Nel referendum sulla Brexit del 2016 il Democratic Unionist Party (DUP), a differenza della maggior parte degli elettori dell’Irlanda del Nord, è stato un sostenitore del campo del Leeave.
L’anno seguente, il primo ministro britannico Theresa May ha commesso un grave errore di calcolo politico nel chiamare il paese alle urne nel 2017, in maniera accelerata, nella convinzione che il partito conservatore potesse prevalere nettamente. Invece, May ha visto la maggioranza Tory notevolmente indebolita. Il risultato dell’elezione, nell’Irlanda del Nord, è stato segnato dalla divisione secondo le linee settarie tra il loyalist DUP, che ha ottenuto 10 seggi, e la sinistra nazionalista del Sinn Féin, che ha prevalso in 7 seggi ma rifiuta di sedere nel parlamento di Westminster.
T. May ha avuto bisogno del sostegno del DUP per formare un nuovo governo. Eppure, i 18 seggi dell’Irlanda del Nord hanno finora ricevuto scarsa attenzione dai principali media britannici.
Il presente articolo si focalizzerà su due questioni: le elezioni politiche generali del 12 dicembre 2019 viste dall’Irlanda del Nord e le sue implicazioni per la politica irlandese e il processo di pace.
Le elezioni del 12 dicembre 2019 sono state presentate come elezioni storiche aventi al centro una questione cruciale: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e la sua forma.
Mentre i conservatori e i Liberals avevano una posizione chiara sulla Brexit, il partito laburista a guida “corbynista” è rimasto profondamente diviso sulla questione e la prospettiva di un secondo referendum (come proposta da Corbyn) non ha mai catturato l’immaginario pubblico. La stragrande maggioranza degli elettori (inglesi) sono stati convinti dal mantra di Boris Johnsonn “Get Brexit Done” e così hanno restituito il governo ai Tories.
Tuttavia, il risultato non è così netto. Ci sono evidenti divisioni, in particolare tra nazionalismi diversi, ossia tra un nazionalismo inglese e un nazionalismo (concorrente) scozzese. Il mantra “Get Brexit Done” ha avuto poca influenza nelle regioni ade autonomia speciale del Regno Unito, compresa l’Irlanda del Nord, che viene spesso trascurata nelle elezioni politiche generali.
Le elezioni politiche di dicembre 2019 hanno prodotto dei risultati assai interessanti nelle constituencies dell’Irlanda del Nord. In questi collegi, avendo la maggioranza degli elettori votato – in occasione del referendum del 2016 – per il Remain, l’agenda sulla Brexit non ha catalizzato l’attenzione degli elettori. L’idea di lasciare l’UE è impopolare sia nella comunità dei loyalist che in quelle dei nationalist. Nell’Irlanda del Nord (come anche in Scozia, anche se in misura minore) sono venuti fuori per la prima volta i patti pro-remain e il voto tattico, che alla fine hanno avuto un impatto sul voto al DUP. L’esempio più eclatante riguarda il risultato nel collegio elettorale di Belfast Nord, ove il leader DUP al parlamento di Westminster e politico navigato, Nigel Dodds, è stato battuto dal candidato del Sinn Féin John Finucane, figlio dell’avvocato Pat Finucane, assassinato dai paramilitari loyalist nella sua casa nel 1989.
Il Social Democratic Labour Party (SDLP), rivale nazionalista di Sinn Fein in altri collegi elettorali, ha deciso di non contendere a quest’ultimo il collegio di Belfast Nord in un patto non-ufficiale, con lo scopo di sconfiggere Dodds che ricopriva il seggio da ben 18 anni. Finucane ha vinto con 23.078 voti contro i 21.135 di Dodds. Un altro seggio storico del DUP, quello di Belfast Sud, è stato perso a favore del SDLP. D’altra parte, l’Alliance Party, non settario, si è assicurato un seggio. Il risultato finale ha confermato 8 seggi per il DUP, mentre i partiti nazionalisti, Sinn Féin e SDLP, si sono imposti, rispettivamente, in 7 e 2 collegi.
Questo risultato è stato significativo per una serie di ragioni. In primo luogo, Boris Johnson ha sacrificato il DUP all’accordo sulla Brexit con il governo irlandese e l’UE. Ora, la Brexit si sta realizzando senza l’aiuto del DUP ed a prescindere dalle sue preoccupazioni. D’altra parte, per la prima volta, tre dei quattro collegi di Belfast, un tempo bastione delle forze loyalist, sono passati ai partiti nazionalisti. Sinn Féin ha mantenuto il collegio di Belfast West, territorio dell’ex leader Gerry Adams, e ha guadagnato il seggio di Belfast Nord. Il SDLP ha conquistato – come detto – il seggio di Belfast Sud a seguito di una decisione di non belligeranza del Sinn Féin. Il DUP ha mantenuto il solo seggio di Belfast East.
Le elezioni post Brexit e l’Irlanda
Mentre la questione Brexit è stata una fonte di instabilità politica nel Regno Unito, ciò non è successo in Irlanda. In condizioni “normali”, il partito Fine Gael, che guida un governo di minoranza, non sarebbe sopravvissuto per così tanto tempo. La sua sopravvivenza è dovuta al cosiddetto accordo di condidence and supply con il suo principale rivale politico, il partito di centrodestra Fianna Fàil.
Ora, nell’imminenza dell’uscita del Regno Unito dall’UE il 31 gennaio prossimo, le elezioni in Irlanda sono state convocate per l’8 febbraio. Sia Fianna Fàil che Fine Gael intendono evitare che la questione di un cosiddetto border poll [sondaggio di frontiera] diventi un tema elettorale centrale. Al contrario Sinn Féin spingerà per l’esatto opposto, nel tentativo di egemonizzare il discorso politico post Brexit. Sinn Féin non vuole un border poll prima del 2025, ma nel frattempo insiste sulla necessità di avere un discorso pubblico sulla prospettiva di un Irlanda unita.
E’ discutibile che si possa veramente parlare di uno scenario post Brexit.
I prossimi passi che Boris Johnson ha affermato di voler fare in tema di Brexit fanno in sostanza pensare che il Regno Unito si troverà ad affrontare un’altra crisi drammatica alla fine del periodo transitorio di 12 mesi. In base all’accordo di recesso, che sarà adottato alla fine di gennaio 2020, il Regno Unito lascerà l’Unione ed entrerà in una fase di transizione durante la quale il paese non potrà disporre di alcun voto nelle istituzioni euro-unitarie benché il diritto UE continuerà ad applicarsi, il Regno Unito continuerà a contribuire al bilancio dell’Unione ed a mantenere l’accesso al mercato unico europeo. Questo periodo di transizione durerà fino al dicembre 2020 e può essere prorogato – previo accordo – una sola volta. Ma Johnson ha ripetutamente affermato di non volere una estensione del periodo transitorio. Insomma, la vicenda Brexit pare tutt’altro che conclusa!
In Irlanda, il partito di governo Fine Gael spera di poter trarre profitto elettorale dal fatto di aver consentito il conseguimento della Brexit, almeno quanto alla prima fase. Stranamente, ma anche comprensibilmente, la questione Brexit non ha comunque finora costituito un tema centrale della campagna elettorale verso l’8 febbraio. Vi è un senso di “Brexit fatigue”. Dopo tre anni in cui il processo di uscita del Regno Unito ha preso il centro della scena mediatica, gli elettori sono stanchi di questo argomento.
E poi ci sono domande politiche più urgenti: una crisi immobiliare esplosiva, aggravata dalla crisi dei senzatetto; un sistema sanitario non in grado di fornire assistenza di base; d’altra parte, le riforme del sistema pensionistico – portate avanti senza particolare resistenza, sotto l’imposizione della Troika – sono ora oggetto di contestazione.
Secondo i sondaggi, il Fine Gael verrà punito dagli elettori e dalle elettrici per non aver affrontato questi problemi sociali esplosivi, malgrado l’economia porti il segno più. Resta da capire se la sinistra del Sinn Féin sarà in grado di capitalizzare lo scontento per i fallimenti del governo a guida Fine Gael e riprendersi dalle delusioni accumulate dopo le recenti elezioni amministrative ed europee.