Una nottata caotica
I risultati dal caucus democratico in Iowa, le primarie del partito che si appresta a scegliere il candidato che dovrà vedersela con Donald Trump a novembre, non ci sono.
Nel preciso momento in cui si scrive questo articolo, a diverse ora dalla fine delle operazioni elettorali nel Midwest americano, non abbiamo certezze sul fronte dem, poiché il partito non è stato in grado di garantire la completa trasparenza delle operazioni e i dati sui voti, molto semplicemente, non sono disponibili e si presume non lo saranno fino alla serata italiana di martedì 4 febbraio.
La nottata elettorale è stata davvero caotica per i democratici; vuoi per l’aggiornamento del sistema di conteggio voti, in seguito alle lunghe polemiche della scorsa tornata, quando Hillary Clinton vinse su Bernie Sanders con un margine così risicato che il senatore del Vermont attaccò apertamente il sistema di voto, incapace di esprimersi con certezza inattaccabile sul risultato; vuoi per l’alto numero di candidati; vuoi per il sistema del caucus, una modalità di esprimere la propria preferenza arcaica, anacronistica e probabilmente pure antidemocratica, che però alcuni Stati, come ad esempio l’Iowa, ancora non hanno aggiornato a elezioni in cabina.
Con il piede sbagliato
Le primarie democratiche sono partite esattamente in questo modo. La macchina organizzativa del partito è andata in tilt nel corso della notte, con il risultato che nelle prime ore della mattinata statunitense ancora non si sanno i risultati del caucus. Il partito ha cercato, e sta ancora tentando, di salvare il salvabile, perlomeno la faccia a fronte di una figuraccia che appare di proporzioni hollywoodiane, trovandoci negli Stati Uniti. “Ci sono stati ritardi per controlli sulla qualità. L’integrità dei risultati è di primaria importanza.” Così recita la nota ufficiale del partito, ma ci credono in pochi, a partire da Trump e dal suo staff che stanno cavalcando sui social le onde dell’inadeguatezza e dell’incompetenza degli avversari, recitando in coro quel mantra che noi in Italia conosciamo davvero bene, essendo un pò la Bibbia della narrazione politica salviniana. La differenza è che il nostro ne sproloquia in lungo e in largo incurante di un qualunque nesso logico tra causa ed effetto mentre negli USA ne hanno ben donde, dal momento che la situazione venuta a crearsi questa notte è kafkiana.
La stessa scelta delle parole quality control lascia interdetti, dal momento che tale locuzione in inglese significa tutto e non significa niente. Che sia un riferimento ad una ricerca di trasparenza? eppure il caucus ha ben poco di trasparente. Più probabile che ci si riferisca a bizze elettroniche dovute alla nuova app ufficiale che dovrebbe monitorare, in tempo grossomodo reale, l’andamento delle operazioni di spoglio, per così dire.
Come funzionano i caucus?
Chi va al caucus esprime la sua preferenza in una maniera molto diversa dalle operazioni di voto che conosciamo in Europa. Non vi sono infatti seggi, non vi sono schede, non vi sono neppure urne e cabine elettorali. Il votante si reca in una scuola, una palestra o una sala conferenze e, sotto gli occhi di tutti: colleghi, datore di lavoro, familiari, amici e conoscenti, in maniera assolutamente pubblica (da qui l’accusa di antidemocraticità) si schiera con l’uno o l’altro candidato. Il processo non è veloce, tutt’altro, richiede solitamente almeno un’ora, nella quale l’elettore, regolarmente iscritto al caucus e membro del Partito Democratico (l’intenzionato a prender parte può spesso tesserarsi in loco) si accomoda per ascoltare l’inaugurazione dell’assemblea da parte del cosiddetto Precinct Captain.
Dopo i convenevoli iniziali, i partecipanti sono chiamati a radunarsi in un angolo della stanza, per mostrare il proprio appoggio al candidato preferito (ogni candidato avrà il suo corner di riferimento) e a declamare rapidamente i motivi del loro sostegno. A quel punto, una volta che ogni votante avrà appoggiato il proprio candidato, si effettua un primo conteggio, molto meticoloso, che certifica quali candidati posseggano la soglia per poter risultare vincitori (solitamente, è rappresentata dal 15% dei presenti). Dopodichè, i sostenitori di chi rimane al di sotto di questo margine, possono cambiare angolo, qualora lo volessero s’intende. A questo punto, il conteggio finale certifica il vincitore locale e invia il risultato al coordinamento democratico statale.
In attesa dei risultati
Tale sistema non è certo a prova di falle, dal momento che il conteggio delle preferenze viene fatto in termini di percentuali di gradimento e non su voti fisici, reali. Ne abbiamo avuto un esempio ieri, e pure quattro anni fa lo zero virgola che separò Clinton e Sanders in Iowa fu messo in forte dubbio da parte dello staff del senatore del Vermont.
Pur essendo solo all’inizio della marcia delle primarie, le criticità evidenziate in Iowa potrebbero ritorcersi contro i dem, soprattutto perché sul fronte repubblicano tutto è filato liscio e Trump ha dominato in lungo e in largo (si parla di un 97% abbondante di consenso) contro due comparse le quali, più per gloria e ambizione che per concreta speranza di vittoria, tentano di sottrargli la nomination: Joe Walsh e Bill Weld; entrambi potrebbero già ritirarsi prima delle primarie nel New Hampshire, in programma per martedì.
Mentre alcuni tra i candidati democratici più in vista hanno già cominciato ad annunciare la propria vittoria (pare che i più quotati siano Bernie Sanders e Pete Buttigieg, con un’amara sorpresa in vista per il favorito Joe Biden), gli States ed il mondo attendono i risultati ufficiali. Difficilmente li avremo entro la giornata di martedì. Non appena saranno disponibili, li analizzeremo.