Mai nella storia della Repubblica Italiana, da quando è stata proclamata il 2 giugno 1946 dopo vent’anni di fascismo e cinque anni di disastrosa guerra mondiale e occupazione nazista, sono state applicate misure così restrittive al diritto di muoversi e stabilirsi in qualunque parte d’Italia, per quasi sedici milioni di persone, previsto nella Costituzione all’articolo 16 che così recita:

Ogni cittadino può circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.“.

I Padri Costituenti, come si può evincere dalla lettura dell’articolo citato, misero come prima eccezione a questo diritto di libertà di circolazione e soggiorno nel Paese proprio la questione sanitaria, quindi stabilirono che, nella scala delle priorità nazionali per cui il governo poteva interdire la libertà di movimento vi era la salute di tutti i cittadini. A seguire ragioni di sicurezza e, al secondo comma, scrissero a chiare lettere che in nessun caso si poteva determinare una coazione per ragioni di natura politica.

Ancora una volta la nostra Costituzione ci viene in aiuto pure nello spiegare una decretazione d’urgenza come quella emanata in piena notte, dopo una giornata di esplosione di nuove centinaia di casi di infezioni da Coronavirus Covid-19 concentrate essenzialmente al nord e, segnatamente, in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

IL DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 MARZO 2020

Chi, seguendo le prescrizioni ministeriali, è uscito per fare la spesa come il sottoscritto, ha potuto assistere alla piena disattesa da parte di centinaia di cittadini delle norme ministeriali: ancora ieri sera capannelli di giovani stazionavano nelle piazze di piccole o grandi città del nord, la gente passeggiava – seppure in numero minore – sui navigli milanesi, sedeva comodamente ai tavolini dei bar, stretta stretta, gomito a gomito, per “fare l’aperitivo“, per “non rinunciare a vivere“.

Questi sono comportamenti che, se consapevolmente messi in atto pur conoscendo i rischi, dimostrano infantilismo anticivico, disprezzo della società in cui si vive attraverso un menefreghismo che finge di essere certo delle sue azioni e trasuda sicurezza da tutti i pori: sono gli altri i paranoici, i troppo ligi alle regole, alle norme. I coglioni (mi scuso per il francesismo voluto e più volte ricercato) sono questi ultimi e non quelli che non si lavano le mani, che se ne infischiano beatamente del metro di distanza da tenere (per quanto possibile, si intende) gli uni dagli altri, della raccomandazione a rimanere in casa per anziani e immunodepressi… I coglioni, si sa, sono quelli che non derogano dalle norme: gli esagerati, gli allarmisti, gli ipocondriaci di sempre…

Gli italiani hanno da sempre problemi con la loro lingua madre. Al governo vorrei dire che scrivere nel decreto “evitare in modo assoluto…” per l’italiano cronicamente egoista significa: “Vabbè, non è vietato“.

Quindi dovete scrivere: “E’ vietato“.  Si tratta di una terminologia che personalmente disprezzo, impositiva, che sovente spinge a fare il contrario (almeno per i cosiddetti “bastiancontrari“, per i ribellisti modaioli che vogliono sentirsi tali, sprezzanti qualunque ordine, qualunque pericolo), ma che in questo frangente è necessaria. Non sarà la modifica di una espressione linguistica che bloccherà chi cercherà di fuggire dalla “zona rossa” per creare così altre zone rosse nel resto del Paese, ma almeno, nella percentuale di disattesa, dimostrerà alla storia quanto civismo ha questa Italia, quanto sono solidali fra loro gli italiani…

Chi davvero vuole bene a sé stesso, ai propri cari e al proprio Paese cerca di fare tutto il possibile per proteggersi, proteggere gli altri e proteggere la salute pubblica. Il senso di responsabilità civica lo dobbiamo mettere in pratica per rispetto di tutti i medici e del personale sanitario che si batte per aiutare tutti coloro che soffrono, per contribuire alla prevenzione e al contenimento del Coronavirus.

In questo frangente il governo sta agendo bene. Sono gli italiani che non seguono le regole. Andare nei bar, “fare gli aperitivi” per dimostrare di non avere paura è un comportamento irresponsabile verso sé stessi e verso gli altri.

Così vanno stabilite norme severissime sul commercio: nei negozi si dovrebbe entrare uno alla volta e solo per lo stretto necessario. Cosi nei supermercati deve essere contingentato il numero di accessi, disciplinato l’acquisto, difesi sanitariamente i lavoratori che ad esempio stanno alle casse.

Gli italiani si piccano di essere un popolo nazionalista… Sostengono di essere a favore della sicurezza e dell’ordine e poi devo essere io, un comunista mezzo anarchico, a rilevare che invece alla prima regola imposta per una questione di interesse pubblico, si fanno spallucce e ce ne si infischia di semplicissime misure di contenimento di una epidemia che rischia di devastare sanitariamente, economicamente e socialmente il Paese intero.

Noi comunisti, noi gente di sinistra, dobbiamo essere i primi a dare l’esempio: abbiamo da sempre a cuore il bene comune, dal lavoro alla salute, tutte le fasce sociali deboli della popolazione. Proprio a chi è maggiormente esponibile al contagio per evidenti ragioni di salute deve essere riservata la nostra attenzione.

Nel riflettere sul ruolo del cittadino nel contesto sociale, va messa al primo posto la tutela di tutti coloro che non sono in grado da soli di provvedere a sé stessi e che rischiano, loro malgrado, di finire nella tela del ragno.

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Sono proprio i più emarginati quelli che rischiano di più: chi è già sofferente per qualche patologia grave e oggi avrebbe bisogno anche soltanto di cure ambulatoriali. Cure che vengono sospese perché viene data la precedenza all’organizzazione dell’emergenza attuale.

Così avviene che chi si deve sottoporre a chemioterapie cicliche, a dialisi, a cure necessarie per lenire il dolore e ad altri interventi non ritenuti primari, rischia di rimanere indietro, a causa di un indebolimento del sistema sanitario a favore del privato che in questi decenni è stato massicciamente portato avanti da chi oggi si lamenta, si batte il petto e si danna per la mancanza di posti in rianimazione, per le poche apparecchiature necessarie anche soltanto alla ventilazione assistita in caso di crisi respiratoria.

In questo momento diventa ancora più fragile e debole chi vive da solo, chi non ha una rete di protezione sociale che lo sostenga minimamente.

Ci stiamo accorgendo, tutte e tutti, che il “sistema Italia“, così più volte definito dal presidente Conte, è forte nella risposta medica ma è debole in quella strutturale, perché per troppo tempo ha trascurato il potenziamento del pubblico privilegiando le privatizzazioni, settorializzando ambiti di tutela sociale come la sanità, spezzettandola regionalmente e creando così quella confusione sia organizzativa sia comunicativa che è venuta prepotentemente avanti nei giorni di esplosione del contagio da Codogno alla zona del lodigiano, per poi estendersi nel resto del nord.

Un nord da cui precipitosamente si tenta di fuggire dirigendosi verso le stazioni ferroviarie, per poter prendere l’ultimo Intercity della notte e andare verso Sud, dove si hanno forse dei parenti, dove l’epidemia sembra, per ora, grazie al contenimento istituito nelle regioni settentrionali e che tanto sta costando in termini di sacrifici e modifiche dello stile di vita a milioni di cittadini, non arrivare massicciamente. Sembra, da notizie ormai quasi di primo mattino, che la gente sia voluta salire sui treni anche senza biglietto, dichiarando al personale ferroviario che avrebbero volentieri pagato la multa. Tutto, basta fuggire dall’impestato Nord.

Un altro atteggiamento sconsiderato, scatenato da un sistema informativo che non aspetta di avere tra le mani la versione definitiva del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una corsa ai binari dettata dal “si salvi chi può“, beatamente infischiandosene di poter essere quei portatori sani del virus magari proprio in quel Meridione che al momento sembra ancora privo di focolai epidemici.

Dagli aperitivi sui navigli, dai giovani che, privi dell’obbligo scolastico, si radunano in festicciole sia private che in strada, assiepandosi nei pub e nei tanti luoghi di “movida” fino agli assalitori notturni dei convogli, questa mancanza di rispetto per gli altri, è la prima dimostrazione di un egoismo che, in tempi di pace sintomatica, di normale disordine quotidiano, di classiche diatribe politiche e sociali – che oggi tanto rimpiangiamo – si fa strada e si riproduce al grido del “prima gli italiani“.

Ora la storia dei confini è saltata: siamo passati dal nazionalismo sovranista al municipalismo dell’Italia dei Comuni. Voi direte… Beh, sempre Alberto da Giussano c’era… Sì, ma quello faceva causa comune, non divideva. Univa e non separava. Basta leggere i commenti sui social per rendersi conto della stupidità razzista del “prima gli italiani“, ora che si fronteggiano lombardi contro liguri, piemontesi contro lombardi, veneti contro romagnoli, lodigiani contro trentini e così via…

Uno spettacolo penoso, così tanto lontano dai princìpi costituzionali dell’unità nazionale che si forma invece proprio nel momento in cui deve emergere la solidarietà sociale e civile.

Anche per questo, oggi più che mai ogni egoismo va messo al bando e come si scriveva un tempo sui documenti più importanti: “Salus publica, suprema lex“. Deinde, filosoferemo ancora e ci scanneremo su questo o quel tema di politica, attualità e cultura. Ora pensiamo ad aiutarci vicendevolmente.

…buon 8 marzo,  nonostante tutto, alle donne di tutto il mondo!

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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