L’ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) avvenne gradualmente e non comportò immediatamente una completa assunzione di responsabilità da parte dei vertici per quanto avveniva nelle regioni della Germania erede del federalismo imperfetto di Weimar.

Così, se Hitler e la sua cerchia dettavano ideologia, cultura e modalità di espressione materiali delle medesime in comizi che tenevano in tutto il paese, non direttamente si poteva attribuire a loro le violenze perpetrate da quelli che anche la stampa estera definiva come “episodi” di contrasto tra comunisti e nazisti, tra sindacalisti e appartenenti alle SA (le “Sturmabteilung“, i “reparti di assalto” guidati da Ernst Röhm, vittima della purga hitleriana nella “Notte dei lunghi coltelli“), ambiti cattolici e futuri membri delle SS di Himmler.

Il Partito nazista, in tal modo, non poteva essere accusato in prima persona, e tanto meno il Führer (prima dentro al partito e poi anche come cancelliere del Reich), di essere il mandante di tutti quegli omicidi e violenze che si poterono registrare in Germania ben prima del 1933, quando iniziava la disavventura nazista e ben presto il parlamentarismo, come nei programmi della NSDAP, sarebbe stato messo da parte e sostituito con un potere acquisito democraticamente e che della democrazia si era servito per spazzarla via nel corso di pochi mesi.

La dottrina che ispirerà il nuovo corso della politica tedesca è chiara sin da subito: da quando, incarcerato dopo il fallito colpo di Stato a Monaco, in Hitler emerge una visione chiaramente antisemita ma anche rivolta a recuperare uno spirito nazionalistico tedesco pangermanista e che, pur nella consapevolezza che la totale, assoluta purezza razziale sarebbe stata impossibile per via di un margine di incertezza derivato da notizie storiche sempre più lacunose man mano la loro perdita nel tempo dei tempi, arrivando fino alle prime tribù germaniche guidate da Arminio contro il dominio imperiale romano, avrebbe con determinazione rivolto la sua rotta all’affermazione di una superiorità razziale.

Quella del popolo tedesco. In nome di ciò Hitler fu persino più “moderato” (si colga, per gentilezza, il tratto ironico dell’affermazione affidata alle virgolette alte…) dei sovranisti di oggi e di casa nostra: non disse mai “prima i tedeschi“. Non sprecò parole propagandistiche in mezzo a fiumi di tanta altra propaganda volta a dimostrare che gli interessi globali della Germania erano e dovevano tornare grandi e dominare il continente europeo. Evitò, prima di giungere al cancellierato, parole, frasi che potessero farlo apparire, soprattutto all’estero, come un seminatore di odio e di violenza conseguente: quanto anche i suoi comizi fossero intrisi di ferocia, di brutalità e, per questo, degni dell’attenzione di un popolo esangue per le clausole del Trattato di Versailles, per una economia dominata da una inflazione spaventosa che generava una povertà dilagante.

A volte, chi, come il sottoscritto, osa fare accostamenti tra l’oggi e lo sviluppo degli autoritarismi totalitari del Novecento, viene additato come colui che sopravvaluta questi presunti sintomi di recrudescenza delle violenze antisemite, contro gli omosessuali, contro coloro che non sono italiani di nascita; sintomi di voglia di supremazia nazionale rispetto alle minoranze, di primazia di un diritto affidato all’etnicità e non alla giustizia, al trattamento uguale per tutti davanti alla legge.

Ho sentito dire che il fascismo non può tornare in quelle forme. Su ciò concordo: se pensiamo che l’autoritarismo moderno ispirato dai sovranisti possa ripresentarsi con il fez e la camicia nera, siamo e rimaniamo in un errore clamoroso perché ci affidiamo ad una stereotipizzazione classica di chi dalla storia prende un insegnamento che non riesce a convertire in modelli di analisi di una attualità che diventa un tutt’uno col recente passato (quanto meno “contemporaneo” pur essendo transitati nel nuovo millennio).

Sembrerebbe quasi impossibile quel continuum del corso e ricorso della storia che ne è l’anima. L’insegnamento dei fatti accaduti precedentemente al presente eterno in cui viviamo (filosoficamente parlando) deve essere studio e conoscenza, memoria e consapevolezza di quanto può arrivare a fare l’essere umano in determinate circostanze, ma non può ispirare una sorta di dogmatico affidamento agli eventi passati, per cui se non si ripetono esattamente nelle circostanze che conosciamo assumono una minore rilevanza pur avendo molto a che vedere, in quanto a tratti e caratteri comuni, proprio con quanto avvenuto settanta e più anni or sono.

Il neofascismo moderno, italiano ed europeo, si ispira infatti anche alle tecniche mediatiche per ampliare i propri consensi, per rifondarsi come classe dirigente politica capace di essere rassicurante per una borghesia che fa bene a nutrire forti sospetti sulle capacità di gestione del potere da parte di costoro che si fanno chiamare “sovranisti“.

Uno Stato forte non sempre significa essere un forte Stato sul piano economico: spesso vuol dire autarchia, isolazionismo, sanzioni da parte di stati esteri e comunità internazionali.

Anche oggi si tende a sostenere la tesi secondo cui questi fenomeni di ripercorrimento dei bui sentieri del Novecento sarebbero frutto di una reazione a politiche economiche che limitano la sovranità nazionale, ad una Europa che impone i suoi dettami e che dirige gli standard di vita di tutte e tutti noi guardando allo sviluppo del trainatore di turno della UE sul piano finanziario.

E’ certamente vero che l’economia europea è stata ed è tutt’ora un potente elemento di propaganda per i sovranisti: ma l’epoca dell’Euro come nemico assoluto degli italiani è ormai trascorsa. Oggi si punta tutto sui “clandestini“, sui migranti: molto più evidenti delle monete che circolano nelle nostre tasche. L’arrivo di gente “estranea” al contesto in cui viviamo è sufficiente a creare l’allarme della ormai tanto invocata (e mai avvenuta visto che non esiste) “invasione“.

Si può anche affermare, come aveva fatto a suo tempo Ernst Nolte, che il nazismo fu una risposta, ad esempio, al pericolo bolscevico, comunque individuato da Hitler come il pericolo dei pericoli perché limitante lo “spazio vitale” tedesco e perché, nella mescolanza delle paranoie del cancelliere, alleato e complice del “giudaismo internazionale”.

Ma sarebbe riduttivo, ed anche svilente sul piano storico dei fatti, attribuire al nazismo una volontà derivante da una mera reazione a quanto lo circondava: il movimento e partito guidato da Hitler perseguiva precisi scopi volti a sovvertire l’ordine costituzionale germanico e ad instaurare un nuovo ordine europeo fondato sui disvalori nazionalsocialisti, senza che vi fosse possibilità di convivenza con qualunque altro tipo di visione sociale, di morale, di etica tanto politica quanto civile.

Per questo la capacità di adattamento del Nazionalsocialismo alla struttura capitalistica fu un elemento quasi di assoluta normalità, di naturalità del regime: a dispetto della composizione duplice del suo nome, il nazismo fu estremamente nazionale e per nulla socialista, se per socialismo si intende quella volontà politica di sovvertimento del sistema economico capitalistico e una transizione ad una società che superi la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Così, oggi, la capacità di adattamento dei sovranisti ai princìpi economici del mercato globale è disarmante per quanto possa essere paragonata a non molti anni fa, quando essi urlavano tanto contro l’Unione Europea quanto contro le importazioni dall’Asia, dal Sud America… Ogni tanto riemergono le richieste di dazi commerciali sui prodotti cinesi, su quelli indiani. Dazi che esistono già. Eppure rende sempre sul piano propagandistico rinverdire queste polemiche e associarle alle “invasioni di clandestini” e alla “sostituzione etnica” predicata dai peggiori negazionisti dell’Olocausto e ammiratori di una nuova genocida purezza razziale bianca.

Si chiama, in America, “suprematismo“. In Italia non si arriva, almeno nelle forze presenti in Parlamento, ad esprimersi con questi toni da Ku Klux Klan, ma si lambiscono alcune pagine dei libri dei sostenitori della “sostituzione etnica“, quando si afferma che si devono premiare le famiglie italiane che fanno più figli (ufficialmente per contrastare il calo demografico dovuto alle critiche speranze di futuro delle giovani coppie…), che le unioni omosessuali sono da contrastare e che la religione cattolica, la tradizione occidentale cristiana deve essere preservata dall’islamismo e da altre culture.

Per l’appunto, anche oggi questi sovranisti e neofascisti si pongono in contrapposizione a qualunque forma di internazionalismo, rifiutando l’uguaglianza dei popoli, ma mantenendo fede all’uguaglianza delle merci e sposando le peggiori forme di espressione violenta del mercato nella vita delle persone, soprattutto di quelle più indigenti.

Da un lato si mostrano come difensori del popolo, dall’altro sono tra i più fedeli guardiani dello status quo economico vigente, del liberismo più intransigente.

Sottovalutare il fenomeno sovranista, ritenendolo meno pericoloso rispetto, ad esempio, agli anni ’70 quando le forme di violenza politica erano diffuse, è un errore macroscopico: a quel tempo esisteva in Italia, in Europa, una opinione pubblica fondata, su vastissima scala, su un sentimento egualitario che si esprimeva nel consenso a formazioni politiche e sindacali comuniste e socialiste. Il PCI allora esisteva. Oggi non esiste in Italia nessun argine comunista al dilagare di questi deliri antisemiti, razzisti e omofobi.

Comunque, purtroppo, i fenomeni di violenza sono all’ordine del giorno: giusto pochi giorni fa le forze dell’ordine hanno sventato un possibile futuro attentato alla moschea di Colle Val d’Elsa, nella provincia di Siena, messo in preparazione da un gruppo di neonazisti e neofascisti armati di tutto punto.

Un sequestro di minori dimensioni rispetto a quello di Torino, circa sei mesi fa, quando venne addirittura trovato nel covo di un gruppo neonazista un missile aria-aria che occupò molte prime pagine dei giornali.

Pare volessero “far saltare” quel luogo di culto. Una azione degna della “Notte dei cristalli“… Tra bandiere della Repubblica Sociale fascista e del Terzo Reich sono stati sequestrati decine di fucili, un lanciarazzi anticarro simile a quelli usati dalla “Hitler-Jugend” (la “Gioventù hitleriana“, mandata al macello da Goebbels insieme alla sua “Volkssturm” (“milizia d’assalto popolare“) nella battaglia per difendere Berlino dalla conquista sovietica nell’aprile del 1945).

Sembra anche che volessero strutturarsi come “guardia nazionale repubblicana“, pronta per “ogni evenienza“. Potranno anche essere episodi “isolati“, ma cominciano ad essere tanti, a sommarsi seppure nella differente espressione che assumono in tante parti d’Italia: si va dall’aggressione verbale singola, al pestaggio di giovani omosessuali, ad un dilagante razzismo che, fuoriuscito su un autobus da una nostra connazionale (provatene vergogna…), vorrebbe impedire ad una bambina di colore di sedersi accanto ai bianchi, agli autoctoni italiani…

Saranno sopravvalutazioni di un clima generale di odio e di crudeltà, ma sempre meglio sopravvalutare e poi tirare un sospiro di sollievo piuttosto che fare spallucce, sottovalutare il tutto e poi trovarsi nelle condizioni di non poter neppure più scrivere un editoriale come questo.

MARCO SFERINI

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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