In Serbia e Croazia, due ex repubbliche jugoslave, si registra un certo fermento per quanto riguarda l’attività dei partiti comunisti.
Mentre proprio in questi giorni la Croazia affronta il ballottaggio delle elezioni presidenziali, con la sfida tra il capo di Stato in carica Kolinda Grabar-Kitarović e lo sfidante socialdemocratico Zoran Milanović, i comunisti hanno analizzato positivamente il risultato raggiunto dalla candidata di sinistra Katarina Peović (in foto) al primo turno.
La quarantacinquenne Katarina Peović è stata infatti candidata da un partito anticapitalista, il Fronte dei Lavoratori (Radnička fronta, RF), ed ha ottenuto l’immediato sostegno dei comunisti del Partito Socialista del Lavoro di Croazia (Socijalistička radnička partija Hrvatske, SRP). Il risultato ottenuto da Peović, pari all’1.27% delle preferenze, può sembrare risibile, ma si tratta comunque di una percentuale più che doppia rispetto a quelle che le venivano attribuite nei sondaggi (attorno allo 0.5%).
Il risultato ottenuto dalla candidatura di Peović assume ulteriore risalto considerando il programma decisamente radicale con il quale si è presentata a queste elezioni, molto più a sinistra di qualsiasi programma presentato alle presidenziali di cinque anni fa. La piattaforma presentata dai due partiti di estrema sinistra è stata definita come “Socialismo Democratico del XXI secolo”, con l’obiettivo dichiarato di riportare la Croazia ai fasti della rivoluzione jugoslava, quando “il Paese venne industrializzato in un paio di decenni“. “Dopo trent’anni di devastazioni, l’industria nazionale è stata smantellata, mentre il libero mercato e gli accordi che abbiamo firmato con l’Unione Europea non ci permettono di svilupparci“, aveva dichiarato la candidata alla presidenza.
Come analizzato sul sito del SRP, la candidatura di Peović ha avuto il merito di rimettere insieme i partiti di ispirazione marxista per la prima volta dalla fine della Jugoslavia. Peović ha inoltre ottenuto risultati lusinghieri in Istria, regione storicamente orientata a sinistra, e nella cittadina di Negoslavci, dove si registra la più alta concentrazione di popolazione serba in Croazia, raggiungendo l’8.72% delle preferenze. Questa esperienza può essere dunque considerata come un punto di inizio per rilanciare il discorso marxista in Croazia, dopo trent’anni di conversione forzata al liberismo più sfrenato.
L’unificazione delle formazioni marxiste è all’ordine del giorni anche in Serbia, dove lo scorso 22 dicembre si è tenuto il congresso di unificazione tra i Comunisti di Serbia e la Lega dei Comunisti di Serbia (Savez komunista Srbije / Савез комуниста Србије, SKS), partito che riprende il nome di quello egemone all’epoca di Tito. Andrija Stojić è stato eletto come segretario generale della nuova formazione dei Comunisti di Serbia, mentre Miroslav Spasojević ha ricevuto l’incarico di segretario politico. Al congresso hanno partecipato anche delegati comunisti provenienti da Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro e rappresentanti dello stesso SRP croato. “I Comunisti di Serbia, in quanto partito rivoluzionario marxista-leninista, si rafforzano ogni giorno, continuando a lottare per il rovesciamento del capitalismo e per il potere della classe operaia“, si legge nel comunicato ufficiale.
In Serbia esiste attualmente anche un altro partito, denominato Partito Comunista (Комунистичка партија / Komunistička partija, KP), guidato da Joška Broz, figlio di Tito, che detiene un seggio in parlamento grazie all’alleanza elettorale stipulata nel 2016 con il Partito Socialista di Serbia (Социјалистичка партија Србије / Socijalistička partija Srbije, СПС / SPS).