L’arresto di Patrick Zaky, giovane studente dell’Università di Bologna, ha riacceso l’attenzione dei media italiani sulla violenta oppressione del regime egiziano. Il dittatore Al Sisi da anni tiene in ostaggio un intero paese applicando una sistematica distruzione di ogni forma di opposizione interna. Gli arresti, le esecuzioni, la repressione di ogni manifestazioni di dissenso sono purtroppo la vita quotidiana per chi vive in Egitto. Le forze di sicurezza egiziane applicano in modo sistematico la tortura per tutti gli arrestati, in molti casi fino alla morte, come è successo nel caso Regeni. Per questo la vita di Zaky è in pericolo e Amnesty International e altre organizzazioni stanno facendo pressione sulla comunità internazionale affinché pretendano la sua immediata liberazione.

Per capire cosa sta succedendo in Egitto abbiamo intervistato un gruppo di richiedenti asilo egiziani da qualche mese in Italia. Sono scappati dall’Egitto lo scorso anno, in fuga dalla repressione di Al Sisi. Così come migliaia di altri ragazzi sono cresciuti con il mito della rivoluzione di “piazza Tahrir”. Si sono battuti contro il regime, fino a quando le forze di sicurezza li hanno arrestati. Dopo mesi di reclusione e di durissime torture hanno scelto di scappare dal paese, decidendo di continuare la propria lotta dall’estero. Per preservare la loro incolumità non verranno menzionati i loro nomi né il gruppo politico di cui erano membri.

Com’è la situazione politica in Egitto per i dissidenti politici?

La situazione per gli attivisti politici è disastrosa, i siti giornalistici sono stati chiusi, molti attivisti politici sono stati arrestati. Non è più consentito commentare una notizia politica. Nessuno può parlare, nessuno può scrivere. Non c’è nessuna libertà e la cosa peggiore è che non c’è nessuna speranza di libertà in Egitto. Una delle peggiori pagine di repressione è stata il massacro di Raba’a nel luglio del 2013, quando in un solo giorno sono state uccise più di 2000 persone. Ma in realtà non esiste un vero conteggio dei morti, potrebbero essere molti di più. Ad Al-Sisi piace uccidere, è un miserabile. Il regime ha preso il potere e lascia nella fame e nella povertà la popolazione. Noi abbiamo paura, ma siamo sicuri che la rivoluzione tornerà.

Lo scorso settembre, dopo tanti anni, le piazze del Cairo si sono riempite. Cos’è successo?

Il 60% della popolazione egiziana è in una condizione di povertà assoluta. Per questa ragione in molti hanno seguito l’appello di Mohammed Ali (imprenditore edile in esilio in Spagna) a scendere in piazza lo scorso settembre. Mohammed Ali ha accusato di corruzione Al Sisi e i membri del suo gruppo di potere. Durante le manifestazioni Al-Sisi ha arrestato più di 3000 persone, solo 300 persone in una settimana: un dato incredibile e folle. Perché questa repressione? Perché lui sa che, se tutti gli egiziani scendono in piazza, lui deve dimettersi. Il suo potere si fonda sul terrore. Ha arrestato personalità importanti, ha arrestato probabilmente l’attivista politico più noto, ma non solo ha anche arrestato persone normali che semplicemente manifestavano. Attualmente sono in carcere 118 minori e più di 200 donne. In Egitto chiunque delle forze di sicurezza può fermarti e perquisirti e cercare informazioni sul tuo cellulare. Se trovano qualcosa su Mohammed Ali ti portano direttamente in carcere.

Avete accennato alla crescente povertà, cosa sta facendo il regime in campo economico?

La situazione economica è pessima. Prima di Al-Sisi un dollaro valeva 6 pound egiziani. Adesso un dollaro vale forse 18 pound egiziani. Perché questo accade? Perché Al-Sisi e i generali dell’esercito si sono impossessati di tutti i più grandi business dell’Egitto. Si sono impossessati di molte compagnie strappandole ai loro legittimi proprietari. Si sono presi di tutto, anche le centrali elettriche e del gas. Adesso in Egitto abbiamo un grande problema. Al-Sisi ha firmato un accordo con l’Etiopia per la costruzione di una diga sul fiume Nilo. La diga si sta già costruendo e probabilmente nel futuro potrà causare delle crisi idriche nel paese. Quando Al-Sisi parla in tv dei motivi della diga in Etiopia, dà sempre la colpa alla rivoluzione del 2011. Qualsiasi cosa negativa accada in Egitto, lui accusa la rivoluzione del 2011. Ci credi? Al-Sisi non è solo una dittatura, lui ha una sua agenda. La sua agenda è di distruggere l’Egitto. Qualche tempo fa ha venduto anche due isole, Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita. Tiran e Sanafir sono due isole ma molto importanti. A seguito degli accordi di Camp David, dopo la guerra con Israele del 1973, queste isole erano territorio egiziano. La sua agenda è questa: svendere il paese per arricchire la sua famiglia e il suo gruppo. Non è solo Tiran e Sanafir. Al re del Kuwait ha dato quasi 200 Fadden di terra (1 Fadden è una misura egiziana equivalente a poco meno di mezzo ettaro), a Bin Zayed (principe ereditario di Abu Dhabi) ha venduto l’isola di Al-Warraq e così tante altre cose. Quando l’esercito ha sgomberato Al-Warraq (un’isola del Nilo all’interno della metropoli del Cairo) i residenti si sono rifiutati di lasciare le proprie case. Ne sono scaturiti violenti scontri e in molti sono morti.

Al-Sisi accusa l’opposizione di terrorismo, probabilmente anche a causa della presenza di Daesh nel Sinai

Quando Al-Sisi è salito al potere ha denunciato la presenza di terroristi nel Sinai. Gli attacchi di Daesh avevano causato la morte di molti soldati. Primo, i soldati egiziani muoiono in Libia e Yemen e non in Sinai, dove Al Sisi ha mandato contingenti armati per sostenere Haftar e Hadi. È vero, c’è Daesh in Sinai ma sono solo 200 persone. Sono terroristi che la gente non vuole. La questione, però, è alimentata ad arte dai militari del regime. L’esercito ha già buttato fuori dal Sinai gli abitanti di Rafah, la popolazione di questa città è stata sfollata in un’altra zona. Perché sta facendo questo? Perché c’è un accordo denominato “Peace to prosperity” tra Trump e Netanyahu. Vogliono trasferire i palestinesi dalla striscia di Gaza nel Sinai. Ne ha parlato al vertice Manama Kushner (genero di Trump e consigliere per la politica estera statunitense nel Medio Oriente) Netanyahu, Bin Salman, Bin Zayed, Al Sisi tutti sostenevano l’accordo.

Al-Sisi governa con il pugno di ferro e rende impossibile qualsiasi opposizione interna. Ogni libertà civile e politica è soppressa nel sangue, eppure nonostante questo sembra godere di un ottimo appoggio politico non solo dai paesi Arabi ma soprattutto dagli Stati Uniti. Credete ancora che la comunità internazionale riesca a fare pressioni sul regime?

Dopo le manifestazioni di settembre cosa è successo? Ha represso in modo spietato tutti gli oppositori. Negli stessi giorni il presidente degli Stati Uniti ha definito Al-Sisi «il mio dittatore preferito». Cosa possiamo fare contro un dittatore che ha queste protezioni internazionali? Noi abbiamo solo la nostra voce e la nostra penna. Mubarak durante la rivoluzione disse o me o io distruggerò tutto. Dov’è adesso Mubarak? Non c’è più. Nonostante lui abbia ucciso molta gente non è più il presidente dell’Egitto. Al-Sisi è un dittatore e la gente è spaventata. Noi abbiamo un sogno, che tutti gli attivisti politici del mondo parlino di Al-Sisi. Non solo le organizzazioni per i diritti umani. Noi possiamo vincere solo se tutto il mondo riesce a vedere che il “re è nudo”.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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