Immagine della copertina del libro di Paolo Rumiz
Francesco Cecchini
Quando fui sui Monti Scarpazi
miserere sentivo cantar
ti ho cercato tra il vento e i crepazi
ma una croce soltanto ho trovà Canzone cantata sui monti carpazi da soldati italiani che combattevano con un’altra divisa e sotto un’altra bandiera. Cantavano in dialetto trentino o giuliano, ma anche in italiano, canti malinconici ed inquieti.
Tra pochi giorni saranno 101 anni dalla fine della Grande Guerra, un Grande Massacro in realtà. Durante gli anni scorsi in occasione dei vari centenari si è detto, fatto vedere, scritto molto, ma alcuni aspetti non sono ancora messi completamente a fuoco. La partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale ebbe inizio il 24 maggio 1915, ma per degli italiani, trentini, triestini, goriziani iniziò un anno prima e combatterono sotto la bandiera e con la divisa dell’impero austro ungarico e furono mandati in Galizia a combattere contro la Russia zarista.
Nel suo libro Come cavalli che dormono in piedi Paolo Rumiz parla, con una scrittura efficace, di questa vicenda. Rumiz in treno raggiunge i Carpazi e la Galizia sulle tracce del nonno, Ferruccio,morto prima che lui nascesse e che fu uno degli italiani arruolati nell’ esercito dell’impero.
Molti morirono nelle carneficine nelle pianure polacche, in Bucovina ed in Galizia
Rumiz va alla ricerca dei cimiteri in cui riposano triestini e trentini, assieme a friulani, istriani e altri provenienti da territori che oggi hanno una appartenenza diversa. Rumiz trova le tombe anche grazie alla Croce Nera austriaca, che ha dato sepoltura a questi soldati, ne mantiene viva la memoria e censisce i cimiteri e li tiene puliti e sistemati.
Quando questi italiani andarono al fronte russo si pensava che “prima che le foglie cadano in autunno” il conflitto sarebbe finito. Ma non fu così, la guerra si estese a tutta l’Europa, ma i soldati triestini, trentini e gorizioni non furono mai trasferiti sul fronte italiano perché l’Impero aveva paura di defezioni, diserzioni, cameratismo e fratellanza per ragioni etniche e culturali.
A scuola si insegna la storia di Cesare Battisti, Nazario Sauro ed altri, ma non quella di italiani con la divisa austro-ungarica.
Paolo Rumiz racconta: I trentini, in cinquantamila erano partiti per il fronte russo, contro le poche centinaia che avevano disertato per andare a combattere con lItalia (p. 158)
Ora si sa che partirono circa 100.000 e ne morirono 25.000. Ma la contabilità non esatta.
Sempre Rumiz racconta che , … a Trieste dopo il 1918 sono state deliberatamente occultate le liste dei morti messea disposizione da Vienna. Si è fatto sparire tutto, e oggi non abbiamo né i numeri néi nomi. .;La damnatio memoriae ha cancellato anche lanagrafe. Non uno straccio di lista, non un miserabile elenco, niente di niente. Nulla per risalire ai cimiteri di guerra registrati dagli archivi austriaci(p. 26).
In Trentino, qualche segno è rimasto: ci sono cimiteri di paese con monumenti ai Caduti, con lindicazione 1914—18 e non 1915—18. Nella Venezia Giulia , Gorizia e Trieste tutto è scomparso fino agli anni Novanta per via della Guerra Fredda[p. 27].
Ma il peggio venne dopo, quando i vincitori, nel 1918, invece di restituire lonore a quei ragazzi, adottarono la menzogna del nemico e confermarono la degradazione. Non si doveva sapere che migliaia di italiani avevano combattuto per lAustria con onore. E così accadde che a guerra finita, al ritorno dal fronte o dalla prigionia in Russia, i nostri furono non solo diffidati dai carabinieri a raccontare ciò che avevano vissuto, ma addirittura spe-diti in campi di rieducazione nellItalia del Centro-Sud. Dopo essere stati troppo italiani per i tedeschi, erano diventati troppo tedeschi per gli italiani[pp. 24—25].
Appena messo piede nelle terre loro, trentini e adriatici vengono internati e non fanno nemmeno in tempoa riabbracciare le famiglie. Molti di quelli che sono già tornati indivi-dualmente via terra sono invitati a presentarsi ai carabinieri per comunicazioni che li riguardano e lì sono impacchettati a tradimento e spediti sotto scorta nei più remoti villaggi dAppennino, a scopo rieducativo. Svernano nei dintorni di Isernia o Campobasso, con intorno la febbre spagnola che fa strage, blindati in chiese sconsacrate o scuole chiuse, dove vengono comunque a contatto con unumanità povera e compassionevole, ma infini-tamente meno istruita di loro. Spesso gli italiani austroungarici di ritorno sulle tradotte fini-scono col fare un viaggio parallelo a quello degli italiani del Regno […]. Centinaia di migliaia di uomini su cui pesa lombra del tradimento di Caporetto […]. Una crudeltà che provoca decine di migliaia di morti
Nel suo viaggio Paolo Rumiz è stato accompagnato dalla storica e ricercatrice triestina Marina Rossi che ha scritto GLI ITALIANI AL FRONTE RUSSO, UNA STORIA RIMOSSA, pubblicato da Editrice Storica di Treviso dell’ISTRIT, Istituto per la Storia del Risorgimento. Un lavoro scientifico basato su documenti d’epoca e sulla corrispondenza, lettere e diari dal fronte russo di italiani che vi combatterono dal 1914.
Paolo Rumiz è un giornalista, editorialista della Repubblica e scrittore di molti libri. L’ultimo è Il filo infinito, Collana I Narratori, Milano, Feltrinelli, 2019.
CARTA D’IDENTITA’. Titolo: Come cavalli che dormono in piedi Autore: Paolo Rumiz Pagine: 261 Editore: Feltrinelli Anno di pubblicazione: 2014 Prezzo: Euro 18,00