Il livello dello sviluppo delle idee e della necessaria concentrazione delle medesime, per arrivare ad una qualche sintesi politica minimamente ragionata, dovrebbe un po’ alzarsi se non vogliamo che la politica italiana sia ridotta da un lato a parlare della presenza delle nocciole turche nella Nutella e dall’altro dal vagheggiare scenari da fratellanza universale privi persino del minimo sindacale, di quel trittico rivoluzionario francese che non si era scordato che accanto a libertà e fraternità deve pur starci l’uguaglianza.

Invece sembra che, da un lato i sovranisti e dall’altro le sardine, non vi sia spazio per una opposizione di classe a tutte le destre: perché questo è il punto che non viene affrontato dai giovani che hanno meritoriamente dato vita alla sollevazione sardinista (quella sandinista era cosa ben più seria…).

Dialogare con Bonaccini e il centrosinistra può essere anche la coltivazione di una alternativa alla Borgonzoni in Emilia Romagna e poi, proiettandosi ormai su scala nazionale, riprendendo un riferimento nei confronti di un PD che guarda con grande entusiasmo all’ancora di salvataggio che le sardine gli offrono  – al momento – nelle difficili tornate elettorali che lo attendono.

Un riferimento da trasferire a Roma, da implementare con un livello organizzativo che non può non essere affrontato.

150 delegati (scelti non si sa bene come, non si sa bene da chi: o meglio, si sa, ma me è pietoso tacere in tal senso…) individueranno una specie di piattaforma politica del movimento “apartitico” e che Santori continua a definire come non facente politica… Tocca poi dare ragione a Sallusti – a grande malincuore – quando gli replica che già scendere in piazza è fare politica. Ma di più ancora, fare politica è fare la spesa ogni dì, è scegliere il giornale da leggere – ammesso che si coltivi ancora questa pratica ormai diffusamente dimenticata da larga parte del popolo italiano – ed è fare politica anche il solo pensare, riflettere su quanto ci accade intorno.

Il livello del confronto e dello scontro deve però alzarsi; se rimane abbarbicato a generici concetti del tipo: “Noi vogliamo l’inclusione tra giovani e anziani“, davvero è ben poca cosa. Viene da sturarsi le orecchie ripetutamente quando si ascoltano certe banalità e viene da chiedersi se davvero siamo in presenza di un movimento o se invece si tratta di uno sfogatoio momentaneo, di massa, vista l’insostenibile esacerbazione del discorso da parte delle destre sovraniste: dalla cattiveria di chi urla e parla a sproposito di Nutella con nocciole turche mentre poi si beve cocktails fatti con il rum (che non pare essere proprio autarchicamente riferibile a produzioni ed origine italiche!), ai palchi dove si sbraita di essere donne, madri, cristiane e tutto ciò diviene una canzonetta ossessivo-compulsiva che fa milioni di visualizzazioni su You Tube.

Mentre nelle discoteche italiane impazza il remix “Io sono Giorgia“, in Francia, appena accennata la riforma della pensioni da Macron e dal ministro Philippe, che porterebbe alla cancellazione di livelli pensionistici per tante categorie di lavoratori (tra i primi i ferrovieri) e la necessità di lavorare fino a 64 anni per avere una pensione ottenibile con due anni di meno di occupazione, la CGT e la FO proclamano lo sciopero generale, paralizzano il paese da Parigi a Tolosa e realizzano ancora una volta una unità di classe che in Italia proprio non si vede, non si percepisce.

Forse perché il governo è considerato “amico“? Forse perché il gioco delle parti ritorna sempre come una nemesi che non si contenta mai della propria funzione vendicatrice nella storia di questo Paese? Le lotte, anche quella dell’ILVA rimangono a sé stanti: 24 ore di sciopero per i preannunciati 6.300 esuberi da parte di Arcelor Mittal, ma nessuna movimentazione nazionale, nessuna solidarietà generale.

Alla domanda: “Cosa ne pensate dell’ILVA“, fatta da Lilli Gruber al portavoce delle sardine, la risposta è stata una non-risposta. Le sardine sono un movimento che di sociale non ha al momento nulla e non vuole nemmeno averne: si accontentano di ristabilire il bon-ton linguistico-politico di una Italia che pericolosamente scivola a destra ma che, proprio per questo, andrebbe incalzata nel prendere consapevolezza che i suoi errori (dell’Italia, del popolo italiano inteso come parte più sfruttata e povera dell’intero Paese) non riguardano solo l’abituarsi al crudelismo sovranista, alla muscolarità del linguaggio, alla cattiveria come religione civile nuova, ma bensì riguardano l’allontanamento progressivo da una solidarietà sociale strettamente intesa, da un riconoscersi come sfruttati rispetto agli sfruttatori.

Forse alle sardine questo non lo possiamo chiedere. Forse sono nate per altro e ad altro sono destinate. Ma se intendono sbarrare la strada al sovranismo, devono porsi la domanda: “Da che cosa è alimentato il consenso di Salvini e Meloni?“. La risposta non è semplice perché le motivazioni sono complesse e non risolvibili affermando che la cattiveria si è presa la coscienza degli italiani in modo interclassista, senza distinzioni.

La destra sovranista pesca la maggior parte dei suoi consensi nel disagio sociale, nell’istinto di sopravvivenza spinto alle estreme conseguenze, nella disperazione della mancanza di cure sanitarie, di stato-sociale inteso come un tempo veniva inteso e non come semplice ammortizzatore degli eccessi del mercato.

E’ evidente che in Italia è venuta meno una coscienza critica e sociale che metta in moto un legame tra tanti differenti percezioni che dovrebbero però trovare un minimo comune denominatore nelle rivendicazioni di diritti del e per il lavoro, delle e per le pensioni: dalla riforma Fornero al Jobs act, dal ripristino dell’articolo 18 contro i licenziamenti senza giusta causa, dallo stabilire per legge la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario e ottenere anche un salario orario minimo di 9 euro, dalla riconversione ecologica dell’economia allo sviluppo di lavori socialmente utili, proposte per stabilire connessioni tra sindacato, sardine e forze della sinistra di alternativa, associazioni culturali e di promozione della partecipazione, ve ne sono in grande quantità.

Chiaramente si tratta di “progammi politici“. Questo va detto alle sardine e va ricordato al sindacato: in Francia le lotte dei ferrovieri si saldano con quelle dei pompieri (che raramente scioperano, ma che questa volta si sono uniti alla lotta), disoccupati, precari e impiegati scendono per le vie di Parigi uniti da obiettivi che sentono comuni in quanto sfruttati. I livelli vengono abbassati e non esistono lotte diseguali per parti uguali, ma lotte uguali per parti diseguali. I diritti, dunque, devono essere universali seppure differenziati ed adattati alle singole circostanze quando si tratta di specifiche mansioni occupazionali.

L’universalità dei diritti dei lavoratori. Attenzione pure qui. Non esistono diritti sociali uguali per tutto il popolo: perché del popolo fanno parte anche gli sfruttatori, i padroni, quelli che blasonatamente vengono chiamati “imprenditori“.

Queste sono osservazioni in libertà: non pretendono di insegnare niente a nessuno, ma soltanto porre riflessioni, stimolare dubbi e solleticare delle critiche propositive. Proviamoci: costruire una nuova rete sociale di rivendicazione di diritti contro chi davvero alimenta il sacro fuoco delle destre è possibile. Contro tutte le destre: quelle sovraniste e quelle liberiste che appaiono così tanto democratiche e che hanno prodotto il peggiore sfilacciamento delle garanzie del lavoro dalla fine degli anni ’90 ad oggi.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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