Manifestazione ad Algeri


Francesco Cecchini


2019, UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE.
Il 2019 è stato un anno storico per l’Algeria. Dalla manifestazione del 21 febbraio scorso il popolo algerino non ha smesso di mobilitarsi contro il regime. Il movimento ha preso il nome di Hirak. Milioni di algerini di ogni estrazione sociale e in tutto il paese hanno iniziato a credere nella loro capacità di cambiare il corso della storia. Frutto di un’ondata di grande indignazione contro il sistema di potere Bouteflika, il movimento manifestò quel giorno, per la prima,volta contro il quinto mandato da presidente di Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999. Queste proteste non avevano precedenti dalla guerra di liberazione dal colonialismo francese. Va anche sottolineato che ad Algeri dal 2001 le manifestazioni erano considerate fuorilegge.
Il 5 marz, l’Organizzazione Nazionale dei Mujahidee, la potente organizzazione di veterani della guerra d’indipendenza algerina, in un comunicato stampa di sostenere le manifestazioni, lamentando “la collusione tra il potere politico e uomini d’affari senza scrupoli che hanno approfittato illecitamente di denaro pubblico”. Dopo pochi giorni, delle donne hanno creato il collettivo femminista Donne Algerine per un Cambio verso l’Uguaglianza, che ha aperto la strada, nelle proteste dei venerdì e martedì, al ruolo politico delle donne.
L’11 marzo, sotto la pressione popolare, Abdelaziz Bouteflika, di ritorno da Ginevra, annunciò in una lettera letta in televisione che avrebbe rinunciato al quinto mandato da presidente. Le elezioni del 18 aprile vennero cancellate. Prima grande vittoria per il movimento popolare, la cui parola d’ordine diventò: ” Che se ne vadano tutti!”
Con il loro carattere pacifico e gioioso le marce settimanali, il venerdì di tutto il popolo e il martedì degli studenti, diventarono un incontro di lotte, momenti di liberazione e soprattutto una opportunità per ricostruire un’unità. Di fronte a ciò, che assunse il carattere di rivoluzione, le autorità cercò di resistere, ma invano. Il popolo algerino ottenne di far cancellare anche le successive elezioni presidenziali del 4 luglio.
Dopo il ritiro di Abdelaziz Bouteflika, il 2 aprile, luomo di potere del regime è il generale Gaid Salah. Era stato nominato capo di stato maggiore nel 2004 e promosso a viceministro della difesa nel 2013, sempre da Abdelaziz Bouteflika. Fu uno dei pilastri del quarto mandato di Bouteflika e si era espresso a favore del quinto, poi annullato dalla volontà del popolo. Con il suo linguaggio marziale arringava i suoi seguaci e dopo aver tentato di «addomesticare» lHirak, lo aveva definito come espressione della volontà di alcune forze che vogliono destabilizzare lAlgeria. Niente in confronto alle parole pronunciate prima delle elezioni presidenziali nel Consiglio della Nazione dal ministro dellinterno, Salah-Eddine Dahmoune, che definì coloro che partecipavano all’Hirak come«traditori, mercenari, pervertiti e omosessuali.

Di fronte all’avanzata dell’Hirak , il potere si oppone e getta in carcere giovani, figure del movimento, attivisti politici e associativi accusandoli di aver attaccato l’unità nazionale,. assurde accuse. Imprigiona anche intellettuali e politici, tra i quali Louisa Hanoune segretaria del Parti des Travailleurs (PT) condannata a 15 anni di prigione per attacco allautorità militare e cospirazione contro lautorità dello stato”, per aver partecipato a un incontro tra algerini, per trovare una via d’uscita alla crisi. Una sentenza politica, quindi, che sia in Algeria e che a livello internazionale sta facendo crescere un movimento per la sua liberazione. Inoltre sono stati arrestati dei giovani per aver esposto una bandiera amazigh, berbera, ritenuta divisiva dell’unità nazionale algerina.
Dagli arresti di massa del 21 giugno, non ci sarà più un venerdì o martedì senza che il popolo chieda il rilascio dei prigionieri gridando “Harrirou el moataqaline!” “Rilasciate i detenuti”.
E quando Abdelkader Bensalah, il capo dello stato in carica, su indicazione del generale Gaid Salah, convoca ancora una volta l’elettorato fissando le elezioni per il 12 dicembre, il rifiuto del voto sarà espresso con energia per tre mesi, con manifestazioni in tutta l’Algeria. La domenica prima del 12 dicembre tutti i prigionieri politici detenuti nelle carceri algerine, prima fra tutti la segretaria generale del Partito dei Lavoratori (Pt) Louisa Hanoune, hanno cominciato uno sciopero della fame per rivendicare la libertà di opinione e di espressione.
La campagna elettorale è stata caratterizzata , di arresti e repressione poliziesca, come denunciato in da Human Rights Watch e da Amnesty International, con centinaia di arresti e continue minacce nei confronti dei dimostranti. La risposta a tutto ciò è stata anche energica le proteste continuate in tutta l’Algeria con tentativi in Cabilia, di ostacolare o di bruciare i seggi elettorali.
L’ elezione del presidente Adelmadjid Tebboune, 74 anni, definita una pagliacciata (laffluenza è stata di poco superiore al 35 per cento: troppo poco e segna unaltra sconfitta per lapparato militare) e la morte improvvisa per arresto cardiaco del capo di stato maggiore Ahmed Gaid Salah, il 23 dicembre, non hanno minimamente intaccato la determinazione dellHirak algerino. Il sostituto di Salah, nominato da Tebboune, un presidente senza legittimazione popolare, Said Chengriha sicuramente manca di esperienza politica.
Significativo che come risposta a personaggi come Tebboune e Chengriha, Il volto di Abane Radmane, eroe della guerra dindipendenza, assassinato a Tetouan, Marocco, il 27 dicembre 1957,da militari sia stato al centro del corteo di Algeri. Così si è voluto rivendicare il primato della politica sul militare e ricollegarsi alle rivendicazioni della guerra di liberazione rimaste finora incompiute. L’Hirak vuole una nuova Battaglia d’Algeri e negli slogan vengono menzionati Ali Ammar, detto Ali La Pointe, e il Colonnello Amirouche.
COME SARA’ IL 2020?
In un comunicato ufficiale, di tutte le forze dellopposizione , Fronte delle Forze Socialiste (Ffs), Partito dei Lavoratori (Pt), Raggruppamento Cultura e Democrazia (Rcd) ed altre e da tutte le principali associazioni e movimenti della società civile, si afferma che, nonostante la pagliacciata elettorale, continurà l’Hirak. Il comunicato afferma alla fine: “Continuiamo a chiedere una transizione democratica che ponga le basi per una costituente per la creazione di una nuova repubblica,sicuri che lunica soluzione possibile sia quella della lotta pacifica del popolo algerino e consapevoli che anche i popoli di altri paesi osservano con ammirazione la nostra rivoluzione pacifica contro il sistema autoritario”.

Studenti in piazza ad Algeri il 31 dicembre
Migliaia studenti, insegnanti e cittadini, in armonia con la dichiarazione con il comunicato con le forze politiche di opposizione, hanno manifestato di nuovo martedì 31 dicembre ad Algeri contro il regime, ribadendo il loro rifiuto dell’offerta di dialogo fatta dal nuovo presidente Abdelmadjid Tebboune al popolare movimento di protesta Hirak. E così sarà per il 2020.
L’ ECONOMIA OLTRE ALLA POLITICA.
Durante la campgana eletterola presidenziale nessun candidato ha evocato la profonda crisi sociale e occupazionale del paese, ma la crisi economica, che è al centro dell’attuale rivolta, dura da molto tempo. A metà degli anni ’80, il programma di sviluppo nazionalista algerino degli anni ’60 e ’70 fu considerato un fallimento e il suo tentativo di dissociarsi dal sistema capitalistico mondiale fu interrotto e sostituito da un’economia di mercato. Questa nuova direzione ha comportato la deindustrializzazione dell’economia, lo smantellamento e la privatizzazione delle imprese statali, la deregolamentazione e altre forme di ristrutturazione neoliberista. Allo stesso tempo, un legame tra la borghesia militare e quella privata ha avuto la precedenza sugli affari di stato, aiutata da un contesto globale caratterizzato da un crescente neoliberismo. Il disimpegno dello stato dalla fornitura di beni e servizi pubblici e l’incapacità del nazionalismo di garantire la prosperità e l’indipendenza promesse hanno spinto il movimento islamista algerino sulla scena politica. Sedotto dalla rivoluzione islamica in Iran, il movimento islamista acquistò importanza negli anni ’80 e si sviluppò fortemente all’interno del proletariato e delle classi povere. L’orientamento economico liberale del regime associato alle attuali richieste di liberalizzazione politica portò all’abbandono del sistema a partito unico in seguito all’Intifada dell’ottobre 1988. Il colpo di stato militare che annullò le elezioni del 1992 e che il Il partito islamista (Fronte islamico della salvezza) avrebbe vinto in maniera massiccia aprendo le porte dell’inferno agli algerini. La violenza scatenata contro la popolazione civile ha ricordato l’era coloniale e aveva provocato un’acuta crisi nella legittimità del regime. Per compensare, quest’ultimo stava cercando l’accettazione e il consenso esterni, in particolare in Occidente, fornendo accesso al mercato locale. Gli interessi geostrategici occidentali dell’epoca,anni ’90, inclusa la paura di un altro Iran in Nord Africa, assicurarono un sostegno all’Algeria, anche negli anni più sanguinosi. Negli anni ’90 l’esperienza algerina non fu solo una terribile guerra civile, ma costrinse anche la liberalizzazione economica dettata dal Fondo monetario internazionale (FMI) e dalla Banca mondiale. È stata la volta dell’Algeria di sperimentare la dottrina dello shock, che ha introdotto politiche dolorose ed estremamente controverse. Un percorso che ha comportato lo scioglimento delle imprese statali, il prestito del FMI, l’avvio dell’economia del bazar e l’import-import, per non parlare della sottomissione del popolo algerino a misure di grave austerità e ulteriore resa della sovranità nazionale. L’Algeria si aprì quindi al mercato mondiale, facilitando una corsa per impadronirsi di petrolio e gas . Di fronte alla crescente deregolamentazione del più importante settore energetico, le aziende e i governi occidentali hanno firmato una serie di contratti redditizi per garantire il controllo delle preziose risorse dell’Algeria. Questo processo di ricostruzione dei legami tra l’economia nazionale e il capitale internazionale ha portato a subordinare gli interessi a quelli del capitale internazionale

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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