Riceviamo e pubblichiamo
“Il presidente si difenderà” e non “resterà a guardare”. Ecco come Lee Zeldin, parlamentare repubblicano di New York, ha cercato di giustificare i feroci attacchi di Donald Trump a parecchi testimoni nella recente vicenda delle audizioni sull’indagine dell’impeachment condotte dalla Commissione di Intelligence della Camera.
La difesa di Trump consiste di assaltare i suoi avversari non con argomenti logici ma infangando la loro reputazione. Il 45esimo presidente non risparmia nessuno e ovviamente include anche i suoi collaboratori che non hanno potuto sopportare la condotta del loro capo e lo hanno “tradito”. Alcuni di questi collaboratori erano infatti vicinissimi all’attuale inquilino della Casa Bianca. Il colonnello Alexander Vindman, direttore del Consiglio degli affari per la Sicurezza Nazionale, lavora difatti alla Casa Bianca. Vindman ha testimoniato che la richiesta di Trump al presidente Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, di aprire un’indagine sulla presunta corruzione di Joe Biden e del figlio Hunter, non era solamente “inappropriata” ma anche pericolosa per le sue “notevoli implicazioni sulla sicurezza nazionale americana”. Per Vindman, come per quasi tutti gli analisti, chiedere assistenza a un presidente straniero in una chiamata telefonica per una campagna politica americana non era affatto “bellissimo” come continua a sostenere Trump.
Vindman ha rischiato grosso poiché il capo delle forze armate americane è proprio Trump, il Commander-in-chief. Per la sua azione di dire la verità, Vindman è stato attaccato da Trump etichettandolo un “Never Trumper”, uno dei tanti “haters” (odiatori) del presidente. Come spesso avviene, gli attacchi di Trump, vengono riecheggiati dai suoi alleati e sostenitori. Steve Castor, il legale dei rappresentanti repubblicani alla Commissione Intelligence, ha messo in dubbio la fedeltà di Vindman agli Stati Uniti. Va ricordato che Vindman fu portato in America dai suoi genitori all’età di tre anni e ha fatto una carriera brillante nelle forze armate americane. In Iraq, ha infatti ricevuto una “purple heart”, medaglia al valore militare concessa a coloro che vengono feriti o muoiono al servizio della patria. Anche il parlamentare dell’Ohio Jim Jordan ha messo in dubbio il giudizio di Vindman al quale il colonnello ha ribattuto leggendo parte della sua ultima impeccabile valutazione dei suoi superiori. Gli attacchi di Trump e i suoi alleati a Vindman hanno avuto effetti e l’esercito americano è stato costretto a monitorare la sicurezza del colonnello e della sua famiglia, pronti a farli traslocare in una base militare per garantire la loro sicurezza.
Trump ha anche attaccato vigorosamente Marie Yovanovitch la quale ha servito il Paese nel servizio diplomatico per più di trent’anni. Il più recente incarico è stato quello di ambasciatrice in Ucraina da dove è stata rimossa da Trump nel mese di aprile del corrente anno, accusata da Rudy Giuliani e altri collaboratori di ostruire gli sforzi americani di persuadere l’Ucraina ad aprire indagini su Joe Biden. Proprio mentre la Yovanovitch stava testimoniando alla Commissione Intelligence, Trump ha mandato un tweet dove riassume tutti gli incarichi dell’ex ambasciatrice, assegnandole la colpa per problemi dalla Somalia all’Ucraina. Il presidente della Commissione Intelligence alla Camera Adam Schiff ha giustamente classificato l’attacco di Trump come tentativo di intimidire la testimone.
Parecchi altri testimoni hanno confermato le asserzioni di Vindman, in particolar modo il rapporto del “whistleblower”, (informatore) che Trump e i suoi collaboratori hanno fatto di tutto per smascherarlo, onde attaccarlo pubblicamente come hanno fatto con Vindman e Yovanovitch. Non ci sono riusciti perché i democratici hanno resistito e la sua identità rimane tuttora sconosciuta anche se si sa che si tratta di un membro della Cia. Ciononostante la strategia è sempre la stessa: attaccare personalmente gli avversari, mettendo in dubbio le loro caratteristiche e rendendo loro al vita difficile a causa dalle eventuali minacce anonime che spesso colpiscono mediante l’Internet.
Il fatto che Trump abbia tentato di costringere il presidente ucraino ad aprire indagini su Biden ci viene però anche confermato da Gordon Sondland, ambasciatore americano alla Comunità Europea e uno dei promotori della politica del presidente verso l’Ucraina. Nelle sue testimonianze alla Commission Intelligence, Sondland ha chiarito categoricamente che c’era infatti stato un quid pro quo nella richiesta di Trump a Zelensky. Ha anche aggiunto che i vertici di Trump, Mike Pompeo, segretario di Stato, e il vicepresidente Mike Pence, erano “nel giro”.
Trump in questo caso non lo ha attaccato preferendo di prendere le distanze, dicendo che lo conosce a malapena. Infatti, Trump lo aveva lodato in un discorso nel mese di maggio in Louisiana dove Sondland era presente. Il 45esimo presidente disse in quell’occasione che Sondland stava facendo un “ottimo lavoro”. Adesso però le cose sono cambiate ma Trump fino ad adesso ha usato la solita strategia di allontanamento messa in evidenza con Michael Cohen, il suo ex legale, e Paul Manafort, suo ex manager della campagna elettorale nel 2016, ambedue attualmente in carcere. Va ricordato che un altro dei suoi ex collaboratori, Roger Stone, è stato recentemente condannato a sette capi di accusa nell’ambito delle indagini di Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller sull’interferenza russa nell’elezione americana del 2016.
Mueller non ha incriminato Trump per una dozzina di casi in ostruzione alla giustizia poiché ha seguito la normativa del Ministero di Giustizia la quale ritiene che un presidente in carica è immune eccetto per l’impeachment che spetta alla Camera e poi al Senato. Con la maggioranza alla Camera i democratici stanno procedendo all’inchiesta di impeachment attraverso la Commissione Intelligence la quale ha passato la palla alla Commissione Giudiziaria. Jerry Nadler, capo di questa commissione, ha fissato la prima udienza per il 4 dicembre la quale con ogni probabilità sfocerà in articoli di impeachment. La Camera, con la maggioranza democratica, potrebbe approvare l’impeachment verso la fine di dicembre, che sarebbe poi seguita dal processo al Senato. La rimozione di Trump rimane possibile ma improbabile poiché la Camera Alta è dominata dai repubblicani, i quali fino al momento hanno fatto quadrato sul presidente attuale.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.