Le ipotesi sono più di una. Ma è del tutto probabile che la crisi della maggioranza di governo (perché ancora di crisi dello stesso non si può proprio parlare) sia dovuta ad una abbastanza evidente ridefinizione degli equilibri di rappresentanza politica degli interessi economici delle classi dominanti nell’area del tanto famoso e poi tanto dimenticato “centro“.
Indubbiamente le nomine in scadenza in diversi enti statali hanno il loro ruolo nella partita; così pure lo ha la riforma della prescrizione giudiziaria. I rapporti di forza interni all’esecutivo stanno stretti ad un politico come Renzi, abituato a grandi spazi, a farsi largo ovunque e a ad avere il controllo della situazione.
Il rinvigorimento che il PD ha potuto acquisire, soprattutto grazie alla tornata elettorale regionale in Emilia Romagna (diverso il discorso per la disfatta calabrese), pesa soprattutto nei confronti di Italia Viva, visto che la consunzione grillina impedisce al Movimentom 5 Stelle di andare a marcare nuovi territori di rivendicazioni, per così dire, “tattiche“, poiché l’inversamente proporzionale che si è creato tra i voti popolari ottenuti (e proiettati su scala nazionale dai sondaggi) e la attuale rappresentanza parlamentare, è in tutta evidenza un saldo già più che in pareggio (anzi, in attivo) da mantenere tale.
Qualche pretesa ulteriore potrebbe far nascere nuovi focolari di tensioni, nuovi attriti all’interno di una maggioranza dove Zingaretti al momento fa il pompiere e cerca, dal suo punto di forza, di smorzare i toni e di affiancarsi il più possibile alla “neutralità” di Giuseppe Conte.
Una neutralità ormai mitologica, perché anche Conte vive questa fase non nelle vesti di Presidente del Consiglio in stile “contratto di governo” tra Lega e Cinquestelle di poco più un anno e mezzo fa, ma nei nuovi pastrani che danno l’impressione di volersi ammantare di nuova identità, senza smarcarsi troppo dall’originarietà pentastellata, ma non disdegnando neppure le ipotesi che vengono avanzate dal PD di un possibile ricorso alle urne (comunque impossibile prima di settembre, viste le tempistiche dettate dalla consultazione referendaria sulla vergognosa riforma del taglio dei parlamentari… anzi, del Parlamento!) con un centrosinistra che includerebbe anche una “lista Conte” su modello di quella a suo tempo creata da Lamberto Dini che, guarda caso, insisteva politicamente proprio al centro (buttando un occhio a quella destra berlusconiana scontenta e in odore di scissione).
Al centro delle scaramucce tra Italia Viva e Conte, tra Italia Viva e asse PD-Cinquestelle sulla prescrizione vi sarebbe niente altro – ma non è certo elemento di poco conto – la partita della rinascita del centro politico che, niente a dirlo, passerebbe anche attraverso la rivendicazione di una legge elettorale più magnanima verso le piccole forze come quella creata in fretta e furia da Matteo Renzi il giorno dopo la separazione dal Partito democratico.
Seguono altre domande: che farà Calenda con la sua “Azione“? Che faranno i tanti piccoli atomi centristi, liberali, ex democristiani e critici rispetto alla linea di Forza Italia (quella filo-sovranista, per intenderci) come Mara Carfagna che, pur rimanendo nel partito berlusconiano, fondano associazioni quali “Voce Libera” a cui aderiscono tra gli altri Antonio Martino, Stefano Parisi, costituzionalisti come Alfonso Celotto e professori di economia come Carlo Cottarelli?
Ancora una volta il centro della politica italiana si muove tra tentativi di ricomposizione egemonica con tratti culturali di liberalismo moderatamente democratico e progressista e tratti invece più spiccatamente liberisti di destra.
Se la maggioranza di governo dovesse implodere, è possibile che Italia Viva, Voce Libera, Azione e altri singoli esponenti del mondo antisovranista ma non di sinistra (nemmeno timidamente moderata) trovino un comune denominatore e diano vita ad un ennesimo, nuovo (si fa per dire) cantiere dentro cui elaborare le basi per congiungere tante piccole debolezze che, come si evince, non sono privilegio esclusivo della sinistra di classe, quella comunista e di alternativa, ma riguardano un po’ tutta la geopolitica del Paese.
Chiaramente non siamo innanzi ad una semplicistica mossa di assestamento della tettonica politica italiana fondata su lunghe prospettive: si tratta di tutto tranne che di strategia.
Non sembra che vi sia la volontà comune, tra le forze citate, di dare vita ad un soggetto politico, ad un partito che diventi un terzo polo tra quelli attualmente esistenti, considerando i Cinquestelle integrati nell’area di maggioranza che dovrebbe consolidarsi in vista anche di altri appuntamenti elettorali, per cui diventerebbe quasi automatico il dualismo tra grillini e PD, mentre potrebbe rimanerne fuori (come del resto già avvenuto in Emilia Romagna) proprio Italia Viva.
Una comprensibile smarcatura, per evidenziare l’alterità rispetto ad una alleanza parlamentare nata anche e soprattutto dalla spinta renziana nel luglio scorso, ma che oggi mostra tutti i limiti della fretta, dell’improvvisazione, mentre l’organizzazione democratica zingarettiana, più strutturata nei territori, fa emergere la possibilità di uno spostamento dell’asse di governo non certo sulla scia dei proponimenti di Italia Viva.
Al centro del centro, dunque: mentre la sinistra di classe langue e prova a costruire un coordinamento ancora troppo debole (manca Rifondazione Comunista, se non altro…), la sinistra governista e moderata è afasica tanto nell’esprimersi quanto nel comprendere un linguaggio delle classi popolari e sfruttate che sono del tutto estranee a giochi di palazzo solamente volti al rafforzamento di politiche liberiste da fare senza l’impiccio di ritrovarsi, oggi, come fulcro di governo tanto i sovranisti di Salvini e della Meloni quanto i presunti progressisti del PD.
Uno degli editoriali di questi giorni comparsi su “Il Sole 24 Ore” fa esplicito riferimento all’acutezza di Paolo Gentiloni, il solo ad aver “lanciato una ciambella di salvataggio” al governo in materia di conti pubblici: il Commissario italiano ha esplicitamente parlato di “più flessibilità di spesa per investire nella crescita“, frase che non è piaciuta ai cosiddetti “rigoristi” dell’Unione Europea che sono per linea dura, per non consentire all’Italia di aggirare la stagnazione economica mediante provvedimenti che oltrepasserebbero i parametri comunitari sui vincoli di bilancio.
E’ evidente che un governo a guida sovranista avrebbe tutto l’interesse a disobbedire a questo invito liberista, pur mantenendo inalterata la politica di tutela dei privilegi padronali a discapito delle classi più deboli, provando così a fare il doppio gioco del colpo al cerchio e alla botte. Apparire come difensori dei moderni proletari e, al contempo, spalleggiare gli interessi delle classi dominanti senza inimicarsi troppo Bruxelles.
Dall’altro lato, oltre il rigorismo di falchi come Vadis Dombrovskis, numero due della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che richiamano Stati come l’Italia al rispetto del Patto di stabilità – nonostante le parole di Gentiloni – e dei vincoli comunitari, nemmeno un governo a trazione PD – Conte – M5S (in ordine di importanza politica oggidì) potrebbe essere una garanzia in questo frangente.
Un governo a guida Conte, con una forza di centro se non egemone quanto meno equipollente rispetto al Partito democratico, potrebbe bilanciare le spinte (ci si perdoni l’affermazione…) “a sinistra“, quindi limitare quei ricorsi al finanziamento del pubblico per far crescere una economia che questi liberisti altro non vedono in risalita se non con la continua rimembranza di una forca caudina del privato sotto la quale devono passare obbligatoriamente governo e Stato in generale.
La partita di Italia Viva versus Conte (e versus PD e Cinquestelle) è molto più complicata di quello che appare. Il problema è che l’apparenza inganna, tanti lo sanno, ma fanno finta che dietro vi siano solo la prescrizione in materia di giustizia e qualche ridefinizione dei ruoli negli enti di Stato. Così il messaggio che arriva alla maggior parte dei cittadini è l’ennesima prova di sfiducia che nasce nel vedere litigiosità, inconcludenza e raffigurazione del tutto come “spartizione di poltrone” e voglia di un piccolo, seppur sempre, potere.
MARCO SFERINI