Il colpo di Stato contro Evo Morales ha fatto precipitare la Bolivia in una fase di grave instabilità, acuendo il contrasto fra le classi sociali.
Sono passate poche settimane da quando la Bolivia è stata privata del suo legittimo governo: poco dopo la vittoria elettorale del 20 ottobre, infatti, le forze reazionarie e borghesi boliviane, spalleggiate dai loro alleati di Washington, hanno destituito e costretto all’esilio il presidente Evo Morales, attualmente rifugiato in Messico con altri membri del suo partito. Al contrario di quanto affermato dai media main stream, però, il golpe non ha fatto altro che trascinare la Bolivia in una fase di grave instabilità, riportando a galla l’antico conflitto tra la maggioranza di origine india e la ricca borghesia dalla carnagione chiara.
L’autoproclamatosi governo di destra ha subito dimostrato la propria natura attraverso dichiarazioni dal mal celato razzismo nei confronti della popolazione autoctona boliviana. Non è un caso che, nonostante la repressione e gli scontri, La Paz, Cochabamba e numerosi altri centri siano diventato teatro di numerose manifestazioni di solidarietà con Morales, primo presidente indigeno del Paese.
Schierarsi in favore del governo di Morales non significa certamente accettarne acriticamente l’intero operato: è infatti possibile discernerne gli aspetti positivi dagli errori, ma non si possono certamente tacere i progressi di cui la Bolivia si è resa protagonista nel corso dei tre mandati del presidente progressista. Come nel caso del Venezuela, in Bolivia non c’è stato il totale annientamento della borghesia locale, e questo ha esposto il governo agli attacchi della classe sociale più ricca, rimasta proprietaria di gran parte dei mezzi di produzione e di potenti mezzi di comunicazione.
Quello che è certo, è che il colpo di Stato non ha nulla a che fare con la difesa della democrazia, come invece la propaganda vorrebbe far credere. Le elezioni, che comunque avevano visto una quarta vittoria di Morales, seppur con un margine minore rispetto al passato, sono state utilizzate come pretesto per portare all’eliminazione di un personaggio scomodo per gli interessi delle multinazionali straniere che hanno intenzione di tornare a sfruttare indisturbate le ricche risorse del sottosuolo boliviano. Il fatto che Morales abbia forzato la Costituzione per chiedere un quarto mandato consescutivo, sebbene rappresenti un errore, non può certo rappresentare una giustificazione per le ben più gravi violazioni della legge fondamentale operate dai golpisti.
Alle elezioni il popolo si era espresso chiaramente in favore di Morales: sebbene in molti avessero criticato la scelta del presidente di candidarsi per una quarta volta, alla fine gli elettori avevano scelto di confermare Morales pur di non vedere al potere coloro che ora se ne sono impossessati con la violenza e l’infrazione delle leggi. Il presidente socialista era infatti l’unico, tra i candidati, a poter difendere l’interesse delle classi sociali più deboli e delle popolazioni indigene discriminate dalla ricca borghesia bianca. Ora, invece, sono questi ultimi a voler ristabilire una “aristocrazia dell’epidermide”, riprendendo l’espressione dell’abolizionista francese Léger-Félicité Sonthonax.
Gli eventi della Bolivia non vanno visti in maniera isolata, ma inseriti all’interno di un più ampio contesto continentale. L’America Latina, infatti, continua ad essere vittima di colpi di Stato o di attacchi sferrati ai legittimi governi, tutte operazioni che mettono in luce i loschi movimenti delle oligarchie reazionarie locali e dell’imperialismo statunitense. Ogni richiamo, da parte di Washington, alla democrazia e ad altri pilastri dell’idologia liberale altro non rappresenta che una ridicola giustificazione alla prosecuzione del dominio imperialista statunitense sul continente. Gli Stati Uniti altro non vogliono se non impedire l’esercizio della sovranità nazionale e le aspirazioni all’integrazione e alla cooperazione regionali al fine di ristabilire la propria egemonia unipolare su scala globale ed emisferica, eliminando i modelli progressisti, rivoluzionari ed alternativi al capitalismo selvaggio.
Per i motivi sopra esposti, riteniamo ancora una volta necessario lo schierarsi contro il governo golpista boliviano, contro l’imperialismo statunitense e contro le aspirazioni delle oligarchie dei Paesi latinoamericani, dunque in difesa del legittimo governo boliviano del presidente Evo Morales, del legittimo governo venezuelano del presidente Nicolás Maduro, del governo rivoluzionario di Cuba e di tutti quei Paesi e quei popoli che combattono contro l’imperialismo ed il liberismo