Coronavirus. Il governo annulla la consultazione del 29 marzo ma non fissa ancora un altro appuntamento. Più delle divisioni sull’abbinamento con le regionali, pesa l’incertezza sulla fine della crisi: ora anche maggio può essere troppo presto e anche le elezioni amministrative possono slittare

La decisione di rinviare il referendum costituzionale che era nell’aria da giorni è stata presa ufficialmente ieri dal governo, ma il Consiglio dei ministri non ha indicato una nuova data per la consultazione sul taglio dei parlamentari. Il previsto e ancora probabile abbinamento del referendum con le amministrative è rimasto in sospeso sia perché i comitati del no lo contestano, sia perché allo stato dell’emergenza coronavirus nemmeno le amministrative di maggio sono più una certezza.

Il referendum costituzionale – con il quale oltre 46 milioni di elettori dovranno confermare o annullare il taglio votato dal parlamento di 345 parlamentari su 945 – era stato indetto per il 29 marzo dal presidente della Repubblica. Il governo ieri, di fronte all’acuirsi dell’emergenza, «per consentire a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’adeguata informazione» ha proposto al presidente della Repubblica di revocare il decreto di indizione. Cosa che Mattarella ha fatto immediatamente dopo aver invitato, con un video messaggio, gli italiani a non cedere a né a «imprudenze» né ad «allarmismi». Siamo ancora, dunque, dentro i termini previsti dalla legge sul referendum: un prossimo Consiglio dei ministri da tenersi entro il 23 marzo potrà fissare la nuova data della consultazione popolare in una domenica di maggio, a conti fatti tra domenica 10 e domenica 31. Il 17 e il 31 maggio sono al momento le date previste per il primo e secondo turno delle comunali, il 31 è anche la data fin qui ritenuta probabile per le regionali. A maggio è in programma il voto in sei regioni, di cui una oggi interamente «zona gialla» per il virus (Veneto) e due parzialmente (Liguria e Marche). I comuni nei quali è previsto il voto a maggio sono invece 736 (meno del 10% dei comuni italiani), di cui 131 compresi nelle regioni e nelle province oggi «zona gialla».

La possibilità che anche la tornata elettorale regionale e amministrativa debba slittare i autunno è concreta. Anche se l’emergenza coronavirus come tutti si augurano dovesse regredire. Perché la doppia chiusura (primo turno e ballottaggio) delle scuole destinate a ospitare i seggi elettorali potrebbe essere incompatibile con i calendari scolastici, già terremotati dalle settimane di chiusura che attualmente sono due ma non è affatto escluso che aumentino. Il governo dovrebbe poter valutare tutto questo entro il 23 marzo, altrimenti potrà solo spostare fuori dai termini il referendum costituzionale. Con tutto quello che ne consegue, innanzitutto l’impossibilità di sciogliere le camere almeno fino all’inizio del 2021.

Non ci sono precedenti di rinvii del genere e quelli vagamente assimilabili riguardano lo slittamento fuori dai termini di referendum abrogativi, peraltro non ancora indetti, nel 1987 e nel 2009. Allora fu scelto di non procedere con decreto ma con disegni di legge approvati a larga maggioranza dal parlamento. Conte però dovrebbe muoversi in maniera più accorta, visto che ieri le opposizioni hanno lamentato di non essere state neanche consultate sulla scelta di rinviare il referendum costituzionale, anche se non l’hanno contestata ritenendola a questo punto inevitabile. «Avrei voluto sentire i comitati per il sì e per il no, ma non è stato purtroppo possibile per l’emergenza in corso», ha detto ieri il presidente del Consiglio. Non avrebbe avuto obiezioni, ma ne avrà sicuramente se il governo volesse abbinare il referendum con un diverso turno elettorale. «La scelta dei cittadini attiene a una riforma che investe un profilo fondamentale della nostra architettura costituzionale e non deve subire l’influenza di altre competizioni elettorali» dice il comitato del no promosso dal Coordinamento per la democrazia costituzionale. E anche il comitato composto dai senatori che hanno raccolto le firme per il referendum spiega che «non sarebbe accettabile una consultazione referendaria con un’affluenza a macchia di leopardo». A spingere per l’accorpamento è invece il Movimento 5 Stelle, che mette avanti ragioni di risparmio ma punta a una vittoria dei sì con una almeno sufficiente partecipazione.

Intanto camera e senato hanno deciso di ridurre al minimo i lavori, uno o due giorni alla settimana per diminuire i rischi di contagio. Nessun rinvio invece per il voto suppletivo previsto domenica prossima nel collegio senatoriale di Terni. Coinvolge poco più di 300mila elettori.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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