Vincitore delle elezioni presidenziali boliviane per la quarta volta consecutiva, Evo Morales rilancia il fronte progressista sudamericano in un momento politicamente cruciale per il continente.
Eletto per la prima volta nel 2006, il presidente della Bolivia, Evo Morales, è stato a lungo il braccio destro del venezuelano Hugo Chávez nella guida del fronte dei governi progressisti latinoamericani. Unico superstite di quella fase politica, Morales ha superato indenne anche il momento di maggior crisi per le sinistre continentali, e, con le elezioni presidenziali del 20 ottobre, si è assunto l’onere di lanciare la riconquista dell’America meridionale da parte delle forze socialiste e progressiste.
Grazie ad una modifica costituzionale, Morales ha potuto infatti concorrere alle elezioni presidenziali per la quarta volta consecutiva, ottenendo ancora una volta un riscontro popolare con pochi eguali. Dopo quasi tredici anni di governo, infatti, il leader Movimiento al Socialismo–Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos (MAS – IPSP) ha raccolto il 46.67% dei consensi, battendo nettamente il principale candidato della destra, Carlos Mesa, rappresentante di Comunidad Ciudadana (CC), fermo al 36.86%. Tra i nove candidati al ruolo di presidente, molti reazionari puntavano anche sul nome di Chi Hyun Chung, di chiare origini coreane, che non è riuscito ad andare oltre l’8.79% con il sostegno del Partido Demócrata Cristiano (PDC).
Sebbene Morales non abbia superato la fatidica soglia del 50%, la costituzione boliviana prevede l’elezione del capo di Stato al primo turno anche nel caso in cui uno dei candidati superi il 40% dei consensi con almeno dieci punti percentuali di vantaggio sul primo degli avversari. Proprio per questo, Morales si è assicurato un altro quadriennio alla guida della Bolivia.
L’ennesima vittoria del primo presidente indigeno nella storia del Paese, naturalmente, ha suscitato le scomposte reazioni della destra, il cui leader principale, Carlos Mesa, ha dichiarato di non voler riconoscere l’esito della sfida elettorale. Mesa, dal canto suo, si candida a nuovo Juan Guaidó, l’autoproclamato presidente del Venezuela, oramai caduto nel dimenticatoio di fronte ad un Paese che continua a sostenere il legittimo governo di Nicolás Maduro.
La vittoria di Evo Morales, come anticipato, assume una dimensione che va ben oltre i confini nazionali boliviani. Dopo un momento di avanzata da parte delle forze conservatrici, reazionarie e filostatunitensi nel continente sudamericano, infatti, sembrerebbe proprio essere arrivata una nuova inversione di tendenza. La resistenza del Venezuela agli assalti imperialisti ha rappresentanto un fattore cardine di questo cambiamento, ed ora gli altri Paesi sembrano raccoglierne i frutti. Il quarto successo di Morales arriva in un momento in cui due Paesi cari al neoliberismo, il Cile e l’Ecuador, sono travolti dalle proteste popolari che hanno messo a ferro e fuoco le rispettive capitali, Santiago e Quito. Domenica, invece, sono previste le elezioni presidenziali in Argentina, dove il quadriennio liberista di Mauricio Macri dovrebbe concludersi con una severa sconfitta ed il ritorno del peronismo di sinistra al potere.
Come già accaduto numerose volte nella storia dell’America meridionale, i governi liberisti e filostatunitensi hanno fallito sotto tutti i punti di vista, suscitando unicamente ribellioni popolari ed il ritorno della sinistra – seppur sotto forme sempre diverse – come unica possibile soluzione ai mali di queste terre: la povertà e soprattutto la straziante diseguaglianza, che soltanto le politiche egualitarie di presidenti come Morales e Chávez hanno potuto attutire.