Il peronismo con Alberto Fernandez e Cristina Kirchner vince le elezioni al primo turno: sconfitto il presidente uscente Macri, si festeggia nelle strade. Le speranze di cambiamento di un paese sull’orlo del default.
No se pudo. La rimonta non c’è stata. A dispetto dello slogan che ha contraddistinto la campagna elettorale dell’attuale governo – il #SiSePuede che scommetteva in un miracoloso recupero di Macri – le elezioni della scorsa domenica 27 ottobre hanno segnato una prima importante discontinuità in Argentina ed in America Latina: il presidente uscente Mauricio Macri, candidato della coalizione “Juntos por el Cambio”, è stato sconfitto dal candidato peronista della coalizione Frente de Todos, Alberto Fernández.
La vittoria, largamente annunciata dopo le PASO – elezioni primarie obbligatorie e simultanee – di agosto, è arrivata al termine di una campagna elettorale segnata da una crescente polarizzazione, in un contesto di instabilità monetaria e di inflazione crescente. A questi fattori si è aggiunta la mossa di Cristina Fernández de Kirchner di non candidarsi alla presidenza, scelta che – oltre ad avere sorpreso il suo elettorato – ha audacemente spiazzato la strategia di Macri rilanciando brillantemente l’unità del peronismo, e che a conti fatti è stata decisiva per vincere le elezioni.
La scelta di Cristina di cedere il posto di candidata presidente – reclamato a gran voce da settori popolari, peronisti e sindacali – per presentarsi invece come vicepresidente, in formula con il più centrista Alberto Fernandez, era stata annunciata lo scorso maggio poco prima della chiusura delle candidature.
Alberto Fernádez è una figura moderata all’interno del kirchnerismo, capo di gabinetto del primo governo di Néstor Kirchner e del primo di Cristina, con la quale aveva rotto dopo il conflitto con le oligarchie terriere durante il cosiddetto “conflitto del campo” nel 2008.
Con questa strategia la coalizione che ha riunito il peronismo, dalle figure più moderate e centriste fino ad una parte dei movimenti sociali popolari, riuniti nel Frente Patria Grande, ha potuto affrontare la corsa alla presidenza abbracciando un fronte peronista più ampio di quello che probabilmente avrebbe garantito una formula a parti invertite.
Infatti, se da una parte Cristina ha portato in dote leadership e un grande numero di voti, alimentando la candidatura del binomio, dall’altra è stato altrettanto efficace proporre Alberto alla presidenza per offrire sia un’immagine di rinnovamento che per mettersi al riparo dalle critiche mai sopite rispetto proprio alla figura di Cristina, il cui mandato, soprattutto negli ultimi anni, era stato caratterizzato da una dinamica conflittiva con opposizione e grandi corporazioni multimedia, oltre che negli ultimi anni da una persecuzione giudiziaria con diversi processi aperti per fatti di corruzione legati ai suoi due mandati presidenziali.
GALLERIA FOTOGRAFICA DI GIANLUIGI GURGIGNO:
VAMOS A VOLVER!
Curiosamente, Plaza de Mayo e l’Obelisco della Avenida 9 de Julio, luoghi abituali delle celebrazioni di piazza a Buenos Aires, non sono stati gli epicentri dei festeggiamenti di domenica. La notte del voto, dopo una giornata allo stesso tempo calma ma piena di tensione, il comitato elettorale del Frente de Todos ha inondato le strade del quartiere di Chacarita: sulla lunghissima avenida Corrientes, decine e decine di migliaia di persone si sono radunate fin dal pomeriggio, in attesa dei primi risultati parziali.
Poco dopo le 21, quando i primi numeri iniziavano a definire una probabile vittoria di Fernández, le grida e i canti di gioia si sono mescolati ai fuochi d’artificio e ai clacson delle auto, agli abbracci e ai pianti di liberazione. Allo stesso modo, tantissimi richiami ai precedenti governi kirchneristi, con i volti di Néstor e Cristina su magliette, cartelli e tatuaggi, si sono affiancati alle numerose bandiere dell’Argentina e ai pañuelos verdes della campagna per la legalizzazione dell’aborto: una paese progressista con più diritti per tutte e tutti, costruito in modo plurale, solidale e inclusivo.
Slogan peronisti come “La patria es el otro” stampati sulle magliette. Cumbia, rock della storica band Los Redondos, bandiere, canti e soprattutto felicità collettiva della fine di un incubo. E poi, senza nulla togliere alla capacità di Alberto Fernández di assumere il ruolo di candidato credibile, è risuonato tra i canti un significativo “Alberto presidenta! Alberto presidenta!”, nel caso ci fossero stati ancora dubbi sulla fondamentale presenza di Cristina nella formula presidenziale, su cui la piazza ha saputo esprimersi con tagliente ironia.
Mentre in strada l’euforia per il risultato è stata potente, sul palco del Frente de Todos, la consapevolezza di un futuro prossimo certamente complicato vista la profonda crisi del paese ha indotto alla moderazione e a un festeggiamento decisamente più sobrio.
Dopo quattro anni di gestione Cambiemos – la coalizione che ha vinto il ballottaggio nel 2015 – l’Argentina è un paese sull’orlo del baratro: Macri – che appena assunto il mandato trovava un rapporto dollaro/peso di 1 a 10 – lascia il paese con un dollaro a oltre 65 pesos, un’inflazione al di sopra del 60 per cento, la povertà oltre il 35 per cento, i costi dei servizi aumentati in quattro anni di oltre il 500 per cento, la disoccupazione ad oltre il 10,6 per cento, una fuga di capitali costante, la struttura produttiva e le infrastrutture dei servizi profondamente compromesse, e l’indebitamento più grande della storia con il FMI.
Nonostante questo, e sebbene i sondaggi prospettassero una vittoria con uno scarto di 20 punti percentuali – anche alla luce di un risultato alle primarie (47,7 a 32,1) che aveva di fatto già indicato il probabile vincitore della contesa – la formula Fernández-Fernández ha vinto di “soli” 8 punti percentuali.
Un’affermazione netta, ma che segnala una serie di questioni abbastanza importanti da prendere in considerazione. In primo luogo la dimensione decisiva dell’unità del peronismo nella politica argentina (arrivò diviso alle elezioni di quattro anni fa), in secondo luogo il consolidamento di un voto di destra, radicalizzato durante l’ultima parte della campagna elettorale di Macri.
Ed infine il fatto che buona parte dei settori colpiti dalla crisi e dalle politiche macriste abbiano riposto nel candidato del Frente de Todos una grande speranza di miglioramento delle condizioni di vita, in un contesto però molto difficile a causa della recessione e dell’indebitamento del paese con il Fondo Monetario Internazionale.
MACRI E L’OPPPOSIZIONE AL PERONISMO
Riguardo al secondo punto, la crescita del macrismo rispetto alle PASO può essere analizzata in relazione alla capacità della coalizione di convogliare, così come avvenuto nel 2015 e nonostante i risultati negativi ottenuti negli anni di governo, il voto antiperonista, il cosiddetto “gorillismo”. Una carta, quella dell’anti-peronismo, giocata con insistenza da Macri in campagna elettorale, specie nel tour che lo ha portato per diverse settimane a percorrere le province del paese; al tempo stesso, la mappa del voto mostra chiaramente come il recupero del fronte macrista è dipeso dal consenso nelle aree più ricche del paese, le province di Cordoba, Mendoza, Santa Fé, e nei territori urbani principali come la capitale federale Buenos Aires.
L’ascesa nelle ultime settimane della formula Macri-Pichetto va compresa e problematizzata: l’affiancamento come vicepresidente di un esponente di destra del peronismo, antiabortista e anti migranti, che di fatto ha sostenuto da esterno il governo Macri per quattro anni (seppure formalmente all’opposizione) è stato un tentativo di erodere voti al peronismo in funzione anti-Cristina, vanificato in gran parte dalla precedente mossa di Cristina e dalla candidatura, con pessimi risultati, del duo peronista di destra Lavagna-Urtubey, fermatosi al 6 per cento; al contempo, è necessario comprendere anche quella che diversi analisti hanno chiamato la svolta a destra del macrismo, laddove la coalizione Juntos por el Cambio ha deciso di stringere ancora di più una relazione con le frange antiabortiste, razziste e conservatrici del paese, in particolare con il crescente evangelismo argentino, incalzando quell’elettorato che potremmo definire “bolsonarista”, togliendo così voti ai candidati dell’ultradestra.
Emerge quindi, nonostante la vittoria peronista, una significativa stabilizzazione di una destra conservatrice che mantiene una certa forza nel paese, al cui interno rimane centrale tanto il no all’aborto così come le politiche in difesa dell’oligarchia, della finanza e la questione sicurezza in chiave di militarizzazione della società.
La sconfitta contundente che molti analisti prospettavano per l’attuale presidente, c’è stata nel distretto più importante dal punto di vista elettorale e storicamente bastione del peronismo, oltre che il più popolato del paese, la Provincia di Buenos Aires, che raccoglie quasi un terzo degli elettori dell’intera Argentina. Lì il candidato del Frente de Todos, Axel Kiciloff, ex ministro dell’economia dell’ultimo governo di Cristina, ha superato ampiamente la candidata di punta del macrismo, Maria Eugenia Vidal, ottenendo il 52 per cento dei voti a fronte del 38 della governatrice uscente, che registra una pesantissima sconfitta.
Contraltare di questo risultato comunque atteso, la vittoria di un altro degli esponenti di punta del macrismo, Horacio Rodriguez Larreta, attuale capo del governo della Città Autonoma di Buenos Aires, che con il 55 per cento dei voti ha sconfitto il candidato del Frente de Todos, il presidente della squadra di calcio del San Lorenzo Matías Lammens, non andato oltre il 35 per cento dei consensi.
NUOVI SCENARI IN PARLAMENTO
In questo nuovo Parlamento, segnaliamo infine alcuni aspetti importanti: Fernandez non ha la maggioranza alla Camera, ma potrebbe ottenerla con specifiche alleanze, e Macri si consolida come principale opposizione. Una nota sul risultato del Frente de Izquierda, che ha raccolto solamente il 2 per cento nonostante l’unità di diverse esperienze partitiche e movimenti della sinistra più tradizionale e trozkista, con un risultato ben al di sotto delle attese, complice la polarizzazione estrema (uno su due dei votanti della sinistra ha optato per la formula Fernández-Fernández), e che segna un limite delle forme di partito che – pur protagoniste di esperienze generosamente presenti nelle lotte sul lavoro, in quelle femministe e territoriali – non sono riuscite a tradurre questa presenza in consenso elettorale.
Poi, le voci di un possibile ministero dell’Uguaglianza di Genere alla femminista Dora Barrancos. Infine, l’elezione di una serie di candidate femministe, tra cui spicca la giovanissima Ofelia Fernández, la più giovane deputata dell’America Latina con soli 19 anni.
Leader studentesca dei licei, Ofelia è stata relatrice al Congresso per la Campagna per l’Aborto Legale durante l’iter della legge poi bocciata al Senato, esponente di quella giovanissima generazione femminista che in questi anni sta trasformando la politica e le lotte sociali nell’intera regione, eletta nelle liste del Frente de Todos nella capitale del paese.
Come abbiamo più volte scritto in questi anni, sono state le lotte popolari e sociali che in questi quattro anni hanno segnato il passo dell’erosione del consenso macrista, in particolare a partire dalla ribellione di piazza del dicembre del 2017 contro la riforma delle pensioni, poi approvata, con un crescendo di mobilitazioni e lotte nel paese, dagli scioperi femministi alla lotta per l’aborto legale, agli scioperi generali e ai blocchi stradali e cortei dei lavoratori e delle lavoratrici delle economie popolari, fino alle lotte territoriali nelle diverse province del paese nel pieno della durissima crisi produttiva, cambiaria, sociale ed economica che l’Argentina ha vissuto in questi anni.
SCENARI FUTURI
Cosa ne sarà delle aspettative dei settori popolari e dei lavoratori e delle lavoratrici che sono stati protagonisti di questi anni di lotte, mobilitazioni, scioperi? Quali nuovi scenari di lotta sociale e sindacale, e quali scenari per la continuità della capacità di mobilitazione delle lotte femministe e di quelle indigene? Quali risposte saprà dare un nuovo governo che avrà nella propria base elettorale e parlamentare esponenti delle organizzazioni popolari, del peronismo di sinistra e del kirchnerismo, fino a settori più moderati che non propongono alcuna forma di rottura con il modello di accumulazione estrattivista e neoliberale? Come si confronterà il governo con i settori concentrati dell’economia, le oligarchie e il FMI? Quali saranno i rapporti di forza e come verrà gestita la rinegoziazione del debito?
Si tratta di questioni decisive dei prossimi mesi, sia in merito alla possibilità di un cambiamento per l’Argentina rispetto a questi anni disastrosi, che per quanto riguarda la scena politica regionale e continentale, che per la ripresa delle lotte sul lavoro, per l’aborto legale, contro l’estrattivismo e tutte le forme eterogenee di violenza del capitalismo contemporaneo.
In piazza i festeggiamenti sono stati grandi, ma dal giorno dopo tutti sono tornati alle preoccupazioni laceranti della vita quotidiana nella crisi, mentre il Banco Centrale ha fissato il limite acquisto di dollari, da 10 mila al mese a 200 come soglia massima, per fermare la svalutazione del peso, e il governo uscente di Vidal ha approvato nuovi aumenti dei servizi.
Il presidente Fernandez e la vicepresidente Cristina assumeranno l’incarico il prossimo 10 di dicembre, e si attendono già migliaia di persone al discorso inaugurale, per celebrare il ritorno del peronismo alla Casa Rosada. Lo attendono anche il Fondo Monetario Internazionale, i presidenti dei paesi limitrofi, e milioni di persone che hanno vissuto la crisi e hanno votato il Frente de Todos alla ricerca di un cambiamento del paese.
Intanto, lo scenario latinoamericano, dall’Ecuador al Cile, dal Brasile alla Bolivia, è attraversato da nuove e profonde tensioni, insurrezioni popolari contro il saccheggio e la violenza capitalista che colpisce corpi e territori, crisi politiche eterogenee ma che definiscono uno scenario politico profondamente complesso, drammatico ed interessante al tempo stesso.