Il parlamento rimane marginale anche nella definizione dei Lep, che misurano l’eguaglianza da assicurare alle donne e agli uomini di tutto il paese. In questa scelta, forse la più politica di tutte, è ridotto a ectoplasma
Nella proposta sull’Autonomia differenziata del ministro Boccia, per il consiglio dei ministri, il ruolo del parlamento è sostanzialmente azzerato. Quanto al procedimento, nell’art. 1, co. 2, leggiamo che il governo sottoscrive con il presidente della regione uno schema di Intesa preliminare.
Uno schema trasmesso alle Camere per «le conseguenti deliberazioni parlamentari, da assumere entro 60 giorni dalla trasmissione. Tali deliberazioni sono trasmesse al Governo e alla Regione per le rispettive valutazioni, ai fini della determinazione dello schema definitivo dell’Intesa. Decorso inutilmente il termine, si può procedere comunque alla sottoscrizione dell’Intesa».
Dunque, l’unica presenza del parlamento nella formazione dell’intesa, certo determinante – quanto meno sotto il profilo politico – per l’esito finale, è nell’essenza un parere non vincolante: può essere disatteso, o pretermesso. Il governo poi stipula l’intesa definitiva con il presidente della regione, e presenta il Ddl di approvazione alle Camere. Che, intervenendo a cose fatte, sono costrette in un ruolo di sostanziale ratifica della intesa già raggiunta. Si riecheggia qui la già prospettata e inaccettabile analogia con le intese con i culti acattolici ex art. 8 Cost., inemendabili secondo una discutibile opinione.
Nel merito, per l’art. 2, co. 1, i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sono adottati, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge-quadro, con d.p.r., su proposta del ministro competente, di concerto con i ministri per gli affari regionali e dell’economia. Gli schemi di decreto, previa intesa in conferenza Stato-Regioni, vanno al parere delle commissioni competenti, e delle commissioni bicamerali per l’attuazione del federalismo fiscale e per le questioni regionali. Tutti pareri non vincolanti.
Il parlamento rimane dunque marginale anche nella definizione dei Lep, che misurano l’eguaglianza da assicurare alle donne e agli uomini di tutto il paese. In questa scelta, forse la più politica di tutte, e cruciale nella strategia di Boccia, il parlamento è ridotto a ectoplasma. Paradossalmente, la conferenza Stato-Regioni ha quanto meno un potere di veto, potendo rifiutare la sottoscrizione dell’intesa. Il parlamento rappresentativo e legislatore, invece, non può bloccare o correggere scelte inaccettabili. Se gli asili-nido siano da includere nel paniere dei Lep, e quanti asili spettino a chi, lo decideranno ministri e governatori regionali, non i parlamentari, inclusi quelli eletti nel territorio.
Le funzioni concernenti i Lep sono trasferite solo dopo l’adozione dei decreti di cui all’articolo 2, co. 1. È un miglioramento rispetto a precedenti versioni. Ma i Lep non trovano applicazione in ogni materia, e laddove si applicano sono una frazione del tutto. Un esempio. Che docenti e dirigenti scolastici siano dipendenti statali o regionali può essere ritenuto ininfluente per il livello delle prestazioni. Che differenza fa chi gestisce le carriere e paga gli stipendi? Fissare i Lep per l’istruzione non impedirebbe di per sé la istituzione di ruoli regionali per il personale scolastico. Contro l’Italia degli staterelli la proposta Boccia alza argini di molte parole, ma di scarsa efficacia.
Sulle altre possibili censure torneremo. Oggi, segnaliamo la necessità di recuperare una centralità non di facciata delle assemblee rappresentative. Riportando alla decisione parlamentare legislativa tutto il complesso delle scelte riferibili alle “forme e condizioni particolari di autonomia” di cui all’art. 116, co. 3.
È possibile. La norma, ad esempio, non impedisce che a una prima legge che approva l’intesa seguano altre, anch’esse adottate a maggioranza assoluta dei componenti, che definiscano in dettaglio i Lep, le funzioni da trasferire, le risorse finanziarie e organizzative da assegnare. L’art. 116 non prescrive che il procedimento si concluda in unica soluzione, con una singola legge. Mentre la salus reipublicae impone di non affrettarsi per strade sbagliate, sulle quali l’autonomia differenziata concorra oggettivamente a un più vasto disegno di indebolimento strutturale del parlamento.
Ci consola solo il venir meno di un timore: che nel caso vincano i sì nel referendum del 29 marzo sul taglio dei parlamentari gli eletti in carica si tramutino – come qualcuno paventa – in zombies. Tali già sono, e non serve ucciderli due volte.