Gabriele “Chef Rubio” Rubini, ex rugbista e cuoco divenuto celebre con diversi programmi tv come “Unti e bisunti”, ha recentemente preso le parti degli operai Peroni, tutti immigrati da Eritrea e Etiopia, che sono stati in sciopero per quindici giorni a Roma per vincere la loro lotta contro il gigante della birra. Non è la prima volta che si schiera dalla parte dei lavoratori più sfruttati e precari, come nel caso dei rider di Torino. Da anni è impegnato nella solidarietà al popolo palestinese e nella lotta al “pensiero unico” filo-sionista e imperialista che appesta anche il campo largo della “sinistra”.
L’abbiamo intervistato per approfondire questa sua presa di posizione coraggiosa e rara per il mondo delle “celebrities”.
La lotta sindacale dei facchini della Peroni di Roma è riuscita ad attirare un’attenzione mediatica e una solidarietà diffusa più ampia della “solita” vertenza isolata in un posto di lavoro.
La tua presa di posizione sui social a favore di lavoratori in sciopero è una scelta rara di questi tempi: di solito le “celebrità” in Italia, anche chi ha origini umili, al giorno d’oggi non solidarizzano con il movimento operaio e con le sue lotte.
Per quali motivi, secondo te, si è persa questa tradizione di “legame sentimentale” tra lavoratori e artisti, intellettuali che decenni fa era invece forte nel paese?
Anni fa, quando c’erano le lotte, gli artisti e gli intellettuali engagé non provenivano necessariamente dalla classe operaia ma comunque fondavano le loro attività su un senso di giustizia e di dialogo con i diversi strati di lavoratori. Oggi la maggior parte degli artisti (cantanti, attori, musicisti) si concentra sulla propria materia in maniera sempre più distaccata dal contesto sociale, dal contesto urbano – ognuno pensa alla propria performance e perde i contatti con quelle che sono le dinamiche reali che mandano avanti il paese e credo che lo scollamento sia dovuto principalmente a questo: eventi “culturali” che si rincorrono frenetici, ognuno è portato a ritenere il proprio lavoro come unico, degno di menzione e di rispetto, mentre ciò di cui anche il “VIP” vive è frutto del sacrificio di tantissime persone che purtroppo vivono nell’ombra; un’indifferenza troppo spesso indotta dalla colpevole distrazione dei media che inseguono il sensazionalismo a discapito dell’essenza reale della notizia. Così nel raccontare la cronaca di manifestazioni, proteste e sit-in succede che passano sotto silenzio le cause che hanno generato tali disordini. E penso alle grandi questioni come le morti e gli infortuni sul lavoro che sono all’ordine del giorno.
Una delle storie Instagram di Rubio contro la politica della Peroni
Il sistema d’informazione, i giornalisti e tutto l’apparato comunicativo di massa hanno una grande responsabilità nello scollamento che si è creato tra il Paese reale e la sua proiezione che eleva a divinità le “star” e ridimensiona quelli che volgarmente vengono chiamati “ultimi”. In passato gli artisti erano liberi pensatori più lontani dalle attuali dinamiche del mercato e dalle logiche del capitalismo. Il loro pensiero s’ispirava a ideologie o semplicemente erano una coscienza critica del sociale. Oggi le star sono gli influencer, personaggi creati dal marketing e mossi dai brand.
Sono tanti i soggetti sfruttati e oppressi dai grandi industriali, dai banchieri, dai palazzinari, dai grandi capitali, dalle istituzioni politico-finanziarie e dagli eserciti imperialisti in tutto il mondo.
A tutti, però, si pone la questione di come rispondere a questa situazione insostenibile di sfruttamento, di oppressione, di distruzione dell’ambiente dove sopravviviamo.
Pensiamo che lavoratori come i facchini Peroni possano essere un esempio importante di come unire tanti aspetti di questa oppressione complessiva sulla grande maggioranza della società: sono immigrati africani perseguitati in patria per ragioni politiche e religiose; hanno sperimentato l’odissea della traversata del deserto verso i paesi più ricchi; hanno dovuto subire le procedure di gestione poliziesca del flusso di migranti da parte dell’UE e dei tagliagole suoi fiduciari in nord Africa; soffrono un importante negazione di diritti in quanto immigrati; sono oggetto di razzismo fomentato da molti partiti politici; sono sfruttati come e spesso più degli altri lavoratori.
Proprio come i lavoratori italiani, se usano gli strumenti della lotta di classe, hanno la possibilità non solo di far sentire la propria voce, ma di paralizzare un’azienda, un settore, il paese intero. I magazzinieri Zara, sempre organizzati con il sindacato Si Cobas, in dieci giorni e scioperando solo in due magazzini a Roma e Milano, hanno piegato una multinazionale che voleva metterli tutti in staff leasing per poi poterli licenziare a suo piacimento: anche loro immigrati, in questo caso egiziani.
Pensi che il rilancio di un’opposizione, di una lotta politica allo sfruttamento e alle molte oppressioni possa avere come baricentro, come traino questi lavoratori combattivi, e in generale la classe lavoratrice?
Quelli che attraversano i continenti per difendere la propria dignità e cercare un futuro migliore nei “paesi ricchi” meriterebbero di essere premiati con tutti gli onori del caso.
I lavoratori che protestano per i propri diritti come quelli di Peroni sono elementi fondamentali per la società, persone da cui prendere spunto per smettere di parlarsi addosso, di lamentarsi senza fare nulla di concreto perché le cose migliorino: una persona che ha attraversato innumerevoli difficoltà, innumerevoli violenze si trova anche qui sottoposta a sfruttamento e discriminazione, per dinamiche neoliberiste proprie di queste grandi aziende imperialiste, con l’abitudine di “resettare” cambiando nome alla cooperativa. Spero che il loro esempio possa contribuire a rigenerare una lotta sociale, politica, che possa dimostrare alle persone che la legge non discrimina, è uguale per tutti anche per quelli che si sentono “importanti”. Io non bevo da quattro anni, però se fossi tra quelli che si concede una birra tra amici sorseggiando una Peroni sarei assalito da scrupoli e domande: come posso evitare di fare il gioco di critico? Come posso agire coerentemente e concretamente nella vita reale? Come posso sostenere i lavoratori che protestano con i fatti?
Direi che siamo sicuri che Peroni, con la quale hai collaborato in passato, non ti farà più proposte di lavoro. Però un altro fronte dove hai messo in gioco la tua carriera come personaggio mediatico è quello della solidarietà al popolo palestinese: il tuo viaggio in Palestina e la campagna quotidiana che stai conducendo in solidarietà a quel popolo e contro la retorica sionista è un atto coraggioso e completamente controcorrente, anche rispetto alle posizioni di molte realtà della sinistra che si sono adattate all’idea di compromessi sempre a perdere con Israele, con il suo apparato militare stretto alleato degli USA, con la tradizione di colonizzazione sregolata, illegittima e violenta che da quasi un secolo le frange più convinte e senza scrupoli del sionismo teorizzano e praticano.
Come hai maturato questa sensibilità e la decisione di schierarti apertamente per la causa del diritto del popolo palestinese a vivere nella propria patria? Quali risposte ai tuoi stimoli sono arrivate dagli ambienti attorno a te?
I rapporti con Peroni si sono interrotti da anni per via di quello che dicevo su Israele e sul sionismo. I sionisti, ebrei e non, sono ovunque, a destra come a sinistra e sempre pronti a certificare che non si dica nulla contro l’imperialismo e il sionismo. L’ANPI stessa non riesce ad arginare chi, in virtù di un nonno partigiano, continua a difendere con il silenzio e mosse vili i crimini di guerra sionisti che da decenni privano la Palestina di uno Stato e impediscono al suo popolo partigiano di fare ritorno nella propria terra. La libertà di ogni essere umano va difesa a prescindere dal credo religioso e va tutelata non solo guardando al passato ma mettendola in pratica nel presente pro futuro.
Tutto è iniziato col 25 aprile 2017 quando ho reagito alle parole del rabbino capo della comunità ebraica di Roma, che aveva annunciato che non avrebbe partecipato al corteo unitario perché c’erano dei palestinesi che riteneva essere la matrice internazionale del terrorismo. Io ricordai che il terrorismo internazionale oggi va in giro con il tank e non ha certo la kefiah. La cosa portò ovviamente articoloni e accuse di antisemitismo, tutte stronzate. In quel periodo, essendomi visto girare le spalle dal canale [DMAX-Discovery, ndr] e da tutte le testate giornalistiche, mi sono fatto delle domande e sono andato ad approfondire quello che già comunque avevo studiato e verificato, dato che ero già stato in Palestina e nella Palestina occupata che tutti chiamano Israele, e avevo visto coi mio occhi cosa era e cosa non si raccontava. Ho fatto tesoro di quella esperienza perché mi ha portato a studiare ancora di più quello che pensavo di conoscere. Giornalmente mi informo su blog e siti di attivisti in loco, cerco quando posso di recuperare testi cartacei sul sionismo, la complicità occidentale, l’apartheid israeliana, gli espropri illegali dei coloni ai danni dei nativi, i massacri di civili che dal ‘48 a oggi si sono susseguiti nell’indifferenza totale.
Rubio a Ramallah durante la missione di cooperazione umanitaria in Palestina organizzata, tra dicembre e gennaio scorsi, nell’ambito del progetto Gaza Freestyle
Ho fatto tesoro della frattura che ho avuto con tutte le persone che avevo intorno e che hanno preso le distanze da una cosa che io ritenevo semplicemente un invito all’unione, allo stare tutti insieme pacificamente. Ho fatto una scrematura direi naturale di tutte le relazioni, le situazioni che non erano più valide: mi sono allontanato da chi non aveva neanche la minima voglia di indagare o mettere in discussione tutte le false verità che ci hanno propinato sulla questione. Mi è dunque parso impossibile proseguire con la televisione, non avrei mai più potuto accettare alcun compromesso con quella parte dei vertici aziendali sionisti presente nei broadcaster che mi chiede di “ammorbidire” il modo in cui comunico il mio pensiero sui social. Non nutro alcuna velleità di apparire in TV. E tra l’altro non è una questione personale ma è una questione di fatti storici, di numeri, di cose verificabili. Anche molti personaggi ebrei di spicco vengono abbandonati, stigmatizzati, trattati come dei pazzi quando si mettono a discutere, a contrastare la politica sionista di Israele, che non è un faro di civiltà ma uno Stato satellite dell’imperialismo USA nel Medio Oriente.
Rubio al CSOA La Strada di Roma, di ritorno dal viaggio in Palestina.
Hai dei progetti artistici-lavorativi per il prossimo futuro?
Sono libero, è una mia scelta. Non ho contratti che mi legano, non ho nessun ingaggio, nessun progetto legato alla televisione. Sono in fase di sperimentazione e proseguo con la mia formazione professionale e culturale. Continuo a studiare la storia dell’ebraismo, del sionismo della splendida cultura del popolo palestinese e del dramma dell’occupazione sionista.
Proseguo con il mio impegno da attivista per i diritti umani, con particolare attenzione al dramma della realtà carceraria.
Intervista a cura di Giacomo Turci