Dopo le dimissioni forzate di Evo Morales, i sostenitori del presidente indigeno cercano di fermare il golpe dell’autoproclamata Jeanine Añez, spalleggiata dalla destra e dagli Stati Uniti.
Da qualche giorno, la Bolivia è piombata in una gravissima crisi politica causata dal golpe orchestrato contro il legittimo presidente Evo Morales. Le forze reazionarie della destra e dell’esercito, con l’appoggio neanche troppo velato degli Stati Uniti, hanno obbligato Morales e numerosi altri membri del governo a presentare le proprie dimissioni per evitare uno spargimento di sangue ai danni delle popolazioni indigene e degli strati sociali più poveri. In seguito, Morales ha ottenuto l’asilo politico dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, mentre a La Paz l’esponente del partito di destra Movimiento Demócrata Social (MDS), Jeanine Añez, si è autoproclamata presidente.
L’autoproclamazione della cinquantaduenne di Trinidad rappresenta un altro momento chiave che dimostra come quello in atto contro Morales sia un vero e proprio colpo di Stato. L’ascesa di un nuovo presidente, infatti, non può essere legittimata se non attraverso il voto del parlamento, che tuttavia non è mai stato consultato. Entrambe le camere, del resto, sono ampiamente controllata dalla maggioranza fedele ad Evo Morales, ovvero da esponenti del Movimiento al Socialismo–Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos (MAS-IPSP).
Proprio per questo motivo, il parlamento sta diventando la sede della riorganizzazione della sinistra boliviana. Nella giornata di giovedì, il Senato ha nominato la socialista Mónica Eva Copa come nuovo presidente della camera alta, mentre il collega di partito Sergio Choque ha assunto la medesima carica alla Camera dei Deputati. In questo modo, i parlamentari del partito MAS stanno cercando di ristabilire un normale svolgimento della pratica politica all’interno dell’organo legislativo bicamerale.
Dal canto suo, il nuovo governo de facto ha ottenuto l’immediato riconoscimento di Washington, senza sorpresa alcuna. L’autoproclamatasi presidente ha nominato il nuovo esecutivo, lasciandosi andare a dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti delle popolazioni indigene, che costituiscono la maggioranza della popolazione boliviana. Roxana Lizárraga, nominata ministro delle Comunicazioni, invece, ha minacciato i giornalisti boliviani e stranieri di repressione, mostrando un altro aspetto del volto oscuro del nuovo governo di destra. Alcuni giornalisti argentini e russi hanno denunciato intimidazioni nei loro confronti.
Al momento, dunque, la Bolivia si ritrova con un parlamento a netta maggioranza socialista ed ancora fedele ad Evo Morales, mentre il governo di estrema destra, senza aver ottenuto nessuna vittoria elettorale negli ultimi anni, cerca di conquistare la guida del Paese ignorando l’esistenza dell’organo legislativo, stabilendo di fatto una dittatura della borghesia boliviana a danno della maggioranza della popolazione.
In base alla Costituzione boliviana, oltretutto, dovrebbe essere ora il presidente del Senato, Mónica Eva Copa, ad assumere la presidenza provvisoria, in quanto carica di Stato più alta. Secondo l’emittente TeleSur, con sede a Caracas, invece, i principali partiti avrebbero raggiunto un accordo al fine di andare a nuove elezioni, evitando ulteriori spargimenti di sangue. La stessa Copa ha affermato che “l’unico obiettivo è quello di poter rendere le nuove elezioni praticabili il più presto possibile, essere in grado di pacificare il nostro Paese e soprattutto di difendere la democrazia”.
Difficile credere che nuove elezioni regolari permettano alla destra di ottenere una vittoria legittima, dopo che Morales ha vinto le ultime elezioni presidenziali, poi annullate, con oltre dieci punti percentuali di vantaggio sul suo principale avversario, Carlos Mesa del partito Comunidad Ciudadana (CC), altra forza della destra liberista e filostatunitense.