I sauditi non hanno più opzioni nella loro guerra contro lo Yemen, cominciata nel 2015. Il recente attacco alle infrastrutture petrolifere saudite ha dimostrato come questo conflitto possa potenzialmente espandersi anche all’interno dei confini dell’Arabia Saudita, minacciando il regno e le sue istituzioni monarchiche. Nonostante il consueto dito puntato contro l’Iran, la dichiarazione degli Huthi riguardo all’attacco non solo ha confermato chi realmente lo avesse pianificato ed eseguito, ma rivela anche come questo atto abbia ricevuto un appoggio anche dall’interno dell’Arabia Saudita stessa, fatto che ha turbato la dinastia saudita molto di più del danno in sé inferto alle proprie infrastrutture petrolifere. L’attacco dimostra la vulnerabilità sia interna che esterna della monarchia. In una situazione dove il Regno può facilmente essere colpito laddove fa più male, è chiaro che la concorrenza politica interna può attaccarsi a tutto per indebolire ed eventualmente rovesciare la famiglia reale saudita. La guerra saudita in Yemen è quindi già diventata a doppio rischio, una pietra attorno al collo dei sauditi, che per Moḥammad bin Salman [principe ereditario della famiglia reale] risulta quasi impossibile a togliersi.
A dispetto del tentativo di Riad di puntare il dito verso l’Iran, non si può negare che gli Houthi in Yemen abbiano sviluppato la loro capacità militari nel corso dell’ultimo paio d’anni. Infatti, la ragione dietro al ritiro degli Emirati Arabi Uniti dallo Yemen è proprio l’incremento della forza militare degli Houthi, associato alla loro potenziale capacità di colpire direttamente Dubai. Se la coalizione guidata dai sauditi fosse stata in grado di vincere la guerra, gli Emirati Arabi non avrebbero mai imboccato una cosiddetta strategia “peace first” [“prima la pace”] seguita poi da un ritiro tattico. Il nocciolo della questione è che questo ritiro avviene per l’acquisizione di missili balistici e droni da parte delle forze Houthi, cosa questa che ha costretto i partner della coalizione saudita a cambiare radicalmente la propria strategia, lasciando l’Arabia Saudita sostanzialmente da sola in uno scenario di guerra aperta che non può essere vinta.
E’ parimenti singolare come la dichiarazione rilasciata dal movimento Houthi fosse diretta contro l’Arabia Saudita, solo e solamente contro di essa:
Questa operazione è una delle più estese operazioni all’interno dell’Arabia Saudita portate a termine dalle nostre forze, ed è scaturita a seguito un’accurata operazione di spionaggio, monitoraggio avanzato e cooperazione con liberi uomini d’onore all’interno del Regno. Promettiamo al regime saudita che le nostre future operazioni si estenderanno ancora oltre e saranno sempre più dolorose finché durerà la sua aggressione ed il suo assedio. Noi affermiamo che l’obiettivo principale è quello di espandersi giorno dopo giorno e che non c’è soluzione per il regime saudita se non quella di terminare l’aggressione e l’assedio al nostro paese.
La dichiarazione menziona solamente “l’aggressione saudita” e fa riferimento al “regime saudita”, chiarendo chi siano i principali colpevoli delle atrocità commesse contro lo Yemen. La scala dei loro attacchi si espanderà com’è stato per la loro capacità militare, ed il successo con cui hanno colpito le raffinerie petrolifere di Abqaiq dimostra come possano essere potenzialmente capaci di abbattere la dinastia saudita.
Sia a livello regionale che internazionale, l’Arabia Saudita ha ricevuto da poco a nessun sostegno all’indomani dell’attacco, e la loro accusa all’Iran di essere dietro all’accaduto non è stata ascoltata. A parte la singola eccezione del segretario di stato USA Mike Pompeo, nessuno ha assecondato questo incolpare l’Iran, né i paesi dell’area Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain, Giordania, Turchia, né nessun’altra potenza straniera. Persino il presidente USA Donald Trump ha detto come sia necessario almeno un approfondimento per verificare se l’Iran sia realmente coinvolto nell’attacco o sia in qualche modo dietro a tale atto.
E sebbene Trump avesse in precedenza affermato anche che gli USA fossero “pronti e carichi”, gli Stati Uniti sono molto lontani dall’essere entusiasti per lasciarsi invischiare in una nuova guerra in Medio Oriente. A parte le affermazioni, l’approccio degli USA è cauto e difficilmente si materializzerà nel massimo sostegno ad un’eventuale guerra dei sauditi contro l’Iran, quando il regno non è neanche riuscito a vincere la propria guerra contro gli Houthi.
Washington potrebbe invece precipitarsi in soccorso dei sauditi, secondo le parole del Presidente USA, nel caso l’Arabia Saudita sia in grado di permetterselo finanziariamente e sia disponibile a pagarne il conto, cioè il fatto che USA ed Arabia Saudita siano “alleati strategici” non gioca alcun ruolo nella decisione. Trump, in una conferenza stampa a margine della visita al principe ereditario del Bahrain, ha detto:
I sauditi saranno tenuti ad avere un forte coinvolgimento se noi [USA] decidessimo di fare qualcosa. Loro saranno molto coinvolti e questo include anche i finanziamenti. Loro lo comprendono perfettamente.
Gettando ulteriori dubbi su quanto forte e stretta sia l’alleanza strategica USA-Arabia Saudita, Trump ha continuato:
I sauditi vorrebbero molto la nostra protezione, ma io dico, bene, ci dobbiamo lavorare. Questo è stato un attacco all’Arabia Saudita, non è stato un attacco a noi. Ma noi li vorremmo certamente aiutare … riusciremo a trovare una soluzione insieme a loro. Ma loro sanno anche che, come sapete, non sto cercando di entrare in un nuovo conflitto…
Com’è messo quindi il Regno Saudita? A seguito della sua guerra contro lo Yemen, è tendenzialmente isolato, indebolito e vulnerabile a nuovi attacchi sia internamente che da oltre i propri confini. Mentre le autorità saudite vanno ribadendo che il regno ha la capacità di gestire da solo la crisi, nessuno nega che dovranno percorrere questa strada da soli.
L’attacco di Abqaiq ha dimostrato che l’intera produzione mediorientale di oltre 18 milioni di barili di petrolio al giorno comprendente Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita può essere facilmente messa al tappeto, un eventualità che gli stati di quell’area non possono tollerare. Nello specifico, l’Arabia Saudita non può né proseguire la guerra in Yemen, né vincerla da sola.
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Articolo di Salman Rafi Sheikh apparso su New Eastern Outlook il 24 settembre 2019
Traduzione in italiano di Michele Passarelli per SakerItalia