Una domanda è legittima. Era bene per l’Italia un discorso di Mattarella Presidente, o del Presidente Mattarella? Un messaggio che riflettesse anzitutto la personalità del capo dello stato, propenso a interpretare il suo ruolo super partes come equi-distanza che è anzitutto distanza?

O piuttosto il messaggio di chi sa di trovarsi nel tempo delle scelte, e indica gli approdi possibili attraverso la confusa colluttazione della politica? Che fosse o meno la scelta giusta, abbiamo avuto un messaggio di Mattarella Presidente.
Non c’è dubbio che sia condivisibile la sollecitazione ad avere fiducia, a impegnarsi con ottimismo e buona volontà, a mettere in campo tutte le proprie risorse, a investire sui giovani. O la sollecitazione a seguire esempi di eroismo e di virtù civili che ci hanno commosso. Chi potrebbe mai dire il contrario? Ma è appunto una sollecitazione che vale per tutti gli attori e per tutte le soluzioni, e che lascia in campo ogni dubbio, incertezza, perplessità sulle scelte da fare. Certo non superate dalla notazione che «l’Italia riscuote fiducia», che abbiamo «ampie possibilità per affrontare e risolvere» i problemi.

L’anno che si apre reca da subito un carico assai pesante. La crescita che non c’è, la disoccupazione, la precarietà, la fuga dei giovani, il Mes, l’altalena dello spread, le tante crisi a partire da Ilva o Whirlpool, la prescrizione, la revoca delle concessioni autostradali, referendum e riforme in itinere che possono segnare il futuro del paese. Sono terreni sui quali la politica non riesce a trovare un linguaggio comune, nemmeno tra le forze di maggioranza. Diventano decisivi passaggi come la verifica di inizio gennaio o l’esito del voto in Emilia e Calabria. E non rileva che – come scrive Diamanti su Repubblica il 31 dicembre – ci siamo ormai abituati praticamente a tutto.

Già il premier Conte nella sua alluvionale conferenza stampa di fine anno ha mostrato l’assenza di soluzioni pronte sui temi citati. Il problema è allo studio, il governo se ne sta occupando, avremo una proposta. In larga misura Conte ha dato al paese un “pep talk”, quello che gli allenatori fanno alla squadra prima che scenda in campo. Troppo poco quando la partita è già in corso. Ora il presidente Mattarella – pure con maggiore e apprezzabile sintesi – ha fatto sostanzialmente la stessa cosa, incoraggiando il paese a trovare la propria strada. Conte e Mattarella mostrano di essere entrambi – in modo diverso in ragione della diversità del ruolo – il prodotto di una politica terra di nessuno, anche permeabile a scorribande di manipoli e violenze verbali o persino squadristiche, come da ultimo l’aggressione a Scotto. Con il risultato che dai vertici delle istituzioni non viene per gli italiani l’indicazione di un orizzonte, di una rotta, di un approdo, che sarebbero quanto mai necessari.

Salvo, per quanto riguarda Mattarella, un punto, di cui diamo atto. Dice: «In particolar modo è necessario ridurre il divario che sta ulteriormente crescendo tra Nord e Sud d’Italia. A subirne le conseguenze non sono soltanto le comunità meridionali ma l’intero Paese, frenato nelle sue potenzialità di sviluppo». Qui il Presidente indica la necessità di abbandonare il disegno politico che informa il separatismo del grande Nord, per ritrovare l’originario obiettivo di superare il divario Nord-Sud posto dai Costituenti alla base dell’unità della Repubblica. E fonda tale necessità in un comune interesse del Nord e del Sud. Non c’è bisogno di altro per definire una posizione alternativa rispetto all’autonomia differenziata nella declinazione fin qui prevalsa. Il Capo dello Stato non si è mantenuto equi-distante. Pur nei limiti propri della moral suasion a lui consentita, la presa di posizione è netta e inequivocabile.

Auspichiamo che il ministro Boccia ne tragga insegnamento. Nelle sue ultime esternazioni (ad esempio Stampa, 27 dicembre) sembra insistere sulla linea che si proceda a prescindere, pur senza definire preliminarmente il quadro delle risorse in chiave di equa distribuzione e i paletti alla frammentazione per la tutela dell’unità del paese. Se fosse così, Boccia si porrebbe su una linea non lontana da quella della ministra Stefani. Sul tema, Mattarella ha correttamente ed efficacemente interpretato il suo ruolo. E Boccia?

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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