Le elezioni legislative in Tagikistan hanno fatto registrare un leggero calo per il Partito Democratico Popolare del Tagikistan del presidente Emomalī Rahmon. I comunisti mantengono i due seggi della precedente legislatura.
La Repubblica del Tagikistan è una ex repubblica sovietica dell’Asia centrale, indipendente dal 1991, con una popolazione inferiore ai sette milioni di abitanti. Dopo l’indipendenza, le prime elezioni presidenziali furono vinte da Rahmon Nabiyev, candidato del Partito Comunista del Tagikistan (Hizbi Kumunistii Tojikiston). Tuttavia, i primi anni dopo l’indipendenza videro una certa instabilità anche a cause dalla guerra civile, almeno fino alle elezioni del 1994, che portarono alla presidenza Emomalī Rahmon.
Già politicamente attivo ai tempi dell’Unione Sovietica, Rakhmonov (come si chiamava allora) vinse proprio grazie al sostegno del Partito Comunista, che in quegli anni restava comunque la forza politica principale del Paese. Tuttavia, dopo l’elezione, Rahmon ruppe con il Partito Comunista, che venne sostituito nel ruolo di forza egemone dalla formazione dello stesso presidente, il Partito Democratico Popolare del Tagikistan (Hizbi xalqii demokratii Tojikiston).
Con il Partito Comunista oramai all’opposizione ed il suo partito personale al potere, Rahmon ha apportato numerose modifiche costituzionali per rafforzare il suo potere, come la riduzione dei seggi parlamentari da 181 ai 63 attuali. Nel 2003, ha fatto approvare un referendum che gli permetteva di candidarsi per almeno altri due mandati presidenziali di sette anni, ottenendo percentuali intorno all’80% sia nel 2006 che nel 2014. Come se non bastasse, nel dicembre del 2015 il parlamento tagiko ha passato una legge che garantisce a Rahmon l’immunità a vita ed il diritto di veto su qualsiasi provvedimento, assegnandogli il titolo di “fondatore della pace e dell’unità nazionali, leader della nazione”.
Nel maggio 2016, un nuovo referendum ha avallato una nuova riforma costituzionale che in pratica permette a Rahmon di ricandidarsi per un numero illimitato di mandati presidenziali, eliminando ogni limite da questo punto di vista. Inoltre, la nuova riforma ha messo fuori legge i partiti basati su confessioni religiose ed ha abbassato l’età minima per candidarsi alla presidenza da 35 a 30 anni, permettendo la possibile candidatura del figlio di Rahmon, Rustam Emomali, attuale sindaco della capitale Dušanbe, già nelle elezioni del 2021, quando avrà 33 anni.
Il cambiamento di nome avvenne invece nel 2006, quando il presidente decide di rimuovere il suffisso russo “-ov” dal proprio cognome, al fine di promuovere la specificità culturale della nazione tagika. In seguito a questa decisione, molte altre cariche dello stato fecero altrettanto, e nel 2016 una legge ha proibito l’assegnazione di nomi e cognomi russi.
Venendo alle recenti elezioni legislative del 1º marzo, il Partito Democratico Popolare del Tagikistan ha mantenuto la maggioranza assoluta dei consensi con il 50.4% delle preferenze, ma per la seconda volta consecutiva ha accusato un calo, passando da cinquantuno a quarantasette seggi. Dopo aver raggiunto l’apice nel 2010, con il 71% delle preferenze e cinquantacinque seggi, dunque il partito di Rahmon conferma la propria flessione, ma resta comunque in controllo dell’emiciclo di Dušanbe, composto da 63 scranni.
I quattro seggi persi dal partito di governo vengono raccolti dal Partito della Riforma Economica, che passa da tre a cinque seggi, e soprattutto dal Partito Agrario, che diventa la seconda forza più rappresentata in parlamento, con sette deputati.
Il Partito Comunista conferma i due parlamentari che aveva eletto anche nelle due precedenti legislature, attestandosi al 3.1%, con un incremento di circa un punto percentuale rispetto al 2015, mentre eleggono un rappresentante a testa il Partito Socialista ed il Partito Democratico, il cui leader, Mahmadruzi Iskandarov, sta al momento scontando una pena di ventitré anni di reclusione. Tra i partiti che hanno partecipato a queste elezioni, solamente il Partito Social Democratico del Tagikistan non ha eletto deputati.
Come è facile intuire, le elezioni tagike sono state considerate una farsa sia dall’opposizione che da diversi osservatori indipendenti. Secondo alcuni attivisti, si sarebbero recati alle urne solamente 1.4 milioni di aventi diritto, una cifra insufficiente a raggiungere la partecipazione minima prevista dalla costituzione tagika per considerare le elezioni valide, pari al 30%. I dati ufficiali del governo, invece, parlano di oltre quattro milioni di votati, e di un’affluenza alle urne superiore all’80%. Numerose irregolarità sono state segnalate da osservatori, giornalisti ed attivisti tagiki e stranieri.