“Anche l’Ocse riconosce che le attuali norme di accesso alla pensione in Italia sono fra le più restrittive al mondo: si può andare in
pensione di vecchiaia solo a 67 anni, rispetto ad una media internazionale di 64,2, e i più giovani, con la crescita della speranza di vita, potranno andarci a 71 anni di età”. Così il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli commenta il rapporto ‘Pensions at a glance 2019’ dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
“In realtà, il quadro è ben peggiore rispetto a quello descritto dall’Ocse. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 – spiega il dirigente sindacale – se non riuscirà a maturare una pensione superiore a 690 euro, e sono tantissimi i casi e lo saranno sempre di più in futuro, è costretto, già oggi, ad aspettare i 71 anni, per i giovani quella soglia si sposterà oltre i 73”.
Inoltre, in merito ai dati relativi alla spesa previdenziale, Ghiselli afferma “quanto calcolato dall’Ocse (16% del Pil) contiene anche
alcune spese di natura assistenziale, parte del Tfr, e le imposte che per lo Stato non sono altro che una partita di giro. L’incidenza della spesa pensionistica effettiva, calcolata dall’Inps, è invece del 12%. La spesa previdenziale è sotto controllo, anche in prospettiva, e vi sono margini per una riforma che renda più sostenibile socialmente il sistema, e che guardi soprattutto a donne, giovani, precoci, lavori più faticosi, esodati”.
“L’Ocse sollecita inoltre misure a favore delle persone che svolgono lavori poveri o discontinui, che sono soprattutto giovani e donne, una richiesta che da anni abbiamo avanzato ai vari governi”. Infine, il segretario confederale ha ribadito che “‘Quota 100’ è una misura a termine, del tutto inadeguata a rispondere alle esigenze complessive, e seppur poche le persone interessate, non è giusto eliminarla, anche perché – conclude – il costo reale di tale misura, secondo le nostre stime, sarà di circa 7mld inferiore a quanto preventivato”.