Ieri mattina [27 ottobre 2019] il presidente Trump ha annunciato la morte di Abu Bakr Al-Baghdadi [in inglese] e di tre dei suoi figli.
Il presidente Trump ha detto che Al-Baghdadi, fondatore dell’ISIS, stava fuggendo dalle forze militari statunitensi, in un tunnel, e poi si è ucciso facendo esplodere il giubbotto suicida che indossava.
Nel 2004, Al-Baghdadi era stato catturato dalle forze statunitensi e, per dieci mesi, imprigionato sia ad Abu Ghraib che a Camp Bucca.
Ho visitato Camp Bucca nel gennaio 2004 quando, ancora in costruzione, il campo era un reticolo di tende, a sud di Bassora, in una zona isolata e miserabile dell’Iraq.
Quel mese, prima che la nostra delegazione di Voices, composta da tre persone, entrasse in Iraq, aspettammo i visti ad Amman, in Giordania. Mentre eravamo lì, due giovani palestinesi ci hanno fatto visita e descritto le loro esperienze durante sei mesi di reclusione. Ricordando l’orribile esperienza, si ricordarono di quanto si sentissero timorosi, dormendo nella sabbia infestata da scorpioni del deserto; erano obbligati a sfilare nudi, per le docce, davanti alle militari americane, mentre gli dicevano di abbaiare o di dire “Amo George Bush”, prima che le loro ciotole vuote fossero riempite di cibo. Incapaci di comunicare con qualcuno al di fuori della prigione, potevano sperare di essere liberati solo quando finalmente arrivava il loro turno per comparire davanti ad un tribunale di tre persone.
Cinque dei loro amici erano ancora in prigione. Ci implorarono di andare a trovare questi amici e di supplicare per il loro rilascio. Tutti loro erano palestinesi che studiavano per lauree professionali a Baghdad. Riluttanti a perdere le possibilità di diplomarsi, hanno rischiato e sono rimasti a Baghdad per tutto il 2003, sotto i bombardamenti di Shock and Awe. I marines americani sono arrivati al loro dormitorio sulla Haifa Street di Baghdad, e hanno sistematicamente radunato studenti con documenti stranieri. Sono stati etichettati come TCNs, “cittadini di paesi terzi”, e sono stati accompagnati in varie prigioni.
A Baghdad, i nostri amici del Team dei Pacificatori Cristiani avevano già sviluppato una banca dati di nomi e codici di prigionieri per aiutare gli iracheni a scoprire dove si trovassero i parenti scomparsi. Hanno trovato i codici della prigione per due dei ragazzi che ci hanno chiesto di visitare, e ci hanno consigliato di chiedere del maggiore Garrity, un ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti che era a capo di Camp Bucca.
Siamo andati nella città più meridionale dell’Iraq, Umm Qasr, e ci siamo seduti su un tavolo da picnic all’esterno di Camp Bucca, in attesa della decisione del maggiore Garrity. Le prospettive erano cupe da quando abbiamo realizzato, all’arrivo, che saremmo dovuti venire dopo l’orario di visita, mentre il giorno successivo per le visite sarebbe stato tre giorni dopo. Non c’era ombra, la sabbia era ricoperta di grasso nero, e abbiamo costantemente sputato piccole mosche nere dalla nostra bocca. Camp Bucca è stato uno dei luoghi più infernali che abbia mai incontrato. Eppure ci siamo sentiti molto grati quando è arrivata la notizia che il Maggiore Garrity aveva approvato la nostra visita.
Composizione da un fotogramma di un video di Abu Bakr Al-Bagdhadi e di una foto di un soldato che tortura un prigioniero ad Abu Ghraib
Un pick-up militare ci ha guidato attraverso una distesa di sabbia, e poco dopo stavamo assistendo ad un abbraccio lacerante e tenero tra uno dei prigionieri e suo fratello, un dentista di Baghdad, che ci aveva accompagnato. Senza alcun suggerimento, i prigionieri, tutti sui vent’anni, corroborarono le lamentele espresse dai loro amici rilasciati in precedenza. Hanno parlato di solitudine, monotonia, umiliazione e la spaventosa incertezza che i prigionieri affrontano quando sono detenuti senza accuse da un potere ostile, senza piani evidenti per liberarli. Erano comunque sollevati di sapere che potevamo dire ai loro parenti che li avevamo incontrati. Più tardi, il Maggiore Garrity ha detto che le prospettive per il loro rilascio non erano molto positive. “Siano felici che siano qui con noi e non a Baghdad”, ha detto, dandoci uno sguardo consapevole. “Diamo loro cibo, vestiti e riparo qui. Siano felici di non essere a Baghdad. Più tardi, nel maggio del 2004, la CNN ha rilasciato delle foto dalla prigione di Abu Ghraib. Abbiamo così iniziato a capire cosa intendesse.
Il 3 novembre 2005 la rivista New York Review of Books ha citato [in inglese] tre graduati, due dei quali sottufficiali, di stanza con la 82ª Divisione Aviotrasportata dell’esercito statunitense presso la base operativa avanzata (FOB) Mercury in Iraq.
Parlando in condizioni di anonimato, hanno descritto in numerose interviste con Human Rights Watch come il loro battaglione nel 2003-2004 usasse abitualmente la tortura fisica e mentale come mezzo per raccogliere informazioni e per alleviare lo stress… i detenuti in Iraq sono stati costantemente chiamati PUCs. La tortura dei detenuti era così diffusa e accettata che divenne un mezzo per alleviare lo stress, dove i soldati sarebbero andati nella tenda del PUC durante le ore libere per “fo**ere a PUC” o “fumare un PUC” si riferisce a torturare/picchiare un detenuto, mentre “fumare un PUC” si riferiva a torture fisiche a volte fino a portare il detenuto all’incoscienza.
Il “fumo” non si limitava ad alleviare lo stress, ma era al centro di un sistema di interrogatorio impiegato dalla 82ª Divisione Aviotrasportata di stanza al FOB Mercury. Ufficiali e sottufficiali dell’unità di spionaggio militare direbbero alle guardie di “fumare” i detenuti prima di un interrogatorio, e questo trattamento sarebbe diretto verso alcuni detenuti che non avrebbero dovuto dormire , ricevere acqua o cibo oltre ai cracker. Il “fumo” diretto doveva durare dalle 12 alle 24 ore prima di un interrogatorio. Come ha detto un soldato: “[l’ufficiale dello spionaggio militare] ha detto che voleva i PUC così affaticati, così fumati, così demoralizzati da portarli a voler collaborare”.
Un sergente ha detto a Human Rights Watch: “se era un bravo ragazzo, ora è diventato un cattivo ragazzo per il modo in cui l’abbiamo trattato”.
La violenza che ha fatto nascere lo Stato Islamico ha una lunga storia.
In numerosi viaggi in Iraq dal 1996 al 2003, i membri della delegazione di Voices sono arrivati a comprendere l’insopportabile stanchezza e sofferenza delle famiglie irachene che soffrivano un’esistenza incerta sotto la punizione delle sanzioni economiche. Tra le guerre, solamente il numero di morti tra i bambini, dovuti al collasso economico imposto dall’esterno e dal blocco di cibo, medicine, depuratori d’acqua e altri elementi essenziali di sopravvivenza, è stato stimato dalle Nazioni Unite a 5.000 bambini ogni mese, una stima accettata senza contestazioni dagli organi ufficiali degli Stati Uniti.
Gli attacchi degli Stati Uniti, da Desert Storm (1991) a Shock e Awe (2003) — realizzati attraverso bombardamenti aerei, denutrizione infantile, uso di uranio impoverito e fosforo bianco, attraverso gli sparatorie, raid notturni, farmaci negati, serbatoi vuoti e linee elettriche abbattute, attraverso industrie statali abbandonate e città lasciate dissolversi nel parossismo della pulizia etnica — sono stati tutti sotto una guerra continua. Insieme agli abusi dei prigionieri in luoghi come Camp Bucca, FOB Mercury, Abu Ghraib e Guantanamo, la guerra degli Stati Uniti ha portato, com’era prevedibile, alla nascita conseguente dell’ISIS e dell’impegno di Abu Bakr Al-Baghdadi nella messa in pratica dell’ “occhio per occhio”.
Quando nel 2016 gli fu chiesto di parlare del suo passaggio preferito nella Bibbia, il presidente Trump ha detto “Occhio per occhio”. Non sembrava rendersi conto che Gesù rifiutava questo insegnamento.
“Ma io vi dico”, disse Gesù , “amate il vostro nemico e pregate per coloro che vi perseguitano”.
Piuttosto che sollecitare ritorsioni, Gesù ha parlato di dignitosa non-resistenza [in inglese] per il perseguimento della vittoria sull’avversario.
Abbiamo bisogno di non scegliere l’ignoranza, o l’odio che ci fa guidare dalla paura. Potremmo invece cercare di pagare le riparazioni per le sofferenze causate dalle nostre guerre. Potremmo lavorare per abolire la guerra, piangere la morte dei bambini di Al-Baghdadi e chiederci come le condizioni nei campi militari statunitensi, in Iraq, abbiano portato all’estremismo di Al-Baghdadi e dei suoi seguaci dell’ISIS.
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Articolo di Kathy Kelly pubblicato su Global Research il 28 ottobre 2019
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]