59 anni prima della nascita dello Stato italiano, a Torino veniva fondata la libreria Paravia, ad oggi la seconda libreria più antica del Paese. Dopo più di due secoli, dovrà chiudere. Stranamente la causa non è da ricercare nella mancanza di clienti: qualcuno in Italia ha ancora voglia di sfogliare le pagine di un libro, di immergersi in un bagno di parole che sono emozioni, racconti, viaggi nella storia, nel pensiero e forgiare in sé stesso quella indispensabile formazione culturale necessaria davvero alla sopravvivenza mentale, psicologica in qualunque tempo dei tempi.

La Paravia chiuderà – come sostengono le titolari – per via della spietata concorrenza che i giganti delle vendite online fanno anche nel settore dell’editoria, della vendita dei libri: prezzi ribassatissimi e consegna a domicilio sono i punti di forza del colosso mondiale internettiano che scava nei secoli, che ridefinisce i confini delle arti e dei mestieri, del commercio, della domanda e dell’offerta, che muta, cambiandosi ogni giorno esso stesso, le ripercussioni strutturali del capitalismo nella società. La vita muta quasi inconsapevolmente, per flessione all’endemica abitudinarietà umana al ripetersi degli eventi, e l’apparentemente modesto atto di acquistare un libro, di assaporarne l’odore di carta, della stampa ancora fresca o della polvere che vi si è accumulata stando tra gli scaffali tanto della Paravia quanto di tutte le librerie d’Italia, oltre a non trovare più posto nelle librerie viene sovente soppiantato dagli “e-book“.

Si prende una specie di tavoletta telematica simile ad un tablet e ci si porta appresso decine di testi in formato PDF, quello che permette la lettura dei quotidiani su Internet, tanto per intenderci.

Le contraddizioni crescono, si moltiplicano e diventano tali nel momento in cui ci offrono delle interessanti e comode novità per la lettura, per l’accrescimento (potenziale) di moltitudini di cittadini che si apprestano a scorrere con le dita i monitor, a sfogliare le pagine, comunque a dedicarsi all’esercizio linguistico, alla coltivazione della conoscenza.

Le contraddizioni emergono impetuose e non lasciano spazio a molti commenti: soltanto, sono madri di nuovi enigmi cui è sempre più difficile rispondere, visto che ancora dobbiamo verificare l’impatto tra carta stampata e letture online, tra librerie bicentenarie che chiudono e colossi delle vendite web che avanzano in tutta la loro potenza su scala planetaria.

A proposito di contraddizioni grandi come un palazzo, da un lato viene davvero da far scorrere le lacrime pensando che una libreria più vecchia dell’Italia stessa debba chiudere in un’epoca moderna in cui vi sarebbe tanto bisogno di cultura, di lettura, di apprendimento. Dall’altro lato, guardando proprio a questa necessità, allo stesso tempo viene da dire: beh… se i prezzi bassi fatti dai giganti delle vendite online incentivano magari anche i più giovani ad acquistare dei libri, è un bene.

Ma poi c’è ancora un altro risvolto della questione: sappiamo tutti come si svolge il lavoro nei grandi capannoni di smistamento di tutte le merci immaginabili. Sappiamo, anche e soprattutto dopo aver visto il film di Ken Loach (“Sorry we missed you“) che i ritmi di sfruttamento della forza-lavoro, le modalità contrattuali e i rapporti sindacali non sono affatto dei migliori; sappiamo anzi che la depersonalizzazione (l’alienazione, altrimenti detta) dell’individuo è così inevitabile, è talmente strutturale al tipo di impresa moderna che ne è venuta fuori da cambiare radicalmente i rapporti sociali, civili e morali di una umanità prigioniera della necessità e del bisogno e, per questo, priva di qualunque possibilità di trattativa, di contrattazione, di mediazione nell’esigere diritti elementari.

Le questioni etiche, nell’affrontare critiche al sistema capitalistico in qualunque tempo, fosse l’800 di di Marx ed Engels o il ‘900 di Gramsci e Pasolini, purtroppo non riguardano i complessi meccanismi strutturali dell’economia: non si può pertanto giudicare il sistema su un piano morale, perché si finirebbe per distruggere la scientificità dell’analisi stessa e si cadrebbe in una visione prettamente religiosa degli eventi e dei rapporti di produzione. Il cattivo è il ricco e il buono è il lavoratore. Se, dunque, queste dovessero essere le categorie da applicare, dovremmo dedurne che è sbagliato comperare dal forte e far lavorare nel più bieco sfruttamento il debole.

Dovremmo creare le ragioni della lotta al sistema capitalistico su nuove pietre angolari, escludendo i rapporti di produzione e guardando soltanto a ricchezza e povertà. Invece dobbiamo continuare a guardare oltre il singolo produttore, pur studiandone a fondo le trasformazioni con cui riesce a vincere la concorrenza, a “stare sul mercato” e a espandere una economia che spesso ci appare in affanno ma che sa ciclicamente affrontare le proprie crisi aumentando lo sfruttamento tanto della forza-lavoro quanto quella di utilizzo della robotica.

Non è forse questo che accade nei grandi capannoni dove milioni di scatole viaggiano su nastri trasportatori e tutta la tempistica è osservata meticolosamente da altrettanta robotica, da programmi informatici che, ovvio, sono più intransigenti dei vecchi “cronometristi“.

Condivido l’opinione di chi ha affermato che il boicottaggio di Amazon non risolve la questione dell’iper-sfruttamento moderno di grandi catene di produzione, di ultramoderni sistemi di adeguamento della produttività alle necessità della produzione, quindi alla formazione incessante di profitto.

Non è non comperando su Internet libri, film, musica, vestiti o gabbie per canarini che si aiutano i lavoratori ad essere meno sfruttati, per il semplice motivo che nessuno di noi con iniziative singole (e singolari) può fermare “la macchina“, il meccanismo che produce condizioni di sfruttamento quasi rasentanti lo schiavismo, che distrugge le famiglie proprio come nel’800 le distruggeva già il capitalismo di primo pelo: sono sempre indigenza, orari di lavoro e condizioni sociali a fratturare i rapporti personali, a creare tensioni e a dividere, separare gli affetti naturali.

Solo la reazione sindacale, l’organizzazione dei lavoratori stessi, la ricostituzione di una sinistra di classe, un nuovo anticapitalismo come elemento indispensabile di una ritrovata critica e coscienza sociale e individuale possono essere e sono gli strumenti di lotta per contrastare il livello di alzamento delle esigenze padronali, del liberismo sfrenato, disumano, privo di qualunque riferimento etico, privo di qualunque morale laica o religiosa, perché il suo unico scopo, naturale e quindi immediato, è solo raggiungere quei livelli di produttività che consentano il perpetuarsi dell’esistenza degli impianti e dei lavoratori che servono a tale intento. Niente altro conta.

Moralismi e richiami all’”umanizzazione” del sistema sono patetiche tirate nemmeno più degne del peggiore dei riformismi: non si può chiedere al mare di diventare meno salato per consentirci di calmare la nostra sete se piove poco e non c’è abbastanza acqua per bere nel mondo. Allo stesso modo, non si può chiedere al capitalismo di essere più buono e di amputarsi una parte della sua essenza: le contraddizioni in cui vive, prospera e fa affari in tutto il globo con la spregiudicatezza che gli è del tutto naturale.

Nonostante tutto, la miglior cosa che possiamo e potete fare non è boicottare questa o quella azienda, ma è leggere, leggere, leggere. Istruirsi per capire, per entrare dentro i meandri del funzionamento di un sistema che prima o poi sarà superato. Perché venga superato non dal peggio ma dalla necessità del meglio (il comunismo libertario, si intende!), serve saper riconoscere anche gli avversari subdoli che vorrebbero farci accettare le cose come stanno tentando di migliorarle solo un poco, perdendo di vista l’obiettivo della lotta stessa: il superamento dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la fine del lavoro salariato, del regime delle merci, della proprietà privata dei mezzi di produzione.

Leggere, leggere, leggere, studiare, capire, lottare di conseguenza.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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