. Lo trovo in albergo, mi vede con Un dia de octubre en Santiago di Carmen Castillo, la compagna di  Miguel Enríquez, in mano e dice: ” Un dia de octubre en Santiago è stato scritto in francese e pubbicato in Francia. Anche il suo documentario, Calle Santa Fé, historia de un amor revolucionario, è stato proiettato per la prima volta in Francia, a Cannes. Quando ritorno vedo di intervistarla. Dopo esser stato nel deserto dell’Atacama a nord,vado a sud e visito le zone Mapuche dove il MIR, prima contro il reazionario Lagos, ma anche durante il governo di Allende ha difeso quel popolo.”

Jean-Pierre, che è informato, continua.

” Puoi vedere Calle Santa Fé in un cinema del quartiere Los Condes. Va ricordato che dopo il colpo di Stato di Pinochet, i militari distrussero le scuole cinematografiche e i centri di produzione, bruciando i film e distruggendo gli impianti. Un dia de octubre en Santiago può essere acquistato in quasi tutte le librerie.”

Un dia de octubre en Santiago, racconta la morte di Miguel, ma anche le delazioni sotto tortura che hano portato a scoprire la casa azzurra di calle Santa Fé. Carmen Castillo racconta con forza le torture subite da sue compagne. El Capitan Miguel Marchensko de la DINA dice  ad una prigioniera Amelia: “Los odio a todos ustedes los miristas. Son unos criminales fanaticos. Les importa un carajo los niños, la familia. Voy a dar la orden que me traigan el bebé aquí; a él también voy a ponerlo a la parilla si no hablas…”

Carmen Castillo

Il film “Calle Santa Fe” è la storia rivoluzionaria d’amore, che, rende anche omaggio a Salvador Allende ed è dedicato ai militanti impegnati durante il periodo della dittatura in Cile. E’ la vita di una donna che intraprende nell’ottobre 1974 un duro viaggio quando il suo compagno viene assassinato. E’ la realtà di Carmen Castillo, sopravvissuta a una tragedia collettiva e personale per raccontarla in questo film. Carmen Castillo afferma : “Nonostante le morti, gli errori, l’esilio vale la pena lottare per cambiare lo stato del mondo”

Calle Santa Fé, historia de un amor revolucionario

Dopo questi tre giorni trascorsi a Santiago Miguel ed Edgardo Enriquez e Carmen Castillo  non sono più solamente eroi rivoluzionari ma anche persone che vivevano e  amavano la vita.

Ritorno a Buenos Aires. Per attraversare la neve e le rocce delle Ande ci vuole una mezz’ora. A tratti sembra che le Ande tocchino le ali dell’aereo. Penso a Miguel, Edgardo, Carmen e alla tragedia vissuta dal popolo cileno.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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