La velocità, la freccia, il rosso, i binari, i lavori notturni, una dimenticanza, lo scambio scordato aperto… Finisce così la corsa di un treno ad altissima velocità, dove sopra c’è tanta gente, ci sono due macchinisti che svolgono scrupolosamente il loro lavoro e, dietro, nei vagoni dei passeggeri c’è chi manda messaggi con video e foto allegate: “Guarda, mamma, siamo a 300 Km all’ora!“.
C’è chi apre il computer portatile e scrivere e c’è pure chi, pur avendo più di vent’anni, non è mai salito su un treno e per la prima volta ha scelto il Frecciarossa che alle cinque del mattino deraglia violentemente a causa di un errore umano, di uno scambio che non è stato chiuso.
L’errore umano della notte, di lavori eseguiti per forza di cose negli orari in cui il traffico rallenta, diminuisce e quindi è possibile intervenire sulla tratta ferroviaria.
L’errore umano sarà la discriminante su cui far vertere tutta la vicenda del Frecciarossa 1000 partito da Milano Centrale alle 5.10 con soltanto 28 viaggiatori, con due macchinisti esperti alla guida e un errore umano davanti alla strada ferrata che stanno percorrendo ad alta velocità.
Sono le 5.35 del mattino quando il treno, che in quel momento viaggia a 298 km orari, deraglia all’altezza dell’interscambio di Ospedaletto Lodigiano, a 28 km dalla partenza.
28 passeggeri, 28 km dalla partenza. La tragica ironia dei numeri in un confuso gioco tragico di un destino che riguarda sempre gli incidenti di grande portata e che vede la morte dei due macchinisti e il ferimento di quasi tutti i passeggeri.
Fin qui la cronaca. Poi c’è l’osservazione più specifica dei singoli fatti che si possono guardare attentamente in tante vicende simili a questa, in tutti quei disastri che sono provocati dall’incuranza della manutenzione, da errori di programmi informatici, da corto circuiti tecnici, da dimenticanze umane, da semplici, banali e per questo ancora più tragiche fatalità.
La velocità, la vita, la morte, la certezza che nulla può accadere su un gioiello così prestante come il Frecciarossa: solo un errore umano può decretare la fatalità su tutto il resto e impedire che la perfezione di quel convoglio prosegua tranquilla fino a Salerno.
Questo non è il solito articolo pieno di riflessioni critiche, giuste e sacrosante, sull’alta velocità, sul suo incremento nel territorio italiano, nella rete ferroviaria del nostro Paese. Questo semmai è un insieme di pensieri che vengono alla mente nel momento in cui ti accorgi che davvero basta un granellino di sabbia, una apparentemente insignificante dimenticanza, cui è possibile rimediare pigiando un tasto, diventa lo scarto vero e proprio di un binario tra il proseguimento della vita e la sua fine.
L’incremento dell’alta velocità è, indubbiamente, un elemento di efficienza delle ferrovie e consente a centinaia di migliaia di persone di spostarsi inquinando meno, evitando cambi di convogli, salendo ad una stazione e arrivando a destinazione con un risparmio orario molto conveniente.
Il primo punto critico, però, è anche una differenza che si può notare tra l’Italia e tutti gli altri paesi europei: qui da noi l’AV (l’Alta Velocità) non è gestita da un singolo operatore pubblico, ma anche da privati. La concorrenza dunque è inevitabile e i costi dei servizi non ne beneficiano.
Apparentemente si potrebbe ritenere che a risentire di questo sviluppo dell’AV sia soltanto il mercato della benzina, per via della diminuzione di spostamenti in automobile. Invece anche il traffico aereo ha subito contraccolpi in merito: al volare si preferisce la corsa veloce in treno, lo spostamento terreno che, diciamocelo pure, anche se solo a livello inconscio (il che vuol dire dare grande valore emotivo all’affermazione), ci permette di preferire un trasporto che sta con le ruote ben agganciate al suolo evitando di affrontare la istintiva paura dell’uomo per la “sospensione aerea“, per il volo che gli è innaturale.
Ogni giorno sulle ferrovie italiane viaggiano circa 300/350 convogli ad Alta Velocità: quindi un traffico non indifferente da gestire e controllare in ogni suo ambito. Un lavoro non semplice, con una tendenza all’incremento del numero di tratte da mettere su rotaia visto il crescere della domanda da parte dei viaggiatori.
Ma ogni contenitore ha la sua capacità: i tecnici e gli esperti del settore scrivono che già con i numeri attuali la tenuta complessiva della rete ferroviaria è al limite. Del resto, le alternative per una gestione che escluda (ma davvero poi può esistere una tale possibilità di esclusione?) qualunque errore umano o tecnico sono quelle ricadenti in una riduzione dell’attuale traffico su rotaia per l’AV, un conseguente ritorno all’aumento dell’utilizzo dei mezzi su gomma e quindi un conseguente implemento dei tassi di inquinamento, di congestione delle strade, delle autostrade.
Tralasciamo il capitolo di queste, perché ormai non trascorre giorno senza qualche pessima notizia: ponti che crollano, personaggi famosi che fanno sconcertanti dichiarazioni in merito, pezzi di coperture delle gallerie che si staccano e piombano sulle carreggiate, buche che si aprono all’improvviso, corrosioni di pilastri e giustificati timori dei cittadini che transitano sulle autostrade e di quelli che abitano nei pressi dei viadotti alti quaranta metri…
Tornando alla questione dell’Alta Velocità, è chiaro che nel caso del Frecciarossa 1000 l’errore umano ha comportato – se sarà confermata dai periti e dalla Magistratura l’attuale ricostruzione dei fatti – in tutto e per tutto lo svolgersi terribile della tragedia che ha ucciso i due macchinisti e ferito i passeggeri.
Ma è altresì evidente che la velocità è al centro della questione tanto economica quanto sociale del problema: oggi la globalizzazione ci impedisce di rallentare i nostri ritmi, di muoverci con la lentezza non del bradipo ma dell’essere umano che pondera cosa fare, quando farlo e come farlo per bene.
Vale per i lavori di riparo di uno scambio ferroviario in tilt e vale per l’attenzione che i macchinisti devono mettere al loro lavoro, per la tensione che naturalmente si genere anche davanti ad un monte ore di lavoro che ne fa degli esperti senza pari nella loro cabina di guida.
Vale per i passeggeri che hanno la necessità di fare presto, di arrivare quanto prima a destinazione: perché la velocità è fuori dai nostri corpi ma è anche dentro noi, ci permea e ci costringe a pensarci “veloci“, a non permettere alla nostra mente di oziare nemmeno un secondo, provando ad essere meno ansiogeni, più rilassati, meno ricorrenti alla psicoanalisi per traumi dovuti al ritmo frenetico quotidiano in cui siamo immersi.
La velocità come concetto alla base del moderno sviluppo umano è un crescendo dagli anni del boom economico del secondo dopoguerra fino ad oggi, dove ogni connessione deve essere sempre più repentina, tendente all’immediatezza, senza alcun scarto di millesimo di secondo.
Non sappiamo più “aspettare” e quando ci tocca farlo, ci pare sempre di buttare via del tempo. Invece il tempo lo gettiamo alle ortiche proprio cercando di superarlo, di impadronircene in assoluto, dominandolo, mentre ne siamo completamente sedotti, assorbiti e conquistati.
Forse una riflessione sulla velocità del nostro progresso tecnico-scientifico dovremmo farla: tutto ci appare veloce, ed effettivamente è così. Basti guardare la diffusione del coronavirus, ma prima di tutto la diffusione della stupidità che genera globalmente tutte le false notizie sul patogeno sviluppatosi in Cina. La velocità ci uccide prima ancora di salire su un treno o su un aereo a causa di un errore umano o di un chissà che di tecnico che si inceppa e genera una disgrazia.
La velocità si è impadronita di tutti gli aspetti della nostra vita: soprattutto di quelli più negativi, genitori di pregiudizi, odio, criminalizzazioni e discriminazioni d’ogni sorta. La compulsione con cui gestiamo le nostre pagine social è sovente davvero patologica. Non ne siamo consapevoli, ma dobbiamo essere continuamente connessi, accendere il cellulare ancor prima di aver espletato i nostri bisogni mattutini ed esserci goduti cinque, dicasi cinque, minuti di colazione in santa pace.
La velocità dei treni è la metafora evidente, tragica in questo caso, di un mondo che non sa più rispettare i tempi della natura e che vuole superare livelli che il moderno capitalismo impone sempre e solo alla ricerca del massimo profitto possibile e del conseguente massimo di disumanizzazione necessaria per raggiungere questo scopo.
Alta velocità e bassa coscienza delle nostre esistenze viaggiano di pari passo e sono croce e delizia di vite non spericolate ma alienate dalla loro vera natura: esistere senza cercare di dilatare il tempo per vivere di più di quanto ci è possibile. Esistere non oltre il tempo, nel tempo stesso in cui viviamo. Ed invece ci comportiamo così, spinti dal demone del mercato, del profitto, dello sfruttamento becero.
Anche per un errore umano, per uno scambio lasciato aperto, in fondo il colpevole vero è il modello antisociale e disumano in cui siamo immersi e sommersi.