Oppositori di Evo Morales
Francesco Cecchini
L’impronta imperialista nel colpo di stato appena compiuto in Bolivia è chiara. Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato in una dichiarazione: “Gli Stati Uniti applaudono il popolo boliviano per la richiesta di libertà e l’esercito boliviano per aver rispettato il suo giuramento di proteggere non solo una sola persona, ma la costituzione della Bolivia”.
Il processo che si è concluso con la rimozione del presidente della Bolivia Evo Morales è iniziato lo stesso giorno in cui si sono svolte le elezioni presidenziali, il 20 ottobre. Da quel giorno in poi, la violenza dell’opposizione e la pressione internazionale della destra sono aumentate fino a quando i militari e la polizia non hanno tolto il loro sostegno al presidente eletto.
La notte delle elezioni, il 20 ottobre, con l’84 per cento dei voti controllato effettuato, Evo Morales con il Movimiento Al Socialismo (MAS) ha il 45,28 % dei voti contro il 38,16 % di Carlos Mesa di Comunidad Ciudadana. La destra inizia già ad avanzare dubbi sul risultato.
Il giorno dopo, il 21ottobre, il Tribunal Supremo Electoral (TSE) assegna il 46,4 % dei voti a Morales, contro il 37,07% per cento per Mesa, con il 95,63 % dei voti controllati. Manca poco al divario del 10% necesario per vincere. Mesa sul punto di perdere parla di frode e la violenza di destra esplode. Tra l’altro vengono date alle fiamme tre uffici del Tribunal Supremo Electoral.
Martedì 22 ottobre, organizzazioni di destra proclamano uno sciopero generale a tempo determinato. In una conferenza di stampa l’OEA esprime dubbi sul risultato elettorale. Il Cancelliere Diego Pary afferma che in Bolivia non è possibile falsificare e che questi possono essere ri controllati uno a uno.
Mercoledì 23 ottobre, Morales denuncia che è in atto un colpo di stato della destra boliviana , con il sostegno internazionale. Gli scioperi vengono replicati in tutto il paese e gli incidenti si moltiplicano dopo gli scontri tra sostenitori di entrambe le parti.
Venerdì 25 ottobre I risultati finali danno Evo Morales vincitore con il 47,08 per cento dei voti contro il 36,51 % di Mesa. Morales supera di 10 punti percentuali ed evita il secondo turno. Nono stante ciò l’ opposizione di destra, l’OAS, l’Unione Europea, gli Stati Uniti di Trump, la Colombia di Duque e l’Argentina di Macri richiedono un ballottaggio . I blocchi stradali e gli scontri tra sostenitori di Evo Morales e avversari di destra continuano.
Giovedì 31 ottobre Inizia il controllo dell’OEA sul ri conteggio dei voti, come richiesto dal governo di Evo Morales, ma ora respinto dall’opposizione di destra.
Sabato 2 novembre Luis Fernando Camacho si propone come leader dell’opposizione di destra, asi mobiliti contro di lui. Evo Morales fa invece appello all’esercito a servire il popolo boliviano e che rimanga vicino al governo.
Mercoledì 6 novembre, violenti scontri a Cochabamba. A Vinto manifestanti di destra incendiano il municipio e obbligano la sindaco Patricia Arce Guzman del MAS, a camminare a piedi nudi e coperta di pittura rossa per la cittadina, con offese e minacce.
Venerdì 8 novembre e sabato 9 novembre, si ammutinano le polizie di Cochabamba, Sucre Santa Cruz. Evo Morales continua a denunciare il colpo di stato in corso.
Domenica 10 novembre Morales annuncia al mattino che convoca “nuove elezioni nazionali che, con il voto, permetteranno al popolo boliviano di eleggere democraticamente nuove autorità”. Poco prima, quando ha annunciato la relazione preliminare del proprio audit, l’OAS chiede l’annullamento delle elezioni presidenziali di ottobre e lo svolgimento di nuove elezioni. Due ministri e il presidente del Congresso si dimettono di fronte a un clima accelerato di violenza. Le forze armate e la polizia chiedono alle dimissioni il presidente. Dalla città di Chimoré, Morales annuncia finalmente le sue dimissioni.
Lunedì 11 novembre. Evo Morales arriva in Messico dove ottiene asilo politico. Ringrazia e afferma: “Non cambierò per colpa di questo colpo di stato. La lotta continua.”
Evo Morale a pugno chiuso.
Martedì 12 novembre. La senatrice Jeanine Áñez di Plan Progreso para Bolivia-Convergencia Nacional (PPB-CN si è autoproclamata presidente della Bolivia, anche in mancanza di quorum. E’ famosa per commenti razzisti a esponenti della comunità indigena.
Jeanine Áñez
Mercoledì 13 novembre, Migliaia di boliviani si sono mobilitati da El Alto a La Paz (capitale) in una manifestazione auto-convocata per rifiutare il colpo di stato contro il presidente Evo Morales, orchestrato dai leader dell’opposizione Luis Fernando Camacho e Carlos Mesa, attraverso un’ondata di violenza contro gli indigeni, agricoltori e funzionari governativi. Mentre due aerei dell’aeronautica boliviana hanno sorvolato la massiccia concentrazione nel centro storico di La Paz, i manifestanti hanno esclamato: “Non abbiamo paura!” La protesta ha richiesto che l’Assemblea legislativa plurinazionale non fosse installata per evitare di consumare la situazione irregolare che il paese sta attraversando. Infine, il Parlamento ha dovuto sospendere la sessione in cui avrebbero discusso le dimissioni di Evo Morales, a causa della mancanza di quorum. Allo stesso modo, i boliviani hanno espresso il loro rifiuto del discorso dell’opposizione razzista e del rogo del whipala, la bandiera delle nazionalità indigene della Bolivia, che era all’interno dell’Assemblea legislativa.
Evo non sei solo.