L’epidemia di coronavirus nata nella provincia cinese di Hubei è stata sfruttata da alcuni ambienti politici occidentali, soprattutto statunitensi, per lanciare un’offensiva propagandistica anticinese ed augurarsi il tracollo economico del dragone.
Il coronavirus sta dando vita ad una serie di reazioni irrazionali da parte di tutto il mondo: dal panico per una malattia dalla mortalità moderata fino ai casi di sinofobia e di razzismo nei confronti dei cinesi e di altre popolazioni asiatiche, come se i virus avessero una nazionalità o un’etnia, il tutto fomentato dalla macchina massmediatica main stream.
Ciò che infastidisce ancora di più dell’ignoranza e dell’irrazionalità di molti è però il modo in cui l’epidemia sta venendo scientemente sfruttata da ambienti politici europei e statunitensi per lanciare una propaganda anticinese e per augurarsi il crollo delle borse cinesi e la fine della grande ascesa economica del dragone.
Il governo statunitense si è reso protagonista di atti e dichiarazioni giudicate ostili da parte degli omologhi di Pechino. Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia elogiato le misure tempestive ed efficaci della Cina per controllare l’epidemia ed abbia sottolineato la propria opposizione alle restrizioni di viaggio o commerciali contro la Cina, gli Stati Uniti ed altri Paesi occidentali hanno deciso di agire in modo contrario. Il Dipartimento di Stato di Washington, in particolare, dal 31 gennaio ha portato il rischio di viaggio per la Cina ai massimi livelli, equiparando il pericolo di un viaggio in Cina a quello che si corre andando in Iraq o Afghanistan.
I governanti di Washington hanno dimostrato di considerare le sfide affrontate dalla Cina come opportunità per il proprio sviluppo a danno di altri, evidenziando la propria meschinità ed irresponsabilità. Il segretario al commercio Wilbur Ross, ad esempio, ha dichiarato che l’emergenza in Cina avrebbe potuto aiutare a riportare negli Stati Uniti posti di lavoro ed imprese che si erano spostate in Asia. In realtà, un eventuale tracollo economico cinese trascinerebbe con sé gran parte del mondo, Stati Uniti compresi.
Contro la posizione statunitense, il governo cinese ha richiesto la cooperazione da parte di altri Paesi, diffondendo le informazioni a propria disposizione e condividendo i dati con gli Stati Uniti e con il resto della comunità internazionale in modo tempestivo, trasparente e responsabile.
Il 1° febbraio, Cui Tiankai, ambasciatore cinese negli Stati Uniti, ha tenuto un discorso in un forum dell’Università della California a San Diego sulle relazioni Cina-USA. L’ambasciatore ha affermato che la prevenzione e il controllo dell’epidemia di coronavirus in Cina è la massima priorità per il Paese e che il benessere delle persone viene sempre al primo posto. Ha sottolineato che la Cina sta facendo tutto il possibile e utilizzando qualsiasi mezzo necessario per frenare la diffusione del coronavirus e curare le persone colpite. Cui Tiankai ha anche sottolineato che la Cina sta facendo tutto questo non solo per la salute e la sicurezza del popolo cinese, ma per la salute e la sicurezza dell’intera comunità globale. Ha aggiunto, infine, che la lotta contro il coronavirus dimostra ancora una volta che viviamo in una comunità condivisa da tutti.
Esperto di relazioni tra Cina e Stati Uniti, Curtis Stone, ha sottolineato la necessità di ridimensionare il panico per l’epidemia di coronavirus e soprattutto di riconoscere gli sforzi fatti dai cinesi e di porre fine alla campagna propagandistica anticinese. Per fare un paragone, il virus dell’influenza suina H1N1, originatosi tra Messico e Stati Uniti nel 2009, ha ucciso dalle 151.700 alle 575.400 persone in tutto il mondo durante il primo anno di diffusione del virus, secondo stime ufficiali, cifre centinaia di volte superiori rispetto a quelle che si stanno registrando per il coronavirus, eppure nessuno utilizzò l’epidemia come fonte di propaganda politica antistatunitense, nonostante vi siano state chiare responsabilità da parte di Washington nel sottovalutare il problema.
“Panico inutile e commenti crudeli e senza cuore non faranno nulla per aiutare a contenere il virus e aumenteranno solo i sentimenti negativi, inclusi razzismo e ostilità”, ha aggiunto Curtis nel suo articolo pubblicato dal Quotidiano del Popolo (Rénmín Rìbào). “Non possiamo lasciare che l’intuile panico e progetti a danno di altri controllino la risposta a un problema che richiede a tutti noi di lavorare insieme”, ha concluso l’esperto di relazioni internazionali.
Georges Benjamin, direttore esecutivo dell’American Public Health Association, ha chiarito che se esistesse un reale rischio per la salute e la vita delle imprese americane, la proliferazione delle armi da fuoco o il focolaio di morbillo a livello nazionale rappresenterebbero una fonte di rischio maggiore rispetto al nuovo coronavirus. Sebbene pochi ne siano al corrente, infatti, sono stati verificati 1.282 casi di morbillo in tutti gli Stati Uniti dal 1 ° gennaio 2019 al 31 dicembre 2019, il 73% dei quali è correlato alla recente epidemia di morbillo nata nello Stato di New York.
La verità è che le mosse e le dichiarazioni di esponenti del governo statunitense come Wilbur Ross e Mike Pompeo svelano ancora una volta come l’ascesa economica e politica della Cina sotto la guida del Partito Comunista rappresenti oggi la massima minaccia per l’egemonia statunitense a livello globale. L’auspicio di vedere l’economia cinese crollare nasconde la paura di una sostituzione degli Stati Uniti come prima potenza economica mondiale, oltretutto da parte di un Paese che, seppur non privo di contraddizioni, promuove un modello politico ed economico diverso da quello della democrazia borghese neoliberista a stelle e strisce.